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La mia poesia
di
Angela Iapello Mellace

Introduzione di Salvatore Stranieri

Volentieri ho aderito all’invito rivoltomi dalla nostra poetessa a curare una sua pubblicazione di poesie. La gentile richiesta, a dire il vero, per un verso mi ha lusingato molto – vanità umana! – per un altro verso ho sentito che sarebbe stato mio dovere rispondere affermativamente. La Iapello mi richiama un passato trascorso alla “Cannaletta”, là dove anche io sono nato e sono cresciuto e ogni giorno, anche se conto non poche primavere in più, le nostre quotidianità si intrecciavano, non a caso il sottotitolo “ Profumo Antico ”! Al ricordo di quei luoghi, delle persone che vi abitavano e ora non ci sono più, dei rapporti familiari e di sincera amicizia che legavano tutti quelli della “ruga” quale nostalgia! E alla Via de “La Cannaletta” (Via Fontana e Parriadi) dove, nella piazzetta, nelle sere di plenilunio i giovani intonavano alle innamorate le loro appassionate serenate, vi era un fervore di attività. Vi era la “Posta”, il forgiaro, il bastaio, il calzolaio, il sarto-barbiere e le sartine, la tessitrice e le loro voci frammiste ai rumori tipici di quegli antichi mestieri mi risuonano nelle orecchie e mi inondano il cuore di dolce mestizia! Di quel mondo ora, là, poco o niente è rimasto
Mo’ casi viacchi, bbandunati…
No nc’è vita ntra chiddhi mura.
La sira quandu passi pe chiddhi strati
mu li vidi ti vena la pagura.
E, dunque, senza pensarci mi sono messo a lavoro che, però, giorno dopo giorno andava dimostrandosi un’ardua fatica e, confesso, sono stato più volte sul punto di desistere. Non l’ho fatto e per non deludere la Nostra e per non venire meno a ciò che io, non so perché, avevo ritenuto un dovere.
Gentile lettore, mi sono trovato dinnanzi a un torrente in piena. Angela Iapello vive per la poesia, sogna poesia! La cadenza temporale della produzione poetica, che si nota scorrendo le pagine, rivela quanto sia fecondo il suo estro poetico.
La pubblicazione è divisa, per così dire, in due sezioni, nella prima le poesie in vernacolo alle quali seguono una ricca raccolta di filastrocche e detti popolari ed, infine, un glossario, nella seconda sezione, invece, prende posto una nutrita produzione poetica in Lingua.
Poesie in vernacolo

Sono circa cinquanta componimenti poetici nei quali la Iapello ferma un mondo scomparso la cui rievocazione suscita nostalgia in chi l’ha vissuto ed incredulità in chi non l’ha conosciuto. Quello che rievoca la nostra poetessa un mondo in cui la lotta per la vita era, sì, dura, però, si sentiva il sapore della sudata conquista, conseguita giorno dopo giorno, così come viene posta pietruzza su pietruzza. Non ci si poteva, allora, distrarre. Si era protesi di continuo con il pensiero al domani. E la ragazza arrivava all’età di marito con la dote bella e pronta nella cassa. La mamma, infatti, previdente, gliela aveva raggranellata sin dalla nascita, lenzuolo su lenzuolo, coperta su coperta, perché all’epoca una buona norma dettava “zziteddha ntra la ‘hascia, a dota ntra la cascia.”
Originali i quadretti di occasionale vita vissuta che rappresentano la semplicità della quotidianità di una volta, soffusa di genuità e di poesia! Ed ecco le ragazze sull’aia, impegnate a sgranare le pannocchie del granturco, fanno a gara ad individuarne una speciale dalle cui caratteristiche trarre presagi per le loro aspirazioni amorose ( ‘U spicuna). Era un modo, quello, come divertirsi.
E ccussì passavunu ‘u tiampu li cotrari,
scupanandu lu spicuna, allegri si sentianu.
E le vesti, le foglie esterne che racchiudono le pannocchie, una volta costituivano il ripieno dei sacconi, gli umili giacigli di chi non poteva permettersi un soffice materasso ripieno di lana.
Lu spogghiavanu de li viesti e li cummari,
pemmu inchianu lu saccuna, si nda servianu.”
E vi erano quelli che sbarcavano il lunario ricorrendo ad espedienti, esercitando attività fra le più strane, per esempio, ‘ u sampavularu’ o colui che andava offrendo biglietti d‘ a ‘hortuna. E ci si faceva sull’uscio non perché si dava credito alle loro ciarle, ma perché, per i tempi, davano spettacolo. Ancora. Simpatici i quadretti relativi a “Lu contadinu mbiacu” e a “L’uamu de panza”. L’uno dopo una giornata di lavoro va alla cantina e
cerca nu puacu de ristoru
e vva mu si viva nu quartu de vinu,
ma ritornato a casa ubriaco non sa cosa fare,
cuamu li gira ntra chiddha testa,
mu ‘hacia liti o mu ‘hacia ‘hesta,
ma s’addormenta cuamu n’agghiru
cu tutti li scarpi lu contadinu ,
l’altro, invece,

lavora de la matina a li sira…

ma ntra li taschi no li resta na lira.

Non tralascia, la Nostra, nessuno degli aspetti di quella società, ormai archiviata, passata alla Storia quale società-civiltà contadina, La simina, La vindigna, la dura vita de Lu contadinu de na vota.

E a la lucia de la lumera

si vesta lestu lu contadinu.

Non poteva mancare una componente tipica di quell’ economia, Lu ciucciu.

Na vota cu avìa nu ciucciu

avìa nu capitala,

era nu mezzu de trasportu e de lavoru.

Lu contadinu de tuttu carricava,

cu avìa nu ciucciu avìa nu tesoru!

Ed ecco I misaruoli, le raccoglitrici di ulive che spartivano con il padrone in ragione della sesta parte, alla raccoglitrice spettava un sesto di quanto aveva raccolto durante la giornata.

Cu la schina a vasciuni sutta l’olivara

cogghìanu olivi tutta la jornata;

si ‘hermavanu sulamenta

pe mangiara

e si ‘hacianu puru ncuna cantata.

La Iapello porta con sé uno struggente rammarico di non essere potuta andare avanti con gli studi, finita la scuola elementare. E forte dell’amara esperienza fatta in terra straniera addita il valore, l’importanza de Lu sapira e fa l’apoteosi de La pinna

Sulu cu ttia arrivau lu progressu,

l’intelligenza e lu sapira.

L’uamu restava nu piscia lessu

si nno n’avia a ttia…

la pinna pemmu scriva!

La rievocazione del passato non è fine a sé stesso. O tempora! O mores! Niente di tutto questo! Non si ha rimpianti, anzi! Viene richiamato il passato perché le giovani generazioni facciano un’analisi comparativa con il loro presente e si rendano conto di quanto siano cambiati i tempi, di quanto e come sia migliorata la vita. E poi, gli usi di una volta oggi non sarebbero possibili, qualora si volesse praticarli, perché non lo consentirebbe il ritmo della vita moderna. A fare il bucato un tempo ci si metteva più giorni. La vucata” era un rito per chi doveva farla, una festa per i bambini, felice, ciascuno, di andare al fiume con la propria mamma. Ci si accontentava di poco! Riecheggiano nelle orecchie gli sciacquìi, le voci, i canti che salivano dalle fiumare! E sciacquato, levato il ranno, il bucato veniva disteso ad asciugare sui cespugli,
De ‘hesta chiddhi juarni si vestìa Jidari,
quandu iddha li panni a lu sula amprava
supa li struaffi de profumati jinostrari
e doppu asciutti a la casa si li portava.
………………………………………
Mo’ passau lu tiampu de lu ‘hiuma,

quandu tuttu si lavava a mmanu.

No ssi lava cchiu cu lu sapuna

ca na machina chi llava nventaru!

Allora si nasceva in casa e non si badava a tanto, correndo, però, seri rischi sia il nascituro sia la partoriente!

Quandu la ‘himmana

de parturira avìa

la levatricia si chiamava.

………………………….

Iddha pronta li ‘herra portava

sperandu nommu potianu servira.

……………………………………………..

A lu Signura raccumandava la ‘himmana

c’avìa de parturira.

E “la levatricia” dopo pochi giorni, accompagnata da alcuni bambini che portavano l’occorrente per la somministrazione del sacramento del Battesimo – acqua, sale e pane – senza alcuna pompa, portava e teneva il neonato al fonte battesimale divenendo in tal modo madrina della maggior parte dei bambini del paese.

Era sufficiente un mazzetto di garofani scritti, di quelli che un tempo scendevano dai davanzali delle finestre delle nostre case, scambiato nella ricorrenza di San Giovanni, ad intrecciare fra due famiglie un’intimità di rapporti che venivano tramandati di generazione in generazione (Li cummari de San Giuanni).

Che dire, poi, del mondo attinente alla gioventù…amorosa? Allora fra uomo e donna, in modo particolare fra i giovani, non vi era facilità di rapporti. Si avvertiva molto forte il disagio dell’accentuato distacco intercorrente fra giovani di sesso diverso. A scuola le classi miste erano una rarità! I tempi erano quelli, però, non per questo i giovani non riuscivano ad eludere la severa vigilanza dei genitori. Il “Vottandieri” era il luogo ideale degli appuntamenti, degli incontri amorosi. In casa vi era sempre bisogno di acqua fresca e la ragazza molto volentieri provvedeva a quella necessità domestica! La ragazza innamorata riusciva ad escogitare l’espediente, a trovare la scusa per uscire da casa ed incontrarsi con l’amoroso.

Si bbua mu vidi

l’amuri appuntunatu,

pigghiati la paletta

e nescia a ffuacu.

Si la tua mamma

dicia ca ti hai mpacciutu,

rispundi ca no trovasti

na scagghia de ‘huacu.

………………………..

Nemmeno quando si era fidanzati ufficiali, cioè quando si aveva il permesso di andare in casa dell’amorosa cessava…l’astinenza, nemmeno allora vi era possibilità di dimestichezza di rapporti fra i promessi sposi (Li matrimoni combinati).

Li fidanzati stavunu attianti,

sulu cu l’uacchi si potianu accarizzara,

d’ammienzu nc’eranu sempa li parienti

e all’ammucciuni na vasata potìa scappara.

Quanta diversità, oggi, di costumi!

Li tiampi mo’ cangiaru e la cotrareddha

mona lu zzitu si lu trova sula.

Passijanu nzema a li Poteddha,

supa lu Corzu senza mu ha pagura.

In Tiampi passati, La vacca la Nostra richiama, nell’una, l’atmosfera di familiarità, di amicizia e di calore umano

quandu de petra eranu li strati

e la genta seduta a rrota a rrota

cuntavanu ‘harahuli de li ‘hati,

nell’altra, traendo spunto da una simpatica vicenda familiare, richiama un insegnamento, sempre attuale, e che faceva parte di quella saggezza popolare

cu prima nno penza, all’urtimu suspira!

I componimenti a carattere religioso (L’Arciuamu, Notta de Notala, Santu Ruaccu, ‘U Patraternu, Vennari Santu ) evidenziano la religiosità popolare che si manifesta in modo tangibile in alcune ricorrenze alle cui scadenze , un tempo, ciascuno, uniformava lo scorrere della vita d’ogni giorno.

Per gli accenti toccanti meritano menzione Vorrìa tornara e ‘Higgiu!, nell’uno il desiderio dell’emigrato di tornare in patria, ma che un amaro destino lo ha condannato a morire da straniero in terra straniera, nell’altro il dolore, lo strazio di una mamma.

La Iapello si fa carico di promuovere la valorizzazione del dialetto e suggerisce che venga introdotto nelle scuole. Nella nostra originaria parlata troviamo la nostra identità, la nostra storia. E attraverso essa si può prefigurare una società riportata a quei valori che sono stati propri della forte e generosa terra di Calabria e che si richiamano alla laboriosità, alla famiglia, alla religione, alla solidarietà.

Parramu lu dialettu…

Parramulu a la scola!

Parramulu cu l’amici…!

Per quanto riguarda l’inflessione, la Iapello si richiama al parlare semplice, spontaneo, di tutti i giorni e rifugge da ogni ricercatezza dialettale che spesso travisa, deturpa e rende sgradevole la Lingua dei nostri Padri.
Filastrocche e detti popolari

Molte delle filastrocche sono dovute all’invettiva della Iapello. Dal giovane lettore possono essere ritenute delle banalità, ma non erano tali per i ragazzi di un tempo.

Transitando per le strade del paese non di rado si era colpiti dall’ allegro vociare di frotte di ragazzi che si rincorrevano ripetendo a cantilena le filastrocche più strane e spesso si rimbeccavano componendone con i loro stessi nomi. Era un modo semplice, allora, di quelle giovani generazioni come divertirsi, scherzare e passare il tempo. E’ il caso di richiamare Li juachi de na vota quando con un nonnulla – un pezzetto di legno, una pietruzza, un quadrato segnato a terra – si animavano i giochi dei bambini e le strade risonavano a quell’allegro e gaio clamore.

I detti o proverbi, granelli di sapienza popolare d’ogni tempo, rivelano la prontezza di un popolo ad esprimere i contenuti del quotidiano e ve n’è uno azzeccato per ogni situazione.

Glossario

Non ha le pretese di un dizionario. E’ solo una raccolta di quei vocaboli che potrebbero risultare inintelligibili all’occasionale lettore che non abbia adeguata familiarità con il dialetto.

L’etimologia di alcuni vocaboli – riferita ai grecismi, ai latinismi, ai francesismi e agli spagnolismi – richiama sia le civiltà, greca e latina, che si sono avvicendate nella regione, sia le dominazioni straniere a cui in vari periodi fu sottoposta la Calabria.

Contrariamente all’uso invalso nelle pubblicazioni in vernacolo, i vocaboli che hanno subìto l’aferesi non sono preceduti d’alcun segno distintivo. L’aspirazione tipica nel pronunciare alcune parole e che ricorda la lettura toscana di “carne” è un residuato della Lingua Greca che nel passato si parlava in Calabria e come tale riconducibile al suono della lettera (ch) di quella lingua. E non essendoci corrispondenza grafica nell’alfabeto italiano, seguendo la lezione del Rohlfs, si è ovviato alla deficienza identificando la predetta gutturale greca con la lettera h facendola precedere dal segno d’interpunzione ( ).

Poesie in Lingua italiana

La Iapello evade dal ristretto ambiente locale e con i suoi timori, le sue speranze, le sue riflessioni si affaccia con dignità a una realtà più vasta. Dalle sue poesie traspare una religiosità che avvince non solo l’uomo di Fede.La sua è la religiosità dell’amore, della fratellanza, della pace. Ed i temi sociali del momento vengono affrontati con la delicatezza di sentimenti che le sono propri. Dire che le sue poesie sono belle è troppo poco, sono bellissime! Esprimono un profondo lirismo e a volte il lettore affascinato rimane senza parola. E con alcune poesie – Freddo inverno, Se fossi!, La donna è amore, Cosa è l’amore, Tutto è poesia, Ho disegnato l’amore, Mistero, Profumo antico – per il susseguirsi delle immagini, il crescendo dell’intensità di sentimenti espressi e l’incalzare del ritmo si ha l’impressione di trovarsi sotto una pioggia, una cascata di luccicanti gemme.

La Iapello ha un senso religioso della famiglia. Quale affettuosa riverenza, quale nostalgia, tenerezza dalle poesie che la Nostra dedica, per esempio, al babbo. Dalla semplicità delle espressioni traspare quell’atmosfera di gaiezza che si respirava in famiglia allorché si era paghi di poche cose! La Nostra è un’acuta osservatrice della natura e delle sue varie manifestazioni si serve per esprimere i suoi pensieri, le situazioni d’animo e per dare corpo alle sue delicate immaginazioni.

Salvatore Stranieri


Non vantava titoli accademici, non aveva ricoperto cariche pubbliche, ma la notizia  della sua scomparsa, avvenuta il 12 luglio 2010, da persona a persona ben presto si diffuse per tutto il paese. Prova ne fu l’andirivieni di estimatori, di conoscenti e di amici che nei due giorni di veglia della salma in casa  accorsero per rendere omaggio alla memoria dell’estinto ed esprimere alla famiglia i sentimenti  di affettuosa vicinanza nella triste circostanza.

Parliamo di Pietro Zaccone, una persona rispettabilissima che godette della stima della comunità girifalcese per la sua serietà, per il suo profondo senso del rispetto verso gli altri, per la sua cordialità, per il culto del lavoro a cui dedicò la sua esistenza!

Cosa fece di particolare Pietro Zaccone, quale attività svolse da porsi all’attenzione di tutti e meritare l’ammirazione del paese?

Per il “Fisco” era titolare di una “Industria Boschiva” e per gli “Enti Previdenziali ed Assistenziali” un datore di lavoro.

Eufemismi dei nostri tempi con i quali ricorrendo ad un nominalismo oggi di moda vengono ammantate determinate e faticose attività, ma la loro essenza, la loro originalità, nonostante tutto, rimane inalterata!

Pietro Zaccone era, absit iniuria (a nobis), …un taglialegna!, certamente non nelle vesti del personaggio di Esòpo! Comunque l’attività che svolgeva si configurava e si configura nel primo anello della filiera della lavorazione e trasformazione del legno.

L’abbiamo fisso nella mente a cavalcioni del suo motoscooter, “un galletto”, incappucciato e stretto nell’impermeabile per ripararsi dai rigori della stagione inclemente, rincasare dopo essere andato su e giù per i sentieri delle nostre contrade i cui più remoti ed impervi recessi gli erano familiari e le cui verdi chiome vide, ad alterni cicli, innalzarsi verso il cielo  ed abbattersi al suolo sotto i colpi della sua rilucente scure!

Il successo, l’affermazione che conseguì nella nostra comunità non gli furono in dipendenza di colpi di fortuna, o di qualcos’altro di inopinato. Pietro Zaccone si guadagnò tutto sul…campo con il duro lavoro delle braccia, lubrificato (!) dal sudore della fronte. Fu come  “il servo buono e fedele” e come tale andava tesaurizzando giorno dopo giorno il frutto del suo faticoso lavoro che quotidianamente svolgeva per le impervie contrade. Nello svolgere la dura attività Pietro Zaccone, lavoratore in mezzo ai lavoratori,  si avvaleva, sì, delle prestazioni di altri lavoratori, ma con i quali non intercorsero mai rapporti di dipendenza, se non quelli di collaborazione, avendoli trattati sempre da pari a pari e non negò mai loro la giusta mercede!

Pietro Zaccone era una persona cordialissima, aperta e disponibile con tutti. Una persona rispettosa, semplice ed umile! In lui non albergavano sentimenti di superbia! Sia che si trovasse dinnanzi a giovani o adulti, a titolati o non, Pietro Zaccone era pronto al saluto, in particolare a porgerlo, tanto che sovente ci si sentiva in disagio in quanto era lui a precedere in tale atto di cortesia e di amicizia!

Da queste colonne a Mariuzza, la fedele ed affettuosa sposa, ai figli, il Rag. Francesco e la Maestra Rosina con le rispettive famiglie, ai parenti tutti rinnoviamo le nostre sentite condoglianze.

La Chiesa di Santa Domenica

In fondo a Via F.lli Bandiera sorgeva una Chiesetta dedicata a Santa Domenica, la Santa che durante la persecuzione di Diocleziano subì il martirio a Nicomedia, l’attuale città turca di Izmit. Dell’edificio di culto oggi non si rinviene traccia.Unica testimonianza è data da una nicchia con l’immagine della Santa, incassata nella parete esterna di un’ abitazione, che secondo la tradizione faceva parte della chiesetta. La Santa, il cui culto fu introdotto durante il periodo greco-bizantino, godeva nel passato di  particolare venerazione. Nell’onomastica locale, infatti, il nome della Martire di Nicomedia ricorreva con frequenza sia nella forma completa, Domenica, sia in quella abbreviata, Minica, tratta dal corrispondente latino (Do) Minica. Con ogni probabilità la Chiesetta fu distrutta da eventi di cui non conosciamo la natura e in epoca anteriore ai disastrosi sismi verificatisi nel 1638 e nel 1783. Nelle Relazioni ad Limina precedenti ai predetti disastrosi eventi viene indicato un numero di chiese tale da indurci a ritenere non inclusa nel novero delle predette quella di Santa Domenica. La circostanza risulta confermata dalle cronache dell’epoca nelle quali non troviamo alcun riferimento relativo alla Chiesetta di Santa Domenica. Lutius de Urso nella sua cronaca riferisce  che nel 1638 a Girifalco ” la terra si fracassò e particolarmente una torre altissima di fabrica assai antica; in una delle due parti della Terra si è spezzato il monte e fatta apertura e molti cittadini hanno fatto le case in altro luogo…in questo 27 marzo rovinò con la morte di 50 persone ordinarie.” Ancora. Nella “Lista di carico” che all’indomani del terremoto del 1783 fu redatta per conto della Cassa Sacra leggiamo, infatti, che ” la Chiesa è diruta da fondamento senza materiale di sorta“. E’ vero che per favorire la ricostruzione delle abitazioni private fu impedito che alcuni edifici  di culto venissero riedificati, ma è inverosimile che con tanta sollecitudine si sia fatto uso, da parte dei privati, del materiale che sarebbe appartenuto alla Chiesetta di Santa Domenica, posto che fosse stata distrutta dal terremoto del 1783.Certamente le condizioni economiche del tempo, aggravate dalle conseguenze del disastroso sisma, non favorirono una sollecita ripresa. A riprova della nostra tesi vi è, ancora, il verbale che con dovizia di particolari, subito dopo il terremoto, redasse l’Arciprete Bova. Nel documento la Chiesetta di Santa Domenica non viene affatto menzionata. Perchè i lettori ne prendano diretta visione, riportiamo quanto abbiamo letto presso l’Archivio di Stato di Catanzaro ( pag. 497):

“II^ da Fabriche”

Cappella di Santa Domenica

Luogo di casa diruta

Nel disimpegno si dice che questa cappella possiede un luogo di casa diruta dal tremuoto che solleasi affitare 6 annui ducati.

Chiesa di Santa Domenica

La detta Chiesa nella descrizione delle fabriche dei Luoghi pii di Girifalco, fatta per ordine della Giunta da D. Gaetano Cannatelli così si descrive.

“Chiesa di Santa Domenica. E’ diruta parimenti da fondamento senza materiale di sorta alcuna lunga palmi 40, e lunga palmi 20 .”

Da quanto sopra esposto si evince che la Chiesa di Santa Domenica sia realmente esistita, ma non conosciamo l’epoca in cui fu rasa al suolo.

Pubblicazioni e Fonti di riferimento

-Lutius de Urso in Luoghi Sismici di Calabria di G. Boca (pag. 218);

-Progetto di Educazione Ambientale -Scuola Materna ed Elementare di Girifalco- A.S. 1995/96;

-Pagine Bianche Giugno 2001;

-Relazioni ad Limina dei Vescovi della Diocesi di Squillace (Archivio Segreto Vaticano);

-Verbale redatto dall’Arciprete Bova all’indomani del sisma del 1783 (Archivio Parrocchiale di  Girifalco);

-Lista di Carico riferita al sisma del 1783 (Archivio di Stato di Catanzaro).

Categoria: Ricerche d'archivio e non  Commenti Disabilitati

Circondati da parenti ed amici
l’8 settembre 2010 abbiamo festeggiato

I NOSTRI PRIMI (!) 50 ANNI DI MATRIMONIO

“……..L’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà alla sua donna
e i due formeranno una carne sola. (Gènesi 2, 18-24)”

NOZZE D’ORO

ANGELA E SALVATORE

8 settembre 1960-2010

Ieri…

OGGI
08-09-2010

nella Chiesetta dell”Annunciata alle ore 19,00
rinnoviamo il nostro “Si”

ANGELA E SALVATORE

 

Eccoci dinanzi a Te, O Signore, per esprimerTi il nostro grazie,
per elevare a Te la nostra preghiera.

O Dio, Signore dell’universo,
che in principio hai creato l’uomo e la donna
e hai istituito il patto coniugale,
benedici e conferma il nostro amore,
ricevi il nostro umile ringraziamento per i Tuoi benefici
e fa’ che al dono della Tua benevolenza
corrisponda l’impegno generoso della nostra vita
a servizio della Tua gloria!

O Vergine Santissima a Te affidiamo la nostra umile preghiera,
sei Tu l’Angelo di Dio nella nostra casa,
coprila con la Tua protezione, allontana ogni male
e colma di ogni bene insieme alla nostra tutte le famiglie!

 

8/9/1960

 

2010

 

  

E’ una questione aperta, quella relativa all’etimologia del nome della cittadina.Sinora molti i tentativi perchè se ne venisse e se ne venga a capo, ma non disponendo di documenti di supporto si è caduti spesso e si cade tuttora nelle illazioni e si è fatto e si fa del virtuosismo. In un servizio giornalistico apparso molti anni addietro sulla ” Tribuna Illustrata” si legge: “Girifalco deve la sua nascita alla morte di due paesi, Tochio e Carìa, distrutti dai Saraceni nell’836. Gli scampati all’incendio e al macello si rifugiarono sopra una rupe chiamata “Pietra dei Monaci”, e respinsero ogni assalto lanciando, in disperata difesa, le pietre strappate allla montagna. Furono chiamati, quei prodi, una “Sacra Falange”, e, da questo loro nome, detto in greco, venne il nome del loro nuovo nido, Girifalco.”

Anche se G. Valente afferma, pure lui, che ” venne fondato dagli abitanti di Carìa e di Tochio”, ma, “abbandonate in epoca imprecisata a causa di eventi non conosciuti”, non ci sentiamo autorizzati a rigettare sic et simpliciter l’interpretazione etimologica dell’articolista della “Tribuna.” Anzi.Dall’esame del vocabolo greco falanx, falangos – falagx, falaggos – rileviamo che il vocabolo, in quanto ad assonanza, al caso genitivo, falangos, ricorda la seconda parte del nome composto Giri-falco. Ed ancora. Ci siamo mai chiesti perchè il nostro vecchio borgo ab antico è denominato Pioppi o, meglio, Chiuppi? Il pioppo è una pianta d’alto fusto che di solito vegeta nelle zone umide o lungo gli argini dei fiumi, circostanze che non ricorrono a proposito del nostro vecchio borgo che sorge abbarbicato su un promontorio che si affaccia sulla vallata sottostante. E allora donde la denominazione Pioppi, Chiuppi ? Cosa era la falange se non un settore dell’esercito macedone costituito da una massa compatta e rigida, fitta fitta di fanti armati di sarissa, di lance? E il pioppeto cosa è se non un bosco fitto fitto di pioppi? E, aggiungiamo, con l’espressione dialettale ” na chiuppiceddha d’olivari “ cosa intendiamo indicare se non un piccolo podere fitto fitto di piante d’ulivo? Cosa è il nostro vecchio ed antico borgo se non un agglomerato fitto fitto di casupole addossate l’una sull’altra? Alla luce di tali considerazioni falange e il dialettale “Chiuppi” hanno in comune l’idea della compattezza, della foltezza, della fittezza che ciascuno di essi esprime. E’ pura accademia? Ce ne scusiamo con gli occasionali visitatori del nostro sito e cerchiamo di avviare il discorso su un piano più realistico.

Innanzi tutto, anche se en passant, qualche considerazione su questo uccello, il falco. E’ un rapace che nidifica fra le rocce o negli anfratti dei burroni, vola alto nel cielo con larghi giri – donde il nome Girifalco!?!? – finchè avvistata la preda piomba velocissimo su di essa. Per questo tipo di rapaci quale migliore habitat della rupe della Pietra dei Monaci con i suoi anfratti idonei alla cova e sovrastante su di una vallata non certo avara del cibo da essi preferito, topi, rettili, pipistrelli, pulcini, carogne, ecc.!L’opinione comune è che il nome derivi dal girovagare di un falco intorno all’abitato, tesi supportata da studiosi che si sono interessati  della etimologia della denominazione della cittadina. Il Rohlfs nel suo dizionario dà per scontato che il paese abbia preso il nome dall’uccello girifalco. Il Rev.mo Arciprete Don Francesco Palaia, di cara memoria, in un suo studio arrivatoci in veste dattiloscritta, a proposito scrive “…sorse l’attuale Paese al cui nome – Girifalco – sembrerebbe accennare il falco che si vede spaziare nell’azzurro su le torri del suo stemma.” Giovanni Alessio ci rimanda, invece,  ad un Kurios-Falcos, Dominus Falcus, ma il suo Kurios-Falcos è un presbitero in agro civitatis Nohae ( Nova Siri in Basilicata), parte contraente in un rogito del 1118. Quindi, l’Alessio non andrebbe oltre il meritevole tentativo di una soluzione etimologica. Alla tesi che il rapace abbia a che fare con la denominazione della cittadina attinge il Lear, uno scrittore e viaggiatore inglese, che percorse a piedi il Sud d’Italia: “Arrivai ad una città di campagna chiamata con il delizioso nome di Girifalco…probabilmente se uno potesse scavare nella sua storia, potrebbe trovare che il nome arrivi ai Normanni o probabilmente al più grande dei falconieri, Federico II.”

Per il sovrano svevo Girifalco, in posizione centrale sull’Istmo di Catanzaro, poteva costituire una postazione strategica, dall’alto di Monte Covello si scorge l’uno e l’altro mare e, quindi, una guarnigione vi sarebbe andata più che bene. Non dobbiamo ignorare che un pezzo dell’artiglieria antica si chiamava, appunto, Girifalco e a Massamarittima nel mese di agosto si disputa ancora il palio di Girifalco, cioè della balestra. Ed ancora. La chiave della soluzione potrebbe essere ricercata nell’ambiente di corte del sovrano di Sicilia. Allora era in voga la caccia con il falco e vi erano i falconieri, ufficiali di corte preposti all’allevamento dei falconi e alla direzione delle battute di caccia. Niente di più facile che un falconiere, kurios Falcos/Dominus Falcus,  risiedesse da queste parti.

La zona di Girifalco, infatti,  in determinati periodi dell’anno costituisce passaggio obbligato di questi uccelli e alcune guide turistiche  presentano la cittadina come il paese di questi particolari “adorni”. Lo storico calabrese Gabriele Barrio (1506-1577) definì Girifalco luogo adatto all’uccellagione di fagiani, starne e coturnici. L’aucapio, si sa, era praticata con l’ausilio dei falchi, rapaci un tempo presenti negli anfratti della “Pietra dei Monaci”. Da qui siamo indotti ad azzardare una soluzione etimologica , tutta nostra!, secondo la quale la denominazione della nostra cittadina, Girifalco, sta per PAESE dei FALCHI, cwra -paese- + ierakos -falco-, e da ‘horaierakos, attraverso un processo di trasformazioni, si è arrivati a Girifalco.Sono nostre supposizioni, considerazioni non sorrette da documentazioni.E’ fare, in verità, pura letteratura senza ottenere alcunchè di concreto e venire a capo di cosa.

Non solamente Girifalco porta raffigurato un uccello nel suo stemma, per citarne qualcuna, Gerace porta uno sparviero rampante in campo aperto, Aieta ha nello stemma un’aquila, e i loro nomi ricordano gli uccelli raffigurati nei rispettivi stemmi. Aieta, infatti, ci rimanda al greco aetos aetos, l’aquila, un tempo presente nell ‘antico centro abitato. A proposito dello stemma civico di Gerace si narra una leggenda molto simile a quella che ci viene tramandata per lo stemma del nostro paese, secondo la quale un falco girovagasse senza posa su in alto nel cielo del nostro vecchio ed antico centro abitato. Vincenzo Cataldo, infatti, così scrive: ” La leggenda, e si sa che sovente queste hanno uno spessore realistico, narra che dopo la tremenda incursione araba del 915, i superstiti Locresi seguìto il volo di uno sparviero posatosi sopra il massiccio roccioso, abbiano fondato, o meglio rinforzata una nuova munita cellula urbana che meglio si prestava ad essere difesa…L’ipotesi più affascinante fa derivare il nome della città da hierax, rapace che nidificava abbondantemente su questa altura.” Il parallelismo tra le due leggende è evidente.

Il Tommaseo alla voce Girifalco così recita: ” la prima parte del vocabolo può essere il greco ierax che vuol dire sparviero, falco”. Avremmo così la ripetizione dello stesso termine nelle due lingue morte, greca e latina,  come per Linguaglossa, il grosso centro dell’entroterra catanese. La tesi potrebbe trovare giustificazione nel processo di latinizzazione della Diocesi di Squillace promosso nell’undicesimo secolo dal Conte Ruggero, nella prima parte del nome gli echi della civiltà greca-bizantina, nella seconda parte, con il tardo latino falcus, l’incipiente civiltà latina.

Secondo noi Girifalco non è un vocabolo o nome composto che racchiude in sè un particolare significato ancora da svelare. E’ il nome, sempre a nostro avviso, del rapace del quale la rupe sulla quale si rifugiarono gli abitanti di Tochio e di Carìa costituiva un habitat ideale. Girifalco, come vocabolo, non è nato con il  sorgere del nostro paese, ma è anteriore alla nascita della nostra cittadina che ha assunto tale nome dal rapace che già nidificava negli anfratti della rupe della Pietra dei Monaci. Da una consultazione avviata su vari dizionari ci è risultato che con tale nome, Girifalco, da tempo immemorabile vengono indicati questi particolari “adorni”,Gerfalc e Girfalt (francese antico ) e Gerfaut ( francese moderno ), gir (avvoltoio)+ falko ( tedesco antico ), Geirfalki ( antico scandinavo ).

Il toponimo Girifalco, inoltre, è presente in varie parti della penisola italiana, a Cortona in provincia di Siena, ad Avezzano in provincia dell’Aquila e a Ginosa in Puglia. Cortona è dominata dalla Fortezza di Girifalco ” arroccata come un astore – uccello dal quale appunto sembra derivi il nome di Girifalco o Girfalco – sulla ” punta di monte più isolata da ogni parte” del pendio che domina la sottostante città di Cortona, la Fortezza si eleva a quota 651 m.s.l.m. proprio sopra il santuario di Santa Margherita, in un’area le cui vicende si sono succedute dall’età etrusco-romana fino ad oggi.” E’ una imponente costruzione poligonale che abbiamo avuto l’occasione di ammirare.

Fortezza Medicea di Girifalco (1549-1556)

Nel territorio di Avezzano sorge Monte Girifalco e il relativo valico. Anche nel centro della provincia dell’Aquila, al pari di noi, sono impegnati nella soluzione etimologica per quanto riguarda la denominazione della loro montagna. Nell’entroterra di Ginosa si trova la contrada Girifalco, una volta feudo della Principessa Maria Cristina d’Austria. Gli storici fanno derivare la denominazione del luogo dal rapace che nel passato volteggiava sulla zona.

Girifalco è stato innalzato a comune durante il decennio francese con decreto istitutivo dei comuni del 4 maggio 1811 e nel suo stemma-distintivo è stata accolta la leggenda dalla quale si è fatta derivare la denominazione del paese. Il Valente contrariamente a quanto appare nell’attuale stemma ufficiale nel quale sono raffigurate tre torri ci propone uno stemma con una sola torre sormontata da un falco. Con la “Legge n° 360 del dì I° Maggio 1816 portante la circoscrizione amministrativa delle provincie del Regno di Napoli” Girifalco venne incluso nel Circondario di Borgia e contava 3262 abitanti.

OPERA SCULTOREA DEL CAV. ANTONIO FODARO

OPERA SCULTOREA DEL CAV. ANTONIO FODARO

STEMMA-DISTINTIVO DEL COMUNE DI GIRIFALCO

STEMMA-DISTINTIVO DEL COMUNE DI GIRIFALCO

Pubblicazioni consultate

  • “La Tribuna Illustrata” del 07-02-1937.
  • Progetto di Educazione Ambientale: Girifalco, territorio da leggere Anno S.co 1995/96.
  • G. Alessio, Saggio di toponomastica calabrese.
  • Lear, Diario di un viaggio a piedi.
  • G. Barrio, De Antiquitate et De Situ Calabriae.
  • V. Cataldo, GERACE Arti Grafiche.
  • Eleonora Sandrelli, CORTONA La Fortezza di Girifalco Aion Cortona.
  • ACI 1988, Catanzaro, La Provincia del Sole.
  • Don Francesco Palaia, Parrocchialità della Chiesa di San Rocco.
  • G. Valente, La Calabria nella legislazione borbonica.
  • G. Valente, Dizionario dei Luoghi della Calabria.
  • G. Gemoll, Vocabolario Greco-Italiano.
  • Schenki e Brunetti, Dizionario Greco-Italiano-Greco.
  • G. Rohlfs, Dizionario Dialettale della Calabria.
  • G. Rohlfs, Dizionario Toponomastico della Calabria.
  • N. Tommaseo, Dizionario della Lingua Italiana.
  • N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana.
  • Cerruti e Rostagno, Vocabolario della Lingua Italiana.
  • Il Novissimo GHIOTTI, Vocabolario Francese-Italiano-Francese.
Categoria: Ricerche d'archivio e non  Commenti Disabilitati

A ricordo dellla Santa Benedizione impartita
dal Rev.mo Parroco Don Antonio Ranieri
all’ Edicola Votiva dedicata
alla Beata Vergine Maria del SS.mo Rosario
e a San Rocco e San Sebastiano


Coniuges
Angela Soverati et Salvatore Stranieri
magna cum devotione
Anno D.ni MMVII

25/08/2007

Religiosità e laboriosità sono andate sempre di pari passo nelle nostre campagne. E della pietà religiosa diffusa nel mondo rurale le “cuanuli”, le “Edicole votive”, costituiscono una testimonianza tangibile. Di queste piccole costruzioni pullulano le nostre contrade. Trovano, ciascuna,  la ragion d’essere ora nell’ espressione di un ” ex voto “, ora nella particolare devozione al Santo di cui è raffigurata l’effigie. Sorgono tutte in punti strategici, alcune agli incroci dove gli occasionali viandanti, dopo essersi segnati e aver rivolto un intenso sguardo alla sacra icona, si accomiatavano e ciascuno continuava per la sua strada, altre in cima ad un’erta, come se l’immagine sacra dall’alto dovesse dare animo a chi sotto pesanti fardelli sulle spalle o sulla testa andava per la salita. Di quanti sforzi, di quanti sospiri  ci riferirebbe, se lo potesse!, l’immagine de l’ Hecce Homo!

Le ” cuanuli “ rappresentano un particolare aspetto di un mondo ormai mandato in archivio, ma al quale, ora, si sta attendendo per riscoprirlo, ne costituiscono prova le tesi di alcuni studenti universitari.

Questi piccoli tempietti (!), dovuti alla sensibilità religiosa delle vecchie generazioni, inoltre, così come si presentano dislocati, scandendo le tappe dei vari percorsi, hanno ovviato alla mancanza di una toponomastica rurale, infatti, molte contrade ne trassero, ciascuna, la denominazione. E ricordiamo:  “La cuanula de la Pietà”,  l’ “Arciuamu”, ” U Cora de Gesù”, San Giuseppe, ” I tri cuanuali”…

Le immagini della Madonna del Rosario e dei Santi, San Rocco e San Sebastiano, ai quali l’ edicola è dedicata, sono in perfetta sintonia con l’ambiente. Quella del Rosario era detta la festa dei contadini perchè con le loro generose offerte di grano e di granturco  contribuivano in modo sensibile  alle spese per i festeggiamenti; i Santi, Rocco e Sebastiano, l’uno Santo Patrono di Girifalco, l’altro Santo Patrono di Jacurso, erano detti “santi pastorali”, i nostri contadini mettevano sotto la loro protezione il loro bestiame perchè fosse preservato dal terribile morbo endemico, la peste.

Con l’ “Edicola Votiva” è stato realizzato un vecchio sogno nel quale confluiva la profonda devozione alla Madonna del SS.mo Rosario e ai nostri Santi Protettori, San Rocco e San Sebastiano

e l’amore, l’attaccamento alle tradizioni, non senza una velata aspirazione o un pizzico di umano orgoglio.

Siamo grati a tutti coloro che ci hanno consentito con le loro prestazioni di realizzare questa modesta opera che sin d’adesso intendiamo condividere con tutti coloro che in avvenire trovandosi a transitare per questa contrada vi sosteranno per una breve riflessione.

Angela Soverati
Salvatore Stranieri

Categoria: Società civile  Commenti Disabilitati

Funere Mersit Acerbo
“…di virtù maturo e d’anni acerbo
così n’ha morte indegnamente estinto.”

Luciano CucinottaViva commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Luciano Cucinotta avvenuta a Padova sabato 5 del mese di giugno 2010. La comunità di Girifalco, che in simili circostanze non esita a esternare la sua profonda sensibilità, ha manifestato la sua commossa ed affettuosa solidarietà alla giovane sposa e a tutta la famiglia con una partecipazione corale alle esequie celebrate mercoledì 9 giugno nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Nevi.

Chi era Luciano Cucinotta?, un figlio della generosa terra di Sicilia che con il vincolo del matrimonio aveva unito il suo destino a quello di una nostra giovane concittadina, Angela Catalano. Da comuni amici abbiamo appreso che il loro primo incontro fu, sì casuale, ma in una cornice tutta particolare e all’insegna dell’altruismo, della generosità, dell’amore verso il prossimo, del donare parte di se stessi a chi ne abbia bisogno e che solamente una istituzione come l’AVIS può offrire! All’epoca Luciano reggeva la locale sezione donatori di sangue, Angela, pure essa donatrice di sangue, frequentava le lezioni di giurisprudenza presso l’Ateneo di Messina. E fu in una seduta di “donazione ” che le frecce di Cupìdo fecero bersaglio nel cuore di Luciano che notò Angela, se ne invaghì e da quel momento la cercò, la rincorse, le dichiarò il suo amore, ne fece richiesta e la … condusse all’altare! E Luciano, unico figlio di genitori scomparsi da tempo, riempì così il suo vuoto di affetti e di calore umano. Infatti, la famiglia Catalano, ricca di sangue e di affetti, accolse e tenne Luciano in luogo di figlio e di fratello!

Luciano CucinottaE Angela, giovane laureata in giurisprudenza, e Luciano, essendo interessato alle apparecchiature elettroniche di alta precisione lavorava nell’ambito della Sanità, andavano felici e contenti, felici del loro amore, contenti del loro stato.

Purtroppo la favola di Angela e Luciano fu di breve durata! Uno di quei mali resistenti a tutti i ritrovati della Scienza minò la fibra di Luciano e si manifestò sin dall’inizio così implacabile che a nulla valsero l’amore di Angela, le speranze di papà Giovanni, le preghiere di mamma Teresa, le ansie di Domenico e Salvatore, il ricorso a centri sanitari di eccellenza!

La repentinità con la quale precipitarono gli eventi, lo stato di pienezza fisica di Luciano e soprattutto la sua giovane età in cui gli era dato con i progetti di proiettarsi insieme ad Angela nel futuro ci hanno rimandato alla memoria il virgigliano funere mersit acerbo! E, sì, Luciano in meno di due mesi dal manifestarsi del male a soli quarantasette anni concludeva la sua giovane esistenza!

Nonostante non l’avessimo conosciuto proprio direttamente, sapevamo di lui quale persona dai modi gentili e di buona e sana cultura. E abbiamo sentito parlare della sua generosità, della sua disponibilità verso gli altri tale da rasentare l’esagerazione, ci viene riferito! In ogni situazione si dava da fare per rendersi utile con tutti, indipendentemente se appena conosciuti! E chi lo ha appena conosciuto, per l’ottima impressione che di lui si era fatto, alla ferale notizia è rimasto interdetto, incredulo, gravemente turbato!

Angela, nel cielo mancava una stella! Il firmamento si è arricchito di una luce! Non è retorica, ce lo suggerisce la Fede! Nel Paradiso albergano i buoni e al Paradiso tendono le anime buone! Sia questo almeno di conforto al tuo grande dolore, al cuore lacerato di mamma e papà, ai tuoi fratelli che gli vollero tanto bene, a tutti i tuoi parenti!

Sappi che sei presente nel cuore, nella mente del tuo maestro che in questa triste circostanza avrebbe voluto esternare tutta la sua partecipazione al tuo grande dolore, ma il suo turbamento è tale da impedirgli di trovare le parole adatte!

Abbi un grande abbraccio e una stretta, forte forte, al cuore!

Categoria: Non dimentichiamo  Commenti Disabilitati

“Figure e colori in musica” è la personale che Luigi Sabatino presenta al Circolo Ufficiali dell’Esercito di Corso Vinzaglio, 6 a Torino, dall’11 al 24 giugno 2010. La mostra di Corso Vinzaglio, però, è fra le tante “personali” e “collettive” che Sabatino annovera al suo attivo nelle quali ha sempre riscosso favore di pubblico e giudizi lusinghieri di critici d’arte quali Bottino, Carluccio, Dragone, Levi, Marziano, Mistrangelo, Rossi, Sartori ecc. E’ appena il caso di dire che l’invito mi è pervenuto più che gradito ed ha suscitato in me emozioni, ricordi e riflessioni inerenti, tutti, ai vincoli che ci legano alla nostra Girifalco, ai vecchi rapporti intercorsi tra maestro e scolaro, all’aver abitato nello stesso rione, le nostre abitazioni se non dirimpettaie erano così vicine che alla bisogna bastava che ci dessimo voce. Posso dire che l’ho visto crescere. Ancora con i pantaloncini corti papà e mamma me lo affidarono per prepararlo agli esami di ammissione alla Scuola Media Inferiore.Vi erano all’epoca due sessioni di esami, l’estiva e l’autunnale. Luigi fu presentato direttamente a quella autunnale. Si doveva andare agli esami…ferrati, preparati altrimenti si rischiava di perdere l’anno. E sì, ero rigoroso, lo ricordo bene!, qualche scappellotto mi sfuggì di mano!Non erano consentite distrazioni non essendovi altra prova di appello se non quella di essere respinti. I risultati ci furono e furono più che soddisfacenti, con soddisfazione di mamma e papà e pure mia, tanto più che ero all’inizio della carriera di insegnante.

Per continuare gli studi Luigi emigrò a Torino e forse frequentò quell’istituto scolastico il cui edificio era stato costruito con fondi della Cassa per il Mezzogiorno! Ricordo le aspre polemiche fra le forze politiche del tempo. L’una accusava l’altra di rapina ai danni del Sud, l’altra a giustificazione adduceva che quell’edificio era stato costruito appunto con fondi della Cassa perchè destinato ad accogliere i figli dei meridionali che lavoravano al nord!

Nello spiegare l’invito la mia attenzione subito è stata attratta dallo spartito musicale riportato in fondo al foglio e per istinto dissi fra me e me: Non ci poteva mancare! Non intendo indossare le vesti del critico d’arte, sono consapevole che mi andrebbero più che strette e allo stesso tempo evito che qualcuno mi sussurri all’orecchio ne supra crepidam, sutor!, che io faccia il mio mestiere! Le mie sono considerazioni che si riferiscono a vicende di vita vissuta e niente altro!

Luigi non poteva lasciare negletta Euterpe, la Musa che diletta con i suoi sonori accenti. La mente corre ai tempi passati quando il nostro complesso bandistico diretto dal maestro F.sco Malfarà con i suoi concerti era presente su tutte le piazze della Calabria portando alto il nome della nostra Girifalco. La nostra Banda agiva, andava alla grande! Mi riecheggiano le note della marcia del Mosè e di quella di Radetzky che la nostra Banda eseguiva, la prima sera del 15 agosto quando San Rocco e la Madonna si incontravano a sommità della “Salita dalla Piazza al Piano”, l’altra al rientro in Chiesa delle Sacre Immagini.

Il maestro Malfarà da umili artigiani seppe trarre provetti musicanti. Non era raro entrare nella bottega del calzolato, del falegname, del sarto e barbiere e sentire fischiettare arie di opere classiche. Il Barbiere di Siviglia, la Gazza Ladra, la Cavalleria Rusticana, l’Aida, l’Amico Fritz, il Rigoletto ecc., costituivano il forte della Banda di Girifalco. Si racconta, infatti, che la Banda di Girifalco mentre stava eseguendo sul palco un pezzo impegnativo all’improvviso se ne andò la corrente elettrica e si spensero le luci, nessun panico fra i musicanti i quali fra gli applausi generali del pubblico di quel paese continuarono a suonare. Chi erano questi musicanti?, gente semplice che passava la giornata china a cucire, a radere barbe, a piallare, a risuolare e chiodare scarpe, ma la sera si davano convegno alla “Sala della Musica”, il vecchio Municipio del paese che il Comune aveva dato in comodato alla Banda e là, sotto la direzione dell’ottimo maestro Malfarà, concertavano il programma musicale che intendevano proporre durante la stagione delle festività patronali. Uno di questi era Alfonsino Sabatino, il papà di Luigi, un bravissimo sarto, se mi è consentito non esito a definirlo un “artista dell’ago”, uno stililista ante litteram. Anche io, da giovane, andai orgoglioso di aver indossato una giacca confezionata da mastro Alfosino. Per quei tempi un capo di vestiario di lusso. La stoffa era un misto di lana e seta, l’aveva tessuta mia madre al telaio di casa. Mi ricordo “le messe in prova”, mastro Alfonsino mi faceva stare diritto, diremmo, impalato, mi osservava da tutti i lati, da cima a fondo, il capo doveva cadere a pennello e così fu da suscitare l’invidia dei miei compagni di scuola.

Mastro Alfonsino – sia per rompere la monotonia del consueto lavoro sia per rimodulare qualche nota – spesso alternava i punti di cucito con l’ arte che ingentilisce i cuori e dava fiato alla sua tromba. Nella quiete degli assolati pomeriggi si spandevano per il vicinato quelle note musicali che a ricordarle mi risuonano con nostalgia.

Vi era anche mastro Giuseppe Fodaro, il vicino di casa la cui figura Luigi, passeggiando nella memoria, ha impresso con i suoi colori. Anche mastro Giuseppe lasciava di tanto in tanto gli abituali strumenti di lavoro, concedendo un po’ di quiete alla sua “Singer”, e spiegato sulla “banca” lo spartito con il suo strumento musicale, non ricordo se basso o bombardino, andava rimodulando qualche passo. E Luigi al suono di quelle note, sia di mastro Giuseppe sia di quelle paterne, avanzava negli anni della sua verde età. Ed è stato giocoforza che in lui sia rimasto un desiderio inappagato, quello di studiare musica o, meglio dire, il rimpianto di non averla potuta coltivare fino in fondo. Mastro Alfonsino ha trasmesso al figlio l’amore per la musica, prova ne sia che nella produzione artistica di Luigi sono sempre presenti elementi che si richiamano all’arte bella – fisarmoniche, clarinetti e soprattutto la tromba di papà -, ma non potè e non poteva dare più di tanto! Papà e mamma, con la loro saggezza consona ai tempi, avviarono il loro Luigi agli studi, a quelli ritenuti veri, regolari e più proficui!, perchè conseguisse un titolo di studio che gli assicurasse l’avvenire. Studiare musica allora era una impresa ardua se non impossibile. All’epoca, infatti, non vi era alcuna opportunità, mentre oggi pullulano dappertutto le associazioni che promuovono attività e manifestazioni musicali, le scuole di musica vanno sempre più diffondendosi, l’educazione musicale è entrata a pieno titolo nella scuola pubblica, a partire da quella primaria.

Quella di Corso Vinzaglio presso il Circolo Ufficiali dell’Esercito non sarà una delle solite Mostre d’Arte. L’autorevole e puntuale presentazione di d. Luigi Ciotti e l’altrettanta autorevole annunciata presenza del Maestro Daniele Comba e la Sua Tromba sono di preludio non tanto ad una semplice esposizione di tele quanto ad un rilevante evento artistico.

Esprimendo il mio profondo rammarico di non poter essere presente, sicuro che come al solito il successo di pubblico e di critica non mancherà, rappresento a Luigi il mio vivo compiacimento e il mio affettuoso saluto augurandogli una serie infinita di ulteriori affermazioni.

Domenica 25 Aprile 2010 alle prime luci dell’alba il carissimo ed amatissimo dottore Salvatore Pacileo ci ha lasciati! Una malattia, che sin dall’inizio del suo apparire si mostrò ribelle a tutti i ritrovati della Scienza andando manifestandosi giorno dopo giorno nella sua implacabile recrudescenza, da un quinquennio lo aveva inchiodato a letto. Tutte le volte che ci siamo trovati in Piazza Umberto I° ed abbiamo alzato gli occhi a quel balcone abbiamo provato una forte fitta al cuore pensando al dramma umano che andava svolgendosi dietro quelle imposte socchiuse!Le sofferenze chiamato a sopportare gli valgano dinnanzi al Buon Dio quale catarsi redentrice dell’umana fragilità di cui ciascuno di noi è portatore! In paese, anche se il triste evento era più che temuto, la sua dipartita è stata motivo di profonda commozione e perchè ciascuno è andato con il pensiero alle sofferenze patite e per il personaggio in se stesso. Che il dott.Pacileo sia stato una persona rispettabilissima e molto stimata si è avuta la prova alla celebrazione delle sue esequie, una folla di estimatori, conoscenti ed amici sia del luogo sia accorsi dai paesi viciniori gremiva Piazza Umberto I° in attesa che avessero termine le esequie in chiesa e potesse porgere, quindi, l’estremo saluto alla salma ed esprimere alla famiglia – sorelle, fratello, cognati, nipoti e parenti tutti – le più sentite condoglianze.

Durante la difficile e dolorosa ultima fase della sua esistenza innumerevoli sono stati coloro che si sono portati da lui per manifestargli la loro vicinanza. E lui accoglieva tutti con la sua abituale e nota serenità, bonarietà, cordialità! Le volte – poche in verità e sinceramente ce ne rammarichiamo- che siamo andati a manifestargli la nostra premura, non solo quella nostra, i nostri occhi fissandosi a vicenda brillavano e i nostri cuori si inondavano di vaga tristezza!

Quanto e come avremmo desiderato essere dotati dell’estro poetico e quindi far sì che la nostra Musa si sciogliesse in un canto inneggiante alla signorilità, alla cordialità, alla bontà, alla dirittura morale, chi più ne ha ne metta!, tutte qualità personali che il dott. Pacileo assommava in sé! Pura retorica la nostra? Niente affatto! Di certo non la ritengono tale tutti coloro che l’hanno conosciuto ed hanno avuto modo di apprezzare le sue squisite ed ottime qualità morali.

Il dottore Pacileo era un vero signore, dotato di modi gentili con i quali si poneva con tutti, senza alcuna distinzione. Il suo modo di agire, di fare non era esteriorità, o apparenza, era il suo modus vivendi ed era spontaneo e sincero. Era una persona di parola e per questo ispirava fiducia e simpatia. In paese godeva della massima considerazione, prova ne siano i molti e molti giovani che lo hanno scelto quale loro padrino nel ricevere il Sacramento della Cresima e ancora i molti neonati tenuti da lui al Fonte battesimale. Nel dottore Pacileo si vedeva un modello di dirittura morale! L’occasionale visitatore del nostro sito nel leggerci potrebbe essere indotto ad immaginare un personaggio su di un piedistallo intorno al quale ci si girava, niente di tutto questo! Il dottore Pacileo era una persona socievole e…democratica. Persiste dinnanzi ai nostri occhi la sua gioviale figura, sempre di buon umore. Si accompagnava con tutti, fossero giovani o non, titolati o illetterati, professionisti o artigiani, trattava tutti con la medesima cordialità. Sembra di vederlo nel bar, luogo d’incontro d’altri tempi, a farsi la partita a briscola, passatempi di una volta, con il primo avventore che trovava o che sopraggiungeva nel locale.

Si era specializzato in Psichiatria ed aveva conseguito il Diploma Universitario di Direzione Tecnica-ospedaliera. Svolse per circa un quarantennio la sua attività professionale di psichiatra nell’ex OPP( Ospedale Psichiatrico Provinciale) di Girifalco e percorse tutti gli stadi della carriera sino ad essere incaricato della direzione del nosocomio. Le teorie di Basaglia sfociate nella “180″ non lo colsero di sorpresa. Sin dal suo ingresso nell’ex Psichiatrico aveva instaurato con i ricoverati a lui affidati un rapporto di cordialità, di amicizia e soprattutto di fiducia. Le sue apparizioni nei reparti dell’ospedale venivano accolte dai degenti con evidenti manifestazioni di gioia. Il dottore Pacileo si intratteneva in mezzo a loro, amico fra amici, li ascoltava, dialogava e nel frattempo condivideva con loro il piacere di una sigaretta che lui stesso offriva, ma ogni tanto non disdegnava di sfilarla dal pacchetto che il ricoverato con insistenza gli porgeva.

Fu un professionista che tenne alto il nome di Girifalco. La fama di bravo psichiatra ben presto si diffuse. Il suo studio di Girifalco era meta di pazienti provenienti da paesi anche molto lontani. Ebbe un’attività professionale molto intensa con il suo studio a Crotone, le consulenze a Villa Puca e all’ ex Sanatorio di Chiaravalle Centrale.

Sino a quando le disposizioni legislative vigenti glielo consentirono esercitò la professione libera quale medico di base riscuotendo consensi, stima e fiducia. Il suo studio privato, infatti, era meta di pazienti che si portavano da lui come se andassero dallo specialista. E svolse tale attività, di medico generico, all’insegna del servizio, infatti, non è stata mai notata in lui ombra di venalità, anzi spesso, principalmente nei casi di bisogno, forniva ai pazienti i farmaci necessari.

Da queste colonne rinnoviamo a tutti i familiari le nostre più vive e sentite condoglianze facendo presente che il loro amatissimo congiunto, della cui amicizia ci siamo sentiti sempre onorati da contrarre con il Sacramento della Confermazione la parentela spirituale, continuerà ad essere nel nostro cuore, nella nostra memoria, nelle nostre preghiere.

Domenica 25 Aprile 2010 alle prime luci dell’alba il carissimo ed amatissimo dottore Salvatore Pacileo ci ha lasciati! Una malattia, che sin dall’inizio del suo apparire si mostrò ribelle a tutti i ritrovati della Scienza andando manifestandosi giorno dopo giorno nella sua implacabile recrudescenza, da un quinquennio lo aveva inchiodato a letto. Tutte le volte che ci siamo trovati in Piazza Umberto I° ed abbiamo alzato gli occhi a quel balcone abbiamo provato una forte fitta al cuore pensando al dramma umano che andava svolgendosi dietro quelle imposte socchiuse!Le sofferenze chiamato a sopportare gli valgano dinnanzi al Buon Dio quale catarsi redentrice dell’umana fragilità di cui ciascuno di noi è portatore! In paese, anche se il triste evento era più che temuto, la sua dipartita è stata motivo di profonda commozione e perchè ciascuno è andato con il pensiero alle sofferenze patite e per il personaggio in se stesso. Che il dott.Pacileo sia stato una persona rispettabilissima e molto stimata si è avuta la prova alla celebrazione delle sue esequie, una folla di estimatori, conoscenti ed amici sia del luogo sia accorsi dai paesi viciniori gremiva Piazza Umberto I° in attesa che avessero termine le esequie in chiesa e potesse porgere, quindi, l’estremo saluto alla salma ed esprimere alla famiglia – sorelle, fratello, cognati, nipoti e parenti tutti – le più sentite condoglianze.

Durante la difficile e dolorosa ultima fase della sua esistenza innumerevoli sono stati coloro che si sono portati da lui per manifestargli la loro vicinanza. E lui accoglieva tutti con la sua abituale e nota serenità, bonarietà, cordialità! Le volte – poche in verità e sinceramente ce ne rammarichiamo- che siamo andati a manifestargli la nostra premura, non solo quella nostra, i nostri occhi fissandosi a vicenda brillavano e i nostri cuori si inondavano di vaga tristezza!

Quanto e come avremmo desiderato essere dotati dell’estro poetico e quindi far sì che la nostra Musa si sciogliesse in un canto inneggiante alla signorilità, alla cordialità, alla bontà, alla dirittura morale, chi più ne ha ne metta!, tutte qualità personali che il dott. Pacileo assommava in sé! Pura retorica la nostra? Niente affatto! Di certo non la ritengono tale tutti coloro che l’hanno conosciuto ed hanno avuto modo di apprezzare le sue squisite ed ottime qualità morali.

Il dottore Pacileo era un vero signore, dotato di modi gentili con i quali si poneva con tutti, senza alcuna distinzione. Il suo modo di agire, di fare non era esteriorità, o apparenza, era il suo modus vivendi ed era spontaneo e sincero. Era una persona di parola e per questo ispirava fiducia e simpatia. In paese godeva della massima considerazione, prova ne siano i molti e molti giovani che lo hanno scelto quale loro padrino nel ricevere il Sacramento della Cresima e ancora i molti neonati tenuti da lui al Fonte battesimale. Nel dottore Pacileo si vedeva un modello di dirittura morale! L’occasionale visitatore del nostro sito nel leggerci potrebbe essere indotto ad immaginare un personaggio su di un piedistallo intorno al quale ci si girava, niente di tutto questo! Il dottore Pacileo era una persona socievole e…democratica. Persiste dinnanzi ai nostri occhi la sua gioviale figura, sempre di buon umore. Si accompagnava con tutti, fossero giovani o non, titolati o illetterati, professionisti o artigiani, trattava tutti con la medesima cordialità. Sembra di vederlo nel bar, luogo d’incontro d’altri tempi, a farsi la partita a briscola, passatempi di una volta, con il primo avventore che trovava o che sopraggiungeva nel locale.

Si era specializzato in Psichiatria ed aveva conseguito il Diploma Universitario di Direzione Tecnica-ospedaliera. Svolse per circa un quarantennio la sua attività professionale di psichiatra nell’ex OPP( Ospedale Psichiatrico Provinciale) di Girifalco e percorse tutti gli stadi della carriera sino ad essere incaricato della direzione del nosocomio. Le teorie di Basaglia sfociate nella “180″ non lo colsero di sorpresa. Sin dal suo ingresso nell’ex Psichiatrico aveva instaurato con i ricoverati a lui affidati un rapporto di cordialità, di amicizia e soprattutto di fiducia. Le sue apparizioni nei reparti dell’ospedale venivano accolte dai degenti con evidenti manifestazioni di gioia. Il dottore Pacileo si intratteneva in mezzo a loro, amico fra amici, li ascoltava, dialogava e nel frattempo condivideva con loro il piacere di una sigaretta che lui stesso offriva, ma ogni tanto non disdegnava di sfilarla dal pacchetto che il ricoverato con insistenza gli porgeva.

Fu un professionista che tenne alto il nome di Girifalco. La fama di bravo psichiatra ben presto si diffuse. Il suo studio di Girifalco era meta di pazienti provenienti da paesi anche molto lontani. Ebbe un’attività professionale molto intensa con il suo studio a Crotone, le consulenze a Villa Puca e all’ ex Sanatorio di Chiaravalle Centrale.

Sino a quando le disposizioni legislative vigenti glielo consentirono esercitò la professione libera quale medico di base riscuotendo consensi, stima e fiducia. Il suo studio privato, infatti, era meta di pazienti che si portavano da lui come se andassero dallo specialista. E svolse tale attività, di medico generico, all’insegna del servizio, infatti, non è stata mai notata in lui ombra di venalità, anzi spesso, principalmente nei casi di bisogno, forniva ai pazienti i farmaci necessari.

Da queste colonne rinnoviamo a tutti i familiari le nostre più vive e sentite condoglianze facendo presente che il loro amatissimo congiunto, della cui amicizia ci siamo sentiti sempre onorati da contrarre con il Sacramento della Confermazione la parentela spirituale, continuerà ad essere nel nostro cuore, nella nostra memoria, nelle nostre preghiere.

Doveroso ed affettuoso omaggio alla memoria di un amico

Larga eco ha avuto la scomparsa di Pietro Defilippo avvenuta il 17 Febbraio 2010, prova n’è stata sia la partecipazione corale della popolazione sia la presenza alle esequie degli innumerevoli estimatori, conoscenti ed amici accorsi da ogni parte della regione. Nei due giorni di veglia della salma in casa fu un continuo affluire di gente senza distinzione di sesso, di età e di condizioni sociali, tutti a tributare un doveroso omaggio alla memoria dell’estinto e ad esprimere, ciascuno, i segni di affettuosità e di solidarietà alla famiglia. Di Pietro Defilippo non facilmente si traccia, anche a grandi linee, un profilo-ricordo. Dinnanzi ad una vita così intensamente vissuta, dinnanzi ad un personaggio che per un quarantennio da primo attore dominò la scena politico-amministrativa della cittadina, particolarmente sotto l’emozione del momento, sentiamo la nostra inadeguatezza a farne una sintesi! E nè siamo del parere secondo il quale quanto più sia noto un personaggio tanto più con facilità se ne possa parlare, scrivere! Lasciamo ad altri questo compito, allo storiografo del domani che nello stendere gli “Annali” della nostra cittadina non può prescindere dalla figura di Pietro Defilippo!

Pietro Defilippo si affacciò alla vita politico-amministrativa nel Novembre del 1960, si rinnovava il Consiglio Comunale. Eravamo su posizioni contrapposte, Lui guidava la lista di centro-destra, contrassegnata con lo “Scudo Crociato”, mentre noi eravamo schierati a sinistra con una lista di concentrazione democratica e popolare nella quale erano confluiti socialisti, comunisti e indipendenti di sinistra, contrassegnata con il simbolo di una “Tromba”, ai tempi assunta a simbolo di riscossa e di rinnovamento del Mezzogiorno d’Italia. La Lista dello”Scudo Crociato” prevalse su quella della “Tromba” e Pietro Defilippo fu eletto Sindaco, carica che salvo qualche interruzione mantenne sino alle soglie del Terzo Millennio.

All’epoca la lotta politica era aspra, dialetticamente dura, forte. Nonostante tutto Pietro Defilippo non si lasciò prendere la mano, inorgoglire dai successi elettorali, non cercò mai, anzi evitò sempre lo scontro fine a se stesso. Fu sempre per il dialogo e si mostrò aperto, disponibile ad esaminare, accogliere i suggerimenti, le proposte da qualunque parte provenissero.

Non esageriamo se diciamo che Pietro Defilippo era una persona carismatica. Nell’arco di un quarantennio godette della simpatia popolare e nelle consultazioni che nel tempo si sono susseguite il corpo elettorale della cittadina gli fu sempre più generoso di consensi. Il suo carisma era in dipendenza della sua ampia e sollecita disponibilità verso tutti, senza distinzione di colore politico. Era pronto a rendersi utile in qualsiasi situazione che gli venisse prospettata o che della quale fosse venuto a conoscenza per vie indirette. Si faceva in quattro per rendersi utile ricorrendo alle sue aderenze, alle sue conoscenze, alla sua esperienza sia di uomo politico sia di amministratore e a mettere spesso qualcosa di suo, di proprio, anche quando questo gli poteva costare sacrificio personale!

Svolse a pieno la parte che la sorte gli aveva assegnato. Figlio del suo tempo e come tale interpretò i bisogni, le esigenze della comunità, la cui soluzione, soddisfazione al tempo avevano un alto valore e costituivano una importante conquista sulla via del progresso e del riscatto sociale delle popolazioni!

All’epoca, al pari di quasi tutte le comunità del Mezzogiorno d’Italia, la nostra cittadina esprimeva, ancora nel XX° secolo!, esigenze che ai nostri giorni non sono ritenute tali in quanto all’oggi facenti parte di una problematica di ordinaria amministrazione! Erano i servizi sociali di cui le comunità delle regioni meridionali andavano carenti. E i vari governi nazionali che si sono avvicendati cercarono di affrontare questi problemi sociali con provvedimenti legislativi ad hoc quali l’Ente Sila, la Cassa per il Mezzogiorno, la Legge Speciale per la Calabria, gli Interventi Straordinari, ecc. A fronte, però, vi era una pressione di richieste che spesso vanificavano la consistenza dei predetti strumenti legislativi. E Pietro Defilippo seppe destreggiarsi nei meandri della burocrazia, comportarsi con abilità ed accortezza nel groviglio degli articoli delle Leggi vigenti, arrivare nella stanza…dei bottoni. Ed ecco l’ammodernamento ed estensione sia della rete idrica urbana sia della rete fognaria, la realizzazione degli acquedotti rurali, la pavimentazione delle strade interne ed esterne, gli edifici scolastici per tutte le scuole allora funzionanti nel centro abitato e nelle contrade rurali, il Piano di Fabbricazione e la Caserma dei Carabinieri.

Con Pietro Defilippo non siamo stati sempre su posizioni politiche contrapposte. Negli anni ’80, Lui Sindaco, sedemmo nella stessa Giunta Comunale di coalizione di centro-sinistra. Abbiamo avuto modo di sperimentare e fare tesoro della sua lunga esperienza amministrativa, della sua profonda conoscenza delle disposizioni legislative, della sua oculatezza nell’operare. E queste sue particolari capacità costituivano – perchè non riconoscerlo? – garanzia per tutti noi! Per quanto ne possiamo sapere, non un solo suo atto amministrativo risultò inficiatio! Non un solo suo atto deliberativo fu respinto dagli organi regionali di controllo! Collaborare con Pietro Defilippo, all’interno di una Giunta Comunale, era veramente un piacere! Non vi era ombra di prevaricazione, o fuga in avanti. Il Sindaco Defilippo stimolava, apprezzava le capacità dei singoli, promuoveva la collaborazione.

Ebbe un optimus cursus honorum, svolse attività politico-amministrative ai vari livelli. Infatti, oltre a ricoprire per decenni la carica di Sindaco di Girifalco presiedette la Comunità Montana “Fossa del Lupo”, fece parte della Commissione Regionale per l’applicazione della Legge”285″, rappresentò nell’UNCEM le Comunità Montane della Calabria e fece parte degli organi provinciali dell’ex D.C.

Ma Pietro Defilippo non fu solamente l’uomo politico, o l’amministratore!

Da Priore resse la Confraternita del SS.mo Rosario. Era anche un professionista, il farmacista del paese! Era anche l’amico, l’uomo della quotidianità!

Con la Confraternita del SS.mo Rosario, come istituzione, Pietro Defilippo aveva un rapporto particolare. La Congrega, così come comunemente viene denominata la Chiesa del Rosario, ce l’aveva nel sangue! Un suo prozio di parte paterna, Don Michele, nel Secolo XIX° fu Padre Spirituale del Sodalizio Religioso e lo stesso Pietro Defilippo negli anni ’80, in seguito al rinnovo delle cariche sociali, subentrò quale Priore al suocero, don Michele Catuogno, che per molto tempo aveva retto la Confraternita. Il Priorato del farmacista Defilippo si pose sempre all’attenzione delle Autorità Diocesane. Alcuni anni or sono, infatti, alla Confraternita del SS.mo Rosario fu demandato il compito di organizzare in Girifalco il raduno di tutte le Confraternite della Diocesi. Il Priorato di Pietro Defilippo va ricordato per aver restituito alla comunità di Girifalco, dopo i lavori di restauro e di consolidamento protrattisi per oltre un decennio, una Chiesa che alla sua riapertura destò e continua a destare tuttora l’ammirazione della popolazione.

Pietro Defilippo, quale farmacista, godeva di particolare reputazione nell’ambito della categoria e costituiva un punto di riferimento per l’ Ordine Provinciale dei Farmacisti. Tanto è che quando andò in pensione l’Ordine lo insignì della Medaglia d’oro.

Il farmacista Defilippo svolse la sua attività professionale all’insegna del servizio sociale. Sempre pronto, sollecito a soddisfare ogni richiesta. Il cartello-orario esposto alla vetrata della farmacia era una pura e semplice formalità, in pratica per Lui non vi erano limiti di orario nè questione di turnazione notturna. Per quanto noi sappiamo in nessun caso, specialmente in quelli d’urgenza, sono stati notati disappunto, malumore in Pietro Defilippo, il cui campanello di casa, sia di giorno sia di notte, si poteva far squillare con fiducia ed in assoluta tranquillità!

E la popolazione gli fu sempre grata e riconoscente!

Pietro Defilippo era l’uomo della quotidianità, delle abitudini semplici e viveva in mezzo ai concittadini che vantava, ed era vero!, di conoscerli uno per uno. Attaccava, come si suol dire, bottone con tutti.Aveva un modo particolare di mantenere ed instaurare rapporti amicali con chicchessia proponendosi con un approccio simpatico, cordiale, tutto suo. Passando dalla farmacia ci mancherà per molto, fino a quando l’inesorabile scorrere del tempo non ci abituerà allla sua scomparsa, l’affabile, bonaria, simpatica figura del farmacista Defilippo. Seduto alla solita sedia, al di là della vetrata, sia che entrassero in farmacia sia che li vedesse passare non ne lasciava uno senza che non lo avesse salutato, amichevolmente apostrofato, o che in alcuni casi non gli avesse chiesto notizie della famiglia……………………………………………………

Da queste colonne nel porre termine al sentito ed affettuoso omaggio alla memoria dell’ amico rinnoviamo alla famiglia i nostri profondi sentimenti di vicinanza rassicurandola che il suo congiunto continuerà ad essere presente nella nostra mente, nel nostro cuore, nelle nostre preghiere.

TeresinaEra un freddo pomeriggio di fine gennaio, per la cronaca il 22 gennaio 2010, un corteo, che andava infittendosi man mano che avanzava, si snodava per il Corso principale di Jacurso e mestamente si dirigeva verso la Chiesa Parrocchiale di San Sebastiano.

L’ ignaro automobilista che a quell’ora si è trovato a transitare per la SP, che in quel punto coincide con l’arteria della cittadina, subito dopo il disappunto iniziale per l’imprevisto e obbligato rallentamento nel suo andare provò meraviglia per quell’ assembramento di folla che gli si parava dinnanzi. Certamente ha dovuto pensare che si trattasse di un funerale, di esequie – si fa per dire – delle grandi occasioni! “Sarà stata una persona titolata, addottorata, una persona che godette in vita di autorevolezza presso i suoi concittadini!?!”

Si accompagnava all’estrema dimora Teresina Soverati. In vita non ebbe la fortuna di vantare titoli accademici. Ai suoi tempi non facilmente si andava avanti negli studi. A Iacurso, all’epoca, non vi erano tutte le classi della Scuola Elementare, che si concludeva con la frequenza della terza classe. Per conseguire la Licenza Elementare si dovevano frequentare le Scuole di Maida. Forte, però, era in lei il desiderio di apprendere e ciò che le era stato vietato, impedito in età scolare lo conseguì da adulta. Frequentò con encomiabile profitto tutti i Corsi che negli anni ’60 e ’70 furono istituiti a Jacurso, Corso di Scuola Popolare, Corso di Richiamo Scolastico, Corso di Cultura Popolare.

Se autorevolezza vuol dire credito e stima, Teresina Soverati era, sì, una persona autorevole presso i suoi compaesani. Era, infatti, un’artigiana stimata e come tale era tenuta in considerazione.

Era la primogenita di quattro sorelle e un fratello – la stessa Teresina, Giovanna, Elia Angela e Maria – rimaste nel tempo in tre sorelle, essendo Elia e Maria scomparsi rispettivamente nel 1954 e nel 1989. Abitavano con i genitori a la “Citatella” , al Timpone, la parte più alta dell’abitato, da dove, come da un balcone, il paesetto si affaccia sull’Istmo di Catanzaro.

La casa di mastro Peppa d’ Elia, il papà, alla “Citatella“, era un …porto di mare: le giovani sorelle Soverati cucivano, tessevano, impartivano lezioni private; mastro Peppa normalmente esercitava il mestiere di calzolaio, però, un giorno la settimana assumeva le vesti del barbiere, alla bisogna faceva il conciapelli e all’occorrenza non disdegnava di recarsi nei poderi di sua proprietà per i consueti lavori agricoli. Dalla casa delle sorelle Soverati era un andirivieni di gente. Questo era e fu il contesto nel quale la Nostra passò la giovinezza, tenore di vita che mantenne anche da sposata. Al matrimonio pervenne piuttosto tardi che presto, non perchè le mancarono le buone occasioni. Anzi. Teresina per la sua serietà e la sua laboriosità era un “partito” appetibile e molti furono i pretetendenti. Era molto difficile nella scelta. Infine la condusse all’altare l’ottimo Micuzzo Giliberti, al pari di Teresina laborioso, leale e sincero. La loro unione all’inizio sembrò che venisse allietata dal sorriso di bimbi, ma fu un sogno, una vana speranza ben presto concretizzatisi nella fugace apparizione di un angioletto desioso di tornare là da dove era venuto!

In paese era molto stimata ed era conosciuta quale ” la maìstra ” per antonomasia. E sì, a ragione. Teresina Soverati, o come pure era indicata con il patronimico Teresina de mastro Peppa d’ Elia, a ragione era detta la maìstra, cuciva perfino vestiti da sposa e la mattina della cerimonia nuziale aggiustava le spose. All’epoca i ricevimenti nuziali avvenivano in casa e a Teresina ricorrevano per la confezione dei dolci e dei liquori. A lei per la sua esperienza in merito si rivolgevano i genitori delle ragazze che stavano per sposarsi perchè fossero consigliati nella scelta e nella compera di tutto ciò che occorresse per la celebrazione del matrimonio, anche nella compera e nella scelta degli “ori”! Con Teresina Soverati è scomparsa una delle ultime rapprtesentanti di un’ epoca!

Sintomatico quanto in chiave anedottica si raccontava di Teresina: mamma e papà una mattina di inizio Luglio andarono alla “Trebbia” non senza aver prima raccomandato a Teresina, al tempo appena dodicenne, di non portare fuori la sorellina nata da giorni e perchè ancora non si era provveduto a farle una vestina. A la Cona, punto d’incontro e di riferimento del piccolo centro, si festeggiava e Teresina voleva andarci, ma non poteva lasciare incustodita in casa la sorellina. Cosa fa Teresina? Prende una sua veste e trovate un paio di forbici taglia e ritaglia, scuce, appunta e cuce, modella e rimodella e alla fine ne tira fuori una bella vestina e tutta giuliva e soddisfatta con la sorellina in braccio parte alla volta della Cona.

Cosa dire, cosa ricordare! Quante immagini, quante vicende di vita vissuta si squadernano nella nostra mente a mo’ di filmato! Tutte tacite testimonianze, che teniamo segrete nei nostri cuori e fisse nelle nostre menti, delle sue qualità di donna intelligente, operosa e sempre disponibile a rendersi utile con tutti.

Nei due giorni di veglia della sua salma fu un continuo viavai di estimatori e non vi fu persona che non avesse qualcosa da ricordare!