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Volge il secondo anno da quando la Calabria intera, dal Pollino all’Aspromonte proruppe in una esplosione di gioia. Non si era mai verificato sino allora che un calabrese fosse così vicino al Santo Padre!

Era una calda mattinata di agosto del 2020, quando fu annunciato al mondo che il Pontefice aveva nominato  Don Fabio Salerno Suo Segretario particolare!

 

 

 

Da  sempre  siamo presenti all’appuntamento  domenicale del saluto

dell’Angelus.

Oggi, però, Don Fabio!, abbiamo un motivo in più desiderosi che arrivi presto la domenica.

Idealmente siamo con te dietro alla candida immagine di Papa Francesco quando da quella finestra, aperta sulla scena del mondo, impartisce la benedizione URBI ET ORBI.

 

Il nuovo segretario particolare di PAPA FRANCESCO non era e non è persona sconosciuta negli ambienti del Vaticano vanta, infatti, un cursus che gli fa …onore! Don Fabio, laureato in utroque iure, fa parte della diplomazia vaticana e nelle vesti di diplomatico ha ricevuto il suo battesimo di fuoco in Indonesia, il paese dei grandi numeri.

Dopo alcuni anni di permanenza a Giacarta passa  a Strasburgo e dall’assemblea Europea  al consiglio di stato Vaticano, Dipartimento rapporto con gli stati.

 

Don Fabio è figlio d’arte? La presenza di zio Don Peppino, lo storico arciprete della Chiesa di Madonna di Porto Salvo di Catanzaro Lido, nella sua quotidianità, ci indurrebbe a pensare in tal senso.

 

Don Fabio non è pervenuto al sacerdozio per le solite vie istituzionali, non visse la  vita del seminarista. Frequentò, infatti, le scuole pubbliche e fu studente fra gli studenti, giovane fra i giovani temprando giorno dopo giorno quella che era una sua innata vocazione.

E il giovanotto Fabio, mentre i suoi coetanei collezionavano le figurine dei giocatori, lui era alla ricerca delle immaginette Sacre.

A tal proposito ricordiamo zia Caterina, sorella maggiore di mamma Rita, impegnata nella ricerca di una rara immaginetta della Madonna della Pietra.

E mentre i suoi coetanei erano impegnati in imprese goliardiche il giovane Fabio andava alla scoperta degli edifici di culto.

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Don Fabio è conteso da due comunità, Cutro ed Amaroni.

Cutro, il paese dei suoi avi paterni dove  fece i primi passi e soprattutto dove dorme il sonno eterno  papà Mimmo! Amaroni la patria degli avi materni e che in concorrenza con Cutro da tempo lo ha adottato a suo figlio.

Amaroni non perde occasione per proclamare il suo orgoglio per lui amaronese doc!

Sarebbe molto riduttivo se ci fermassimo alle due comunità.

La nomina a segretario particolare del Sommo Pontefice ha esaltato tutta la Calabria.

Noi, colmi di gioia, lo accompagniamo con le nostre preghiere perché Iddio lo assista

nell’ ‘Alto Ufficio’.

 

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E’ MORTO SAVERIO STRATI

Il 9 aprile di questo corrente anno 2014, a Scandicci, moriva Saverio Strati.
Era nato a Sant’Agata del Bianco in provincia di Reggio Calabria il 16 agosto 1924.
Profonda è stata la commozione in Calabria.
I quotidiani regionali hanno titolato la notizia a caratteri cubitali, dandone ampio spazio. Per la Letteratura Calabrese è stata una grave perdita!
Saverio Strati fu il rappresentante di una Calabria sofferente della quale Lui stesso era una diretta espressione!
Con la sua narrativa della storia socio-economica calabrese ha fatto un caso letterario!
Per le giovani generazioni le opere di Strati sono un monito poiché rappresentano  le nostre origini,  le nostre radici.
Ricordiamo con nostalgia gli appuntamenti mensili ai quali era puntuale con un suo racconto sulla Rivista della Regione!
A Girifalco nello stesso anno, 1989, abbiamo avuto il piacere di averlo con noi ben due volte, a maggio per una conferenza che tenne agli studenti del Liceo Scientifico sulle problematiche giovanili e ad Agosto, nell’ambito delle manifestazioni dell’Agosto Girifalcese .
Mi sia consentita una digressione di carattere …autobiografico.
Di Lui avevo notizie prima che diventasse il noto scrittore.
Eravamo nella Segreteria del Liceo in attesa che si facesse ora per la conferenza che avrebbe dovuto tenere agli studenti.
-Dottore Strati pare che qualcuno di Girifalco negli anni degli studi a Messina vi sia stato molto vicino. Faccio un nome?… Saverio De….
-Saverio  Defilippo!, subito mi interruppe non consentendomi di completare il cognome.
Saverio Defilippo, in seguito Primario Odontoiatra al “Pugliese” di Catanzaro, ebbe sempre ammirazione e stima per Saverio Strati. Ricordo che mio cugino Saverio me lo proponeva come modello da imitare. E poiché all’epoca manifestavo di tanto in tanto svogliatezza negli studi mi spronava dicendo:
-Salvatore, studia!….sapessi che amico ho a Messina!… nu cacijuolo studente a Lettere!
Sì! Saverio Strati prima che si desse agli studi era un cacijuolo, un apprendista muratore addetto alla preparazione della malta.
Saverio Strati dimostrò una volontà adamantina. L’apprendista muratore, dismessi pala, cazzuola e piccone, si cimentò con latino e greco e, conseguita la maturità classica, si scrisse a Lettere all’Università di Messina.
Nel nostro conversare colsi un certo senso di amarezza nei confronti della Calabria, ma di quella ufficiale!
-In Toscana non sanno cosa fare per ……. (mi disse un nome)!
Nemo propheta in Patria! In seguito ci volle la generosa e dura campagna del “Quotidiano” perché Strati fosse ammesso ai benefici della Legge Bacchelli!
La conferenza che Strati andò a tenere riscosse, sì,  l’approvazione degli studenti e del corpo docente, ma molti e molti furono quelli che protestarono per non avervi potuto partecipare per l’angustia dei locali!
E il caso volle che ben presto si ponesse riparo alla manchevolezza in cui erano incorsi gli organizzatori!
L’Amministrazione Comunale, presieduta dal Dott. Pietro Defilippo, nell’ambito  delle manifestazioni dell’ Agosto Girifalcese di quell’anno, gli rivolse cortese invito perché tornasse a Girifalco.
La conferenza ebbe luogo il 28 Agosto  del 1989 al Cinema Ariston e, dopo il caloroso saluto rivoltogli dal Sindaco Defilippo,  chi scrive ebbe l’onore di introdurre con un breve intervento
l’illustre nostro conterraneo.
Ritenendo di fare cosa gradita agli  occasionali visitatori del ”Sito” si riporta, di seguito, integralmente il testo della conferenza.
Parlare del contadino del Sud è della sua presenza come soggetto nella letteratura è impresa molto complessa che richiederebbe un esame molto approfondito e lungo. Per quanto mi riguarda, potrei benissimo dire  che le interpretazioni che gli altri hanno dato sul contadino da un punto di vista critico e storico-economico mi arricchiscono di poco- Le ragioni sono che io  all’età di vent’anni e passa sono stato un contadino e muratore in insieme. Mi sono cioè formato fra i contadini e gli artigiani di cui ho assorbito lingua, pensiero e sentimenti, di cui ho imparato a conoscere ansie, desideri e rabbia fin dalla più tenera età.
Parlare in senso stretto di contadini non è proprio esatto: per il semplice fatto che non tutti quelli che durante il fascismo coltivano la terra erano zappatori;  non tutti quelli che chiedevano ai proprietari terrieri un podere erano dei giornalieri,.
C’è un’espressione dalle mie parti che pochi conoscono e che nessuno studioso della cosiddetta questione meridionale ha esaminato; un’espressione che per me ha un peso storico di grande importanza. Dalle mie parti, in quel lontano tempo del fascismo quando io nascevo e mi formavo, i muratori, i falegnami, i fabbri, i calzolai e perfino i sarti- dico perfino- perché il sarto come il barbiere, era un artigiano più raffinato e delicato, anche fisicamente meno adatto ai lavori duri della terra, perfino i sarti prendevano in affitto la terra dei ricchi e venivano chiamati mastri-massari. Di questo gruppo di mastri- massari fece parte mio padre che era muratore e di conseguenza  ne feci parte anch’io che dovetti fin dalla più tenera età imparare a dissodare la terra e a costruire un muro a secco, dato che non era possibile imparare il mestiere per le vie normali, cioè lo Stato no  costruiva case e strade, perciò era assai difficile fare l’ apprendista muratore; e io, come tanti miei coetanei (il problema era di tutti gli artigiani che avevano figli) e io nei disegni di mio padre dovevo ereditare la cazzuola, il suo sapere, come un principe eredita la corona. Un fatto come questo andrebbe esaminato profondamente per capire come e perché certe culture si salvano, sopravvivono. Generalmente l’uomo sano non si lascia  sopraffare dall’ottusità e dalla repressione politica.
Vincenzo Padula mise a fuoco tanti problemi del mondo contadino nel suo importante libro “Persone in Calabria”. Lo stesso Alvaro, specie nei saggi, Treno del Sud, Itinerario Italiano, fece luce su molti aspetti del mondo contadino. Un quadro molto colorito del mondo contadino viene fatto da Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli; altri scrittori di livello mondiale hanno introdotto il  contadino nella loro opera artistica: Verga, Pirandello. Ma a me pare che il contadino viene visto più come oggetto che come soggetto. Cioè non era diventato  personaggio capace di fare storia, di pensare con la propria testa. Ferma restando la sua grandezza di narratore, lo stesso Verga ha verso gli umili un atteggiamento che oserei chiamare paternalistico. Gli umili cioè sono sempre un pochino presi in giro, un pochino compatiti, un pochino messi in ridicolo; si esprimono per proverbi che sono il bagaglio culturale di millenni di tutta la collettività- Insomma non hanno autonomia. Si pensi poi a Mastro don Gesualdo che è sì capace di creare un ‘immensa ricchezza, ma nel momento in cui deve decidere la cosa più importante della sua vita, di sposare, si lascia convincere ad apparentarsi con i Trao e ha una figlia che non è sua; inoltre assiste impotente allo sperpero della sua ricchezza e reagisce come un tanghero. E’ veramente uno strano atteggiamento – si badi sto parlando di atteggiamento, non di resa poetica che è grande – quel che dell’aristocratico conservatore Giovanni Verga ha nei confronti del muratore Gesualdo Motta- Un atteggiamento di classe, manzoniano e, più vicino a noi nel tempo, crociano. Anche per il Croce il popolo è incapace di pensiero autonomo, di elevazione spirituale.
In breve il popolo non fa storia. A contraddire questo pensiero c’è una proposizione di Hegel in una delle sue ultime lezioni sulla filosofia del diritto. Hegel anticipando Marx dice: la storia va avanti perché i poveri la spingono in  avanti. Abbiamo visto prima, a conferma di quest’affermazione hegeliana, con quale accanimento gli artigiani si davano da fare per insegnare ai figli il proprio mestiere in modo che la storia non si arrestasse. A me pare, per tornare al Verga, che un uomo capace di creare un’enorme ricchezza coma la crea infatti Gesualdo Motta sia in grado anche di creare una società a sua immagine: cioè è dotato di una tale volontà di potenza, di una tale capacità organizzativa, da imporre agli altri la propria personalità,da creare un ambiente a sua immagine. Insomma la comunità ne viene condizionata. Si pensi  un poco alla storia del nullatenente John Rockefeller che, conquistata quella ricchezza che tutti sappiamo, diventa simbolo, mito: ossia potere.
Quel miracolo che era  avvenuto in Russia nel secolo scorso con i grandi narratori da noi non si è verificato né col Manzoni,  né col Verga, per citare solo i più grandi. Di nessuno dei nostri scrittori si può dire quello che secondo Gorky Lenin diceva di Tolstoj:” come questo conte ha capito i contadini”! Opere come Le Memorie di un cacciatore di Turgheniev, come i racconti di Cecov e di Gogol, e i romanzi di Tolstoj nei quali la fusione fra narratore e contadino è senza stacchi e sbavature, da noi non sono nate in nessuna epoca. Si pensi al contadino Platone Karatiev che è l’ideale, il sublime di Guerra e Pace.
Il discorso diventerebbe lungo e difficile per spiegare le ragioni per le quali il contadino nella letteratura italiana fino a pochi decenni addietro non trovava posto se non come riempitivo, se non come oggetto di cui ridere per la sua stoltezza e ignoranza o al massimo averne pietà per la sua miseria. Era un po’ uguale a ciò che avviene con i negri in certi film americani.
Col sorgere delle nuove leve di scrittori che hanno origini popolari o anche piccolo – borghesi la presenza del contadino nella narrativa cambia: da oggetto diventa soggetto, personaggio che incomincia a introdursi nella storia e che spesso fa storia. Si pensi a Gente in Aspromonte di Alvaro che esce nel ’29 e è certamente un’opera coraggiosa  per i problemi e drammi che rispecchia e lascia intravedere. Ci sono i romanzi di Seminara che escono negli anni quaranta e poi, dopo la guerra abbiamo le opere di Rea, di Sciascia, di Scotellaro…..sono questi scrittori degli artisti che non stanno sull’altra sponda a guardare e a raccontare con distaccata curiosità, ma spesso indossano il vestito dei loro personaggi.
In un’importante pagina di Letteratura e vita nazionale, Gramsci osserva: -Per il rapporto fra letteratura e politica, occorre tenere presente questo criterio: che il letterato deve avere prospettive necessariamente meno precise e definitive che l’uomo politico, deve essere meno settario, se così si può dire, ma in modo contraddittorio. Per l’uomo politico ogni immagine fissata a priori è reazionaria: il politico immagina l’uomo come è e, nello stesso tempo, come dovrebbe essere per raggiungere un determinato fine; e il suo lavoro consiste appunto nel condurre gli uomini a muoversi, a uscire dal loro essere presente per diventare capaci collettivamente di raggiungere il fine proposto, cioè a conformarsi al fine. L’artista rappresenta      necessariamente ciò che c’è, in un certo momento, di personale, di non –conformista, realisticamente-.
Ciò che c’è, in un certo momento. E’ il punto focale. Cosa c’era di già fissato, com’era il mondo oggettivo in cui io ragazzo, uno dei tanti, mi venivo formando? Le mie opere sono là per dire ciò che ho colto nella forma definitiva del mondo contadino e artigiano del sud. C’era bisogno di pane da mettere sotto i denti; si andava in cerca di terra da coltivare per piantarvi grano, patate e tutto quanto potesse servire a sfamarci; c’era bisogno di lavorare per guadagnare un poco di soldi per comprare il sale, le medicine.
Sono tutti questi  problemi il terreno da cui spunta il mio ……..
Si pensi a Tibi e Tascia, tanto per fare u n rapido esempio, dov’è raccontato il baratto di un uovo con una sigaretta popolare al tempo in cui l’Italia mussoliniana parlava al mondo.
Forse è opportuno continuare il discorso sui mastri-massari, per far capire meglio l’humus che improntava la mia mente e per rendere più chiaro quant’è cambiato in 50 anni, visto che quelle usanze e quel modo di vivere di cui parlerò non esistono più.
Mio padre era muratore, ossia mastro-massaro.
Mia madre era sarta, ossia maestra massara. Il lavoro di muratore era scarsissimo; quello della sarta in senso moderno quasi non esisteva. Mia madre, lo ricordo bene, era in grado di cucire un abito da sposa; ma ciò che più frequentemente cuciva erano calzoni di fustagno per i contadini, i quali non pagavano mai in danaro ma a scambia servizi, per usare le loro parole. Per un paio di calzoni che mia madre cuciva aveva in cambio una giornata di lavoro con zappa: cioè il contadino veniva a zappare per noi un’intera giornata la vigna o quando si seminava il grano; o al posto di una giornata di zappa mia madre poteva avere due giornate di zappetta:cioè la moglie del giornaliere veniva a scontare la cucitura dei calzoni del marito in due giorni di lavoro a rincalzare il grano e a pulirlo dalle erbacce. Per la cucitura di una gonna a mia madre toccava una giornata di zappetta; per un jippuni (jupon) cioè una blusa invernale toccava anche una giornata di lavoro oppure due fasci legna o di rami . C’erano tante altre piccole cose che sembrano insignificanti ma che al contrario farebbero gola a un antropologo e di cui io non mi sono mai servito nei miei racconti e romanzi: il mio interesse era esprimere l’uomo con tutta la sua carica umana e spirituale, l’uomo che lotta per riscattarsi, l’uomo che non è reso bestia dalla miseria cupa e dalla sofferenza, ma che riesce nonostante l’emarginazione, l’incultura e la repressione a salvarsi. A me interessava l’uomo che pensa in proprio che ha una visione della vita e del mondo tutta sua e posso benissimo testimoniare che nella mia vita ho sentito parlare dei contadini e degli artigiani con una sapienza e un rigore logico allo stato sorgivo degno dei primi filosofi dell’età antica. Da non dimenticare d’altro canto che la terra in cui sono nato è la terra del pitagorismo è la terra di Telesio e di Campanella: e con questo intendo dire che l’antica cultura del pitagorismo assai diffusa ai suoi tempi è diventato l’humus da cui nasce un certo tipo di uomo.
Quand ‘ero ragazzo infatti ho sentito discorrere degli artigiani, dei muratori, analfabeti e in dialetto, con concetti e con massime che più tardi avrei trovati nei testi dei pitagorici pari pari. D’altro canto qualche mio personaggio, come l’evangelista in Mani Vuote, è l’immagine di questa mia testimonianza.
Piccole cose, dicevo, ma di grande importanza per farci capire quanto la cultura del mondo antico sia rimasta viva nella mentalità e nell’atteggiamento dell’uomo del Sud. Basta meditare su un fatto come il seguente: mia madre aveva scoperto che con vecchi stracci poteva farsi una sorta di pantofole che le erano di sollievo quando andava in campagna… Devo aggiungere che mia madre prima di sposare stava in casa, era cioè tenuta da signorina, come si usa dire ancora. Chi lavorava in casa, chi non andava sui campi era chiamata signorina, anche se aveva dieci figli. Ma dopo essersi sposata, mia madre dovette  piegarsi anche lei, per via che a mio padre mancava il lavoro del suo mestiere, al duro lavoro della campagna e anche del mestiere. Cioè se le capitava di andare a giornata ci andava; e questo avveniva quando qualche famiglia aveva molti indumenti da cucire- spesso si trattava di camicie e di mutande tessute al telaio-, o da rinnovare, da riadattare; e per una sua giornata di lavoro a domicilio toccava in cambio una giornata di vaccaro. Cioè il vaccaro veniva per un giorno ad ararci la terra dove seminavamo la nostra partita di grano… ora, per tornare alle pantofole quando i più poveri, e si era tutti sempre più poveri, scoprirono quella sorta di scarpe che mia madre aveva imbastito per sé, vennero a farseli fare anche per loro in modo che potessero camminare più agevolmente e con meno sofferenze per le strade spinose e pietrose della campagna… In diversi miei racconti c’è un bambino che cammina accanto alla madre scalza. E’ l’immagine delle migliaia di contadine che fino a ieri battevano le strade di campagna a piedi nudi. Mi piace aggiungere un particolare che ha un’ importanza antropologica di primo piano che ci fa scendere nei tempi dei tempi… Sottolineo queste cose per mettere in luce come in fondo in fondo lo spirito del mondo contadino non sia stato quasi per niente inteso dalla cultura ufficiale. Ribadisco: quel miracolo che avvenne con i narratori russi da noi non si verificò mai per delle ragioni storiche precise…  Di solito le donne povere venivano sotterrate a piedi nudi. Gli uomini, è un problema degno di esame, per quanto poveri fossero avevano sempre le scarpe. Un uomo scalzo era inconcepibile. Le scarpe facevano parte della dignità maschile; le donne che avevano le scarpe erano proprio rare. Le donne dunque a piedi nudi nascevano, a piedi nudi vivevano e a piedi nudi venivano sepolte. Ma da quando si seppe che mia madre era abile a cucire pantofole con vecchia stoffa, appena moriva una contadina si presentava una qualche comare caritatevole e le diceva: – Per l’anima dei beati morti cucite un paio di sandali per la poveraccia che è morta. Non è giusto che si presenti a piedi nudi davanti al Signore. Già facciamo tanta brutta figura in questo mondo, non è giusto che noi poveri dobbiamo vergognarci anche nell’altro mondo a causa della nostra miseria… Tra l’altro,- proseguiva la comare,- non sappiamo che via ci tocca di dover battere, appena chiudiamo gli occhi. Dipende certo da i nostri peccati. Pare che di là, secondo quanto dicono i morti nei sogni, ci sono strade con spine e chiodi e vetri. Si dice che a piedi nudi è difficile arrivare all’immagine di Dio Nostro Signore-
Mio padre. Anche mio padre quando non gli capitava di lavorare in un’impresa edile- e gli capitava raramente nonostante fosse un bravo muratore a causa della mancanza assoluta di incerte stagioni di lavoro- anche mio padre dunque lavorava a scambi servizi. Per tre sue giornate di manipola- uso il linguaggio di quei tempi e di quell’ambiente- aveva in cambio due sparecchiate- il vaccaro, se si trattava di un vaccaro, doveva lavorare per due giorni con le vacche aggiogate e l’aratro: la parecchiata. Se si trattava invece di un bracciante che magari aveva dovuto aggiustare in fretta il tetto cadente della casa, per tre giorni di manipola doveva fare sei giorni di zappa. Se invece si preferiva il lavoro della moglie, questa doveva fare 12 giorni di zappetta: lavorare a pulire e a rincalzare il grano per dodici giorni. Se poi era in grado di pagare in natura- rarissimamente in danaro- a mio padre per tre giorni di manipola toccavano due quarti di grano,mezzo tomolo, o per essere più chiari circa 22 chili di grano: cioè il pane per 10 giorni per tutta la famiglia. Non era cosa da poco. Oppure poteva avere un cafiso di olio oltre 12 litri:oppure sei chili di formaggio. Potrei continuare su questo tono per parecchio per far capire a chi non è del sud qual era il livello socio economico e culturale fino agli anni ’50, fino all’inizio per intenderci, della grande emigrazione.
Io nascevo e mi formavo in una situazione economica-sociale di questo tipo dove non esistevano i giornali, stimoli a studiare per capire e migliorare il mondo; dove già mandare il figlio alle scuole elementari era un lusso e un sacrificio insieme. In breve, si trattava di una società uguale a quella descritta nel Previtocciolo: ragazzi che di notte si nascondevano dietro le porte e le finestre per sentire come gli sposi facevano all’amore; barzellette e storielle volgari cariche di sensualità repressa. Un inferno senza dannati ma gremito di bestie. Non mi sono mai servito di questi usi e costumi nei miei libri. Li ho eliminati per istinto: non erano materia per un narratore, ma per un sociologo o per un descrittore privo di sensibilità, di drammaticità e di senso storico come don Asprea. A me interessava l’uomo come animale sociale e pensante. I miei personaggi contadini, sebbene analfabeti e incrostati di cultura millenari ormai diventata assurda e disumana, sono degli inquieti. Avvertono che non si può continuare a vivere a quella maniera arretrata, che non si può restare tagliati fuori dalla storia e sanno che per mettersi  alla pari con altri popoli e per liberarsi dal giogo dei baroni c’è una sola via: quella dell’evasione del territorio naturale: l’emigrazione. Questi fermenti sono già nella Teda dov’è rappresentato un mondo di pastori che si adattano a fare i braccianti e donne che compiono lavori massacranti; dove i muratori portano una ventata di idee nuove e dove alla fine tutti hanno coscienza che la guerra finirà nel modo giusto per noi: con la disfatta del nazifascismo; e a guerra finita qualcosa di nuovo dovrà pur sorgere per i lavoratori di tutto il mondo e non solo per quelli del Sud- Inquietudine c’è nei racconti contenuti nel volume Gente in Viaggio. Inquietudine e presa di coscienza infatti aleggiano nel racconto la Selvaggina dove un contadino (parlo in prima persona, giacché mi è parecchio facile raccontare come miei i casi degli altri) sfinito dalla fatica massacrante per aver dissodato un pezzo di terra che non gli darà da vivere, sente che non può continuare in un ambiente in cui l’uomo come fenomeno culturale non esiste. Inquietudine e insofferenza c’è nei giovani de la Regalia (narrato anche questo in prima persona). Tutti i braccianti e gli artigiani devono andare a zappare gratis la vigna del barone per disobbligarsi dei favori che questi fa a loro tutti: dà la partita delle olive, concede un pezzo di terra, o dà protezione presso i carabinieri. Gli anziani accettano passivi quest’usanza feudale; ma i giovani, per la prima volta dopo secoli, dissentano. Hanno coscienza, benché analfabeti e repressi dal fascismo, che senza di loro – è quella coscienza di cui parlerà ad Olten Gianni Palaia – i ricchi non possono essere, così come senza il popolo non ci può essere Dio. Sono disposti e pronti a romperla con la tradizione; e la romperanno infatti perché già mentalmente si preparano a partire; e partono infatti con Gianni  Palaia di Melissa, uno sconfitto della lotta per la conquista del latifondo e che troviamo ad Olten. Gianni Palaia in certo senso è l’uomo nuovo del Sud, l’uomo che ha rotto l’involucro di secoli di storia repressiva feudale e si trova, benché da sconfitto, in un ambiente che gli dà lavoro e gli paga la forza lavoro. Chi conosce veramente il Sud  sa quanto sia importante essere pagati, ricevere una busta paga dopo aver lavorato; chi conosce veramente il Sud sa che laggiù non solo bisognava lavorare una media di dodici ore per otto (anche nelle imprese edili) ma ricorderà certamente che per ricevere i pochi soldi pattuiti (si lavorava fuori di ogni regola sindacale fino agli anni cinquanta) bisognava consumare le scarpe e sberrettarsi e chiedere umilmente al principale o al signorino se stava comodo a dargli quello che gli toccava; e non raramente il principale o il signorino gli dicevano di tornare fra qualche settimana o il mese dopo. Per la classe padronale del mezzogiorno d ‘Italia non era cambiato nulla, non era avvenuto nulla di nuovo nel mondo e continuava a trattare il lavoratore al suo solito: con i piedi. Ma ormai nella mente dell’uomo del Sud, che aveva partecipato a due grandi guerre mondiali, fermentava da tempo il bisogno di rinnovarsi, la voglia di cambiare la sua condizione di disperato ed emarginato.
Per me è stata certamente una grande esperienza essere arrivato qui in Svizzera a cavallo degli anni 60 quando l’afflusso degli emigrati era enorme. Avevo spesso l’impressione di vedere i ragazzi di parecchi miei racconti diventati adulti e arrivati in quel mondo nuovo e ricco di lavoro che avevano sognato e desiderato appassionatamente per anni. Gli ho visti da vicino questi miei personaggi cresciuti, ci sono stato in mezzo a loro e ne ho vissuto il disagio di una nuova emarginazione. Questa conoscenza diretta mi ha permesso di scrivere un libro come Noi Lazzaroni, mentre gli artisti di punta e di sinistra intruppati nella nuova avanguardia facevano giochi di parole, creavano nuove arcadie. Ma non è di me che voglio parlare, vorrei casomai sottolineare che quelle speranze nella Teda di un mondo migliore per tutti i lavoratori della terra vennero deluse. Finita la guerra le masse erano certe che la loro condizione di vita venisse migliorata; non solo non venne migliorata, ma sull’uomo del Sud assetato di lavoro e di giustizia si sparò. Melissa è un punto nuovo e fondamentale nella storia del Mezzogiorno d’ Italia e dell’Europa. Le masse lavoratrici sconfitte ancora una volta, come già era avvenuto nel ’22 , partirono e dilagarono per quasi tutto il mondo e in modo massiccio nel Nord Italia e nel Centro Europa. Vennero sfruttate, usate come mezzo come anime morte (Gogol in Italia è ancora attualissimo, soprattutto durante il periodo dell’elezioni). Ma piano piano qualcosa di molto importante è sorta dalla pelle dei lavoratori prendevano veramente coscienza della loro forza, imparavano a muoversi per il mondo; scoprivano che il loro lavoro veniva remunerato regolarmente con tanto di busta paga e che non gli veniva sottratta neanche un’ora di lavoro. Laggiù i padroni sottraevano intere giornate. Vestivano decentemente; si istruivano. I più aperti sono diventati uomini dell’Europa moderna. Hanno imparato un’altra lingua, leggono dei libri. Sono diventati protagonisti nel vero senso della parola; sanno parlare e pensare meglio di come non riuscisse ai baroni e ormai per via dell’emigrazione sono finiti. Ma se le forze più vive e più giovani si sono rinnovate e fanno parte dell’Europa moderna, nel Sud al contrario, a parte il benessere apparente, è successo qualcosa di veramente preoccupante: la natura si è inaridita, i paesi si sono svuotati e restano spenti per 10 mesi all’anno. Si animano un poco nell’estate quando ritornano per le vacanze gli emigranti. E’ inutile farsi illusioni:fino a quando per ripetere un pensiero di Salvemini, i meridionali non riusciranno a creare una classe dirigente propria, una classe imprenditoriale è inutile prendersela con lo Stato o con i settentrionali ma al posto di una classe dirigente specie negli ultimi anni, al Sud fiorisce la nuova mafia, una mafia che non solo terrorizza le popolazioni ma inaridisce quelle spinte imprenditoriali che incominciavano a dare segno di fiorire; e i torti e le colpe non sono soltanto dei mafiosi ma di quella classe politica che ha permesso che un male così pericoloso come la mafia fiorisse e dilagasse e diventasse il vero protagonista di questo tragico momento storico.
Come si vede i problemi sono una gravità disperante. Gli intellettuali non solo del Sud hanno cercato di mettere il dito sulla piaga; i narratori al contrario sembrano poco interessati a parte qualcuno, come Sciascia, a questi drammi. Alcuni hanno addirittura teorizzato che sul mondo contadino del Sud e sul Sud è stato detto tutto. Nel mio piccolo, ho seguito con ostentazione il mio cammino che è poi il cammino di tutta la classe lavoratrice di cui ho fatto e faccio parte.
Se penso alla Marchesina vedo che ogni mio romanzo si trova già in embrione in uno dei dodici racconti che compongono quel mio primo libro. Il racconto la Marchesina ha una sua continuazione ne La Teda che a sua volta viene sviluppato e concluso da Noi Lazzaroni.
Chi ha letto questi tre libri può benissimo vedere con chiarezza il percorso in meglio che hanno fatto i personaggi della Marchesina (Noi Lazzaroni può benissimo constatare quanto s’è ampliato l’orizzonte del mondo contadino e arcaico di Mastro Filippo della Teda diventato il Mastro Turi di Noi Lazzaroni. Nel racconto Io e Mia madre c’è già in erba “Tibi e Tascia” che viene continuato e in certo senso concluso da Il Nodo e il Codardo. Nel racconto E Dite che i Poveri Soffrono c’è il germe di E’ il nostro turno e anche L’uomo in fondo al pozzo in quel lontano racconto doloroso e drammatico, Bruno, il protagonista, è uno dei primi rari figli di lavoratori che affrontano la vita difficile degli studi; ma Bruno muore di stenti alle porte della laurea. Il protagonista di E’ il nostro turno è un giovane che appartiene alla stessa classe sociale di Bruno ma è di una generazione posteriore. Qualcosa, fra le due generazioni, è cambiata in meglio e tramite l’emigrazione. I fratelli del personaggio sono emigrati in Brasile e altrove e mandano soldi perché il nostro personaggio possa studiare in città. Anche al protagonista del Codardo arrivano soldi dai fratelli emigrati in Germania. Qualcosa dunque è cambiata in meglio per l’operosità dei poveri ed è conseguentemente mutato e migliorato anche il destino generale della gente. Infatti il personaggio di E’ il nostro turno non  solo conclude gli studi, non solo è un professionista di valore, ma è un testimone lucido del suo tempo è un accusatore implacabile del mal costume che sta’ soffocando, anzi distruggendo sul piano morale l’uomo contemporaneo del Sud. Si rifletta un poco sul fenomeno mafia-politica e sui vasti strati sociali che vivono di assistenza e di pensioni.
Qualcuno potrà pensare che io nei miei libri abbia raccontato dei miei casi privati; invece io so di aver raccontato di fenomeni generale che investono tutta la collettività di cui io sono espressione. Si sa che l’artista è l’anima, lo aveva detto con tanta chiarezza Hegel, della collettività che lo esprime; e quelli che sembrano i suoi problemi e i suoi drammi e i suoi dubbi in effetti non sono suoi personali, ma di tutta la comunità. I miei libri sono là a dimostrazione di questa teoria: essi raccontano dell’animo del meridionale del recente passato e presente. Del meridionale attaccato alla sua terra, del meridionale sradicato e sparso per il mondo, del meridionale emarginato di ieri e del meridionale arrivato finalmente ai libri. Cosa sarà in grado di fare il meridionale arrivato ai libri? “Ai posteri l’ardua sentenza” .
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OFFERTA DEL QUADRO DI SANTA ILLUMINATA

ALLA CHIESETTA DELL’ANNUNZIATA

Santa Illuminata finalmente ha un volto e una propria storia!

Nonostante il nome della Santa nell’onomastica locale fosse presente sin dagli inizi del 1700 e si tramandasse, particolarmente in alcune famiglie, con frequenza e regolarità da generazione in generazione, della Santa di Todi non si avevano né notizie né riferimenti iconografici.

Come è arrivato questo nome a Girifalco? Non ci è dato di sapere, si possono fare le congetture che si vogliono!

Il nome della Santa a Girifalco, particolarmente nel passato, ebbe larga diffusione.

Da nostre ricerche non risulta che il nome di Santa Illuminata sia presente nell’onomastica di altre località. E con un pizzico di orgoglio potremmo dire Santa Illuminata di Girifalco!

E a ben ragione!

Da nostre informazioni assunte presso gli Uffici Anagrafici di Todi risulta che in quella città a tutto il 2012 una sola persona portava e porta il nome della Santa!

Lo scorso 29 dicembre 2012 da una devota che porta il nome della Santa, è stato offerto alla Chiesa della SS.ma Annunziata un quadro, pittura ad olio su legno di abete, raffigurante la Santa Tudertina.

La donazione del quadro e, quindi, la benedizione dello stesso è avvenuta nel corso della celebrazione della Santa Messa officiata dal Rev. Parroco Don Antonio Ranieri.

A conclusione del Sacro Rito ai presenti è stato consegnato un cartoncino/ricordo con notizie biografiche di Santa Illuminata curato dalla devota che ha offerto il quadro, Illuminata Stranieri,e che di seguito integralmente riportiamo:

 

 

 

 

 

Le più antiche notizie su questa santa risalgono all’ XI Secolo, al 1037. Alla stessa epoca, o poco prima, risale una leggendaria biografia della Santa.

Secondo la leggenda S. Illuminata nacque a Palazzolo presso Ravenna da genitori pagani. Si chiamava Cesarea ma, convertitasi al Cristianesimo, prese il nome di Illuminata. Accusata dal padre al Prefetto di Ravenna, che a tutti i costi voleva sposarla nonostante la riluttanza della giovane, fu messa in carcere. Un angelo la liberò e la condusse sulla Via Salaria; di là proseguì verso Bettona e Martana  in Umbria dove operò molti miracoli. Fu raggiunta dai genitori che nel frattempo si erano convertiti. Il Prefetto di Martana la fece arrestare ancora una volta e, mentre era in carcere, ottenne di morire insieme con i genitori, era il 29 novembre 303. I loro corpi furono sepolti in un luogo detto Papiniano o Bagno di Papinio, a due miglia dalla città, mentre un braccio di Illuminata fu portato a Todi e conservato nel Monastero delle Milizie.

La Chiesa di Santa Illuminata sorse sul luogo, si crede, della sua sepoltura. Può darsi che per un certo periodo abbia praticato l’eremitaggio nei pressi di Todi. Viene ricordato anche un Monastero di S. Illuminata, vicino all’omonima chiesa, retto da Sant’Apollinare in Classe. La Chiesa passò al Capitolo della cattedrale di Todi e nel 1260 ebbe come Priore Benedetto Caetani, il futuro Papa Bonifacio VIII.

Ad Illuminata, oltre alla Chiesa di Todi, erano dedicate chiese anche a Montefalco, ad Alviano e nell’Abbruzzo, quest’ultima donata al monastero di Montecassino nel 1109. Illuminata figura nel Martirologio Romano al 29 novembre.

Il quadro, raffigura la Santa  con una corona  che  nelle iconografie più antiche orna simbolicamente il capo dei santi, la corona del martirio, gloria dei martiri della fede;

-con un libro nella mano sinistra che potrebbe ricordare la sua sapienza e la funzione di protettrice degli studi;

-sul lato sinistro è rappresentata una ruota, immagine della scienza cristiana unita alla santità e indica il moto dell’intelligenza e lo svolgimento della rivelazione divina;

-il ramo,poi, che stringe nella mano destra denota che si tratta di una santa martire. Di solito, infatti, i martiri, sono rappresentati con un ramo di palma, simbolo del supplizio che allude al premio della vita eterna, così come nell’antichità la palma era un simbolo di vittoria.

Il quadro è stato realizzato su legno di abete, dipinto con pittura ad olio a quattro mani da due artiste siracusane, Antonella Onorato e Irene Aceto, che hanno tenuto a modello l’opera di Antoniazzo Romano realizzata nel XV secolo e custodita a Montefalco nella Chiesa di S.Francesco.

E’sempre stato un mio desiderio avere un’iconografia  e notizie della Santa di cui porto il nome. E, avendolo realizzato, ho inteso offrire il quadro alla nostra chiesetta affinché tutte le persone che portano questo nome- nel nostro comune se ne annoverano ancora una quarantina- potessero  conoscerne la sua storia ed avere un riferimento iconografico.

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 Inaugurata  la  “GROTTA della MADONNINA”

 

     

Anche Girifalco, si fa per dire, ha la sua “Grotta di Massabielle” dove si ricorda l’apparizione della Madonna a Bernardette avvenuta nel febbraio del 1858.

Nell’ampio antro che si incunea nel costone detto della Cefaleddha è stata sistemata una fedele copia del gruppo statuario esposto alla venerazione nella Grotta di Lourdes, l’immagine della Madonna e della pastorella in atto di adorazione della Vergine.

E’ stato creato, così, un … “Sito” di richiamo a carattere …religioso, spirituale. E manco a dirlo la conformazione e la morfologia dei luoghi richiamano la grotta e l’esplanade di Massabielle!

 La cerimonia di inaugurazione è avvenuta sabato 26 maggio 2012 con la celebrazione della Santa Messa officiata dai Rev.mi Parroci Don Antonio Ranieri e Don Orazio Galati alla presenza di un pubblico delle grandi occasioni.

La devozione alla Madonna di Lourdes a Girifalco non è occasionale, è radicata nella comunità. Ad oggi si registrano sia pellegrinaggi collettivi organizzati nel passato sia tuttora singoli devoti  che si recano in pellegrinaggio nella Città d’Oltralpe.

 Ci sia consentita una digressione.Forse il primo a recarsi in pellegrinaggio da Girifalco a Lourdes fu negli anni ’30 del Secolo scorso Don Ciccio Palaia (12.12.1902/21.04.1978), un Chierico che in prossimità di prendere gli Ordini Maggiori, perse la vista.

Don Ciccio!, di quel vostro pellegrinaggio, a noi  all’epoca giovanetti ne parlavate tanto con dovizia di particolari. Torna  alla mente la domanda che poneste al confratello non italiano che oltrepassato il confine  vi si offerse compagno di viaggio se per caso parlasse in lingua latina: Scisne latine loqui?

 

Quanto si era lontani dallo …Do you speak English?

 Le due statue sono ex-voto offerte da devoti di Girifalco: l’ una, la Statua della Madonna, dal Sig. Salvatore Cristofaro e famiglia, l’altra, Bernadette, dalla famiglia Migliaccio-Milano.

 L’iniziativa di rendere la Grutta de Cefaleddha in un punto di preghiera e di …raccoglimento spirituale dalla comunità locale è stata accolta con grande entusiasmo.

E, poi, non dobbiamo sottacere che la  “Grutta de Cefaleddha” per la singolare e significativa iniziativa ora costituisce una particolare attrazione ed interesse verso il centro storico!

Alla fine di queste note non possiamo non esprimere il nostro modesto plauso al personale dell’Ufficio Tecnico Comunale per l’indovinata ed intelligente progettazione tesa a recuperare in un modo tutto particolare una zona che sembrava inesorabilmente condannata al degrado assoluto!

 

 

  

 

 

 

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Cortale festeggia il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

 

A Cortale lunedì 8 agosto 2011 grande festa per la ricorrenza del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia!

E’ da dire, però, che quella di Cortale non sarà una celebrazione di…routine, così come potrà essere in altri comuni che nel processo di unificazione del nostro Paese sono stati ai margini.

Cortale celebrerà la ricorrenza in modo singolare e tutto suo!, la celebrerà nel ricordo del ruolo di protagonista che la famiglia

Cefaly

esercitò con l’Azione, la Parola e l’Arte nelle lotte per l’Unità e l’Indipendenza del nostro Paese! 

Nel ringraziare gli amici di Cortale per l’invito a presenziare alla manifestazione indetta dal Circolo Culturale “A. Cefaly” e rammaricandoci di non potervi partecipare, quale modesto omaggio, riproponiamo quanto anni addietro abbiamo avuto il piacere di scrivere a proposito di una loro conterranea che della famiglia Cefaly fu una degna rappresentante e che da una posizione originale svolse la sua parte, parliamo di Suor Laura Vittoria, monaca di casa, poetessa e…patriota risorgimentale.

 ***           

 PagineBianche - Anno VII – N° 1

Gennaio 2003

 Monaca di casa, era figlia di don Domenico e di donna Carolina Pigonati

 Suor Vittoria Cefaly 

Aderì agli ideali risorgimentali e fu poetessa dall’impegno morale e civile. Fra le sue opere anche alcuni inni sacri, uno dei quali fu musicato dal maestro Salvatore Caro

 Abbiamo avuto il piacere di prendere visione di un manoscritto custodito nell’Archivio di casa della famiglia Cefaly. Il quadernetto, ingiallito dal tempo, contiene le poesie inedite di una congiunta, Suor Vittoria Laura Caterina, vissuta nell’Ottocento. Non siamo i primi a parlarne; già anni addietro se ne sono occupate due autorevoli riviste, Calabria Letteraria e la Provincia di Catanzaro.(1)

Chi era Suor Vittoria Cefaly? Innanzi tutto precisiamo che non era una suora vera e propria. Non aveva preso i voti e non apparteneva, quindi, ad alcun Ordine Religioso. Aveva deciso, però, di vivere santamente nell’osservanza dei principi della religione cristiana, pur rimanendo in casa, così come una suora in convento o monastero. Era, dunque, una monaca di casa, come all’epoca venivano definite queste donne…di Chiesa.

Suor Vittoria, nata a Cortale il 30 aprile 1820 ed ivi morta nel 1907, era la sestogenita di don Domenico Cefaly e di donna Carolina Pigonati. E’ d’obbligo, a questo punto, richiamare, anche se a grandi linee, l’ambiente familiare in cui Suor Vittoria nacque e visse. Il padre, don Domenico, era un ardente patriota. Guidò i volontari di Cortale durante i moti rivoluzionari che si verificarono in Calabria nel 1848. Non di meno, in seguito, furono i fratelli, Raimondo e Andrea il pittore. L’uno quale Maggiore e l’altro quale Capitano presero parte alla battaglia sul Volturno, che Andrea, poi, immortalò sulla tela, che trovasi ora esposta al Museo Nazionale di Reggio Calabria.(2) La mamma, donna Carolina Pigonati, era figlia dell’Ing. Pigonati, colui che progettò il Porto di Brindisi, e di Madame Josephine, una parigina, che, cresciuta alla corte del Re di Francia ” aveva ricevuto, accanto alle idee della mutazione dei popoli  in senso socio-poòitico, un arricchimento della sua mente alle belle arti…”(3). E’ naturale che in un tale contesto culturale e d’impegno sociale fiorissero e venissero alimentate alte idealità.E Suor Vittoria, pur donna di Chiesa, aderì agli ideali risorgimentali, che coniugò con il suo stato di monaca.

La sua produzione poetica, infatti, è composita ed esprime nello stesso tempo un alto senso religioso, morale e civile ed un profondo amor di Patria. Suor Vittoria, infatti, con i suoi versi fu d’incitamento ai fratelli Raimondo e Andrea.

I versi le irrompono con irruenza dal profondo dell’animo.E’ il caso, per esempio, dell’Ode  Per l’anniversario dei caduti alle Patrie Battaglie:” Sopra i ruderi sì mesti / Dell’antica tua grandezza/ Cara Italia t’assidesti / Di catene avvinta il piè… . Ed ancora, i Versi pel campo 1860 : ” Siam liberi e forti, fratelli noi siamo! / La nostra bandiera con gioia stringiamo, / Che primo Cortale sui monti spiegò, / E il fuoco di molti con pochi sfidò. / Noi figli d’Italia siam pure guerrieri, / I nostri parenti ci guardano alteri!…”.

Si può dire che Suor Vittoria era figlia del suo tempo, nata per di più in una famiglia nella quale da tutti si era congiurato, con pericolo personale, per l’Unità d’Italia. Servire, amare la Patria per Suor Vittoria era un imperativo categorico, alla luce, pure, di quel ” Dio e Popolo” di Giuseppe Mazzini, ai cui ideali la famiglia Cefaly si è mantenuta fedele nel tempo. ” La sorella del nostro pittore, Vittoria Cefaly, monaca di casa, donna coltissima e inspirata poetessa - annotava il Frangipane - vivamente si commuoveva…al richiamo dell’Esule”. (4)  

Anche in occasione di avvenimenti intimi, strettamente di famiglia, Suor Vittoria era presente a sè stessa, non tradiva il suo carattere, tanto da salutare con significativi voti augurali il lieto evento della nascita del nipotino: ” Lieto presagio, o pargolo,/ è la tua Patria in festa ! / Devi al suo ben dirigere / gli anni che il ciel ti presta : / e possa in te risplendere / la Calabra Virtù!”.

In occasione dell’apertura a Cortale, ad opera del fratello Andrea, della Scuola di Artieri, non solo fucina di artisti, ma all’epoca punto di riferimento di patrioti, a Suor Vittoria sgorgano dall’animo bellissimi versi che denotano un intenso amor di Patria: ” Come brilla una lampada morente  /  pari ad ultimo raggio di speranza / tal si ravviva la mia stanca mente / nel mirar questa nobile adunanza, / che della Patria nell’amor fidente/ l’ispira al ben, che ogni altro bene avanza / di educar figli dell’Italia degni :/…/ O mia Patria. Io lascio nel tuo seno / di educatori un generoso stuolo, / e l’aspetto di morte più sereno  / sarà per me quando l’estremo duolo / mi strapperà da te, che amai cotanto,/ e tu accogliesti le mie gioie e il pianto”.

La disamina potrebbe continuare.Col manoscritto, così come si è conservato, ci sono arrivate una dozzina di poesie, l’una più bella dell’altra.E’ auspicabile che esse vengano curate, ordinate e, quindi, pubblicate, costituendo, anche le poesie di Suor Vittoria, una delle tante dimostrazioni del contributo culturale che i Clabresi diedero al Risorgimento Italiano.

A conclusione di queste note, non perchè siano meno belli, ricordiamo i due Inni che Suor Vittoria dedicò alla Vergine. Uno dei due fu musicato dal Maestro Salvatore Caro del San Carlo di Napoli. L’inno ora fa parte del patrimonio culturale e religioso di Cortale e di Jacurso.Ritenendo di fare cosa gradita ai lettori, lo riportiamo integralmente: ” Tu che comandi gli Angeli / Nella celeste sfera, / E sai largir le grazie / a chi Ti invoca e spera, / Rivolgi un guardo tenero / A noi che Ti preghiamo: / Bimbi e fanciulle siamo / Tutti devoti a Te. / Maria! Tu sei di Gerico / Mistica rosa e bella: / Tu sei ridente, splendida, / Tu Mattutina Stella / a Te innalziamo i cantici, / Volgiamo a Te la mente , / E l’infernal serpente / Tu schiaccerai col piè. / Ora che i prati ridono di fiori al sol di maggio, / Con l’amor Tuo nell’anima, / Guidati dal Tuo raggio, / Intesserem solleciti / Corone, e, ai primi albori, / Noi T’offriremo i fiori / Se Ti donammo il cor. / Non cureremo i triboli / Più del terreno esiglio. / Affronterem fra gli uomini / L’affanno e il periglio / Se Tu ci sarai provvida / In questa landa infida : / Quando Maria ci guida / Svanisce ogni timor: / O benedetta Vergine, / Madre di Dio possente, / Consola quei che piangono, / Difendi ogni innocente, / Perdona anche al colpevole, / Sperdi l’infausta guerra; / Regni la pace in terra, / Regni di Dio l’amor. / E quando per noi l’ultima / Ora sara venuta, / I nostri estremi aneliti / Accogli, e allor ci aiuti, / E fa che la nostra anima, / senza il corporeo velo, / Vada a godere in Cielo / Nel bacio del Signor.     

 

Note:

(1)   Calabria Letteraria – Anno 1951 -Numero Speciale dedicato al Pittore Andrea Cefaly nel cinquantennario della morte; La Provincia di Catanzaro – Anno III -N.ri 1/2-Gennaio/Aprile 1984.

(2)   Gaetano Boca – Contributo della Calabria al Risorgimento Italiano – Grafica Reventino Editrice.

(3)   Salvatore Tolone – I Cefaly nella Storia del Sud, romanzo, Editore Bieffe.

(4)   Guido Puccio – Calabria e Sicilia,1840.

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ASSOCIAZIONE di VOLONTARIATO ONLUS

 Dr Rocco Giampà

 E’ stata costituita a Girifalco l’ Associazione di Volontariato ONLUS “Dr Rocco Giampà” . L’Onlus è nata nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria con precipue finalità mirate all’ informazione e formazione sulla salute mentale, sull’uso o abuso di sostanze stupefacenti e alcoliche. Il neo organismo di volontariato si avvarrà di figure professionali quali psicologi, educatori, psicoterapeuti e psichiatri, tecnici della riabilitazione psichiatrica e assistenti sociali.

 La cerimonia inaugurale ha avuto luogo il 25 dello scorso mese di febbraio nel “Complesso Monumentale” , un tempo sede dell’ex OPP (Ospedale Psichiatrico Provinciale) alla presenza di un pubblico scelto e attento. Erano presenti, infatti, assistenti sociali, psichiatri, educatori e personale paramedico, nonchè rappresentanti di organismi ed istituzioni molto sensibili alle problematiche sociali, il comandante della Compagnia dei Carabinieri, Vitantonio Sisto, il Rag. Rocco Chiriano, tesoriere nazionale dell’AVIS, e il Dott. Ferdinando Cosco, direttore amministrativo dell’ASP.

 

L’Associazione ha avuto il suo battesimo in una cornice unanimamente ritenuta di buono auspicio per il futuro dell’Associazione stessa. Vi era, infatti, un tavolo di Presidenza, diciamo, molto autorevole per i componenti che vi sedevano, dei quali alcuni – il Prof. Don Antonio Ranieri Parroco di Girifalco e docente al Pontificio Seminario Regionale di  Catanzaro, il Prof. Don Oraldo Paleologo docente di Lettere in rappresentanza del Prof. Luigi Macrì Dirigente Scolastico dell’Istituto d’Istruzione Superiore “E. Maiorana” di Girifalco, il Dott. Salvatore Ritrovato Responsabile del Centro di Salute Mentale di Girifalco e Montepaone, il Dott. Francesco Corasaniti Psichiatra – impegnati in una quotidiana e peculiare missione socio-educativa e in attività di prevenzione e di assistenza, altri – il Dott. Peppino Ruperto Presidente del Consiglio Provinciale di Catanzaro, l’Avv. Vincenzo Attisani Assessore Provinciale, il Dott. Gerardo Mancuso Commissario Straordinario ASP CZ -  chiamati a svolgere importanti ruoli ai vari livelli istituzionali, oltre al Presidente dell’Associaciazione Massimiliano Cossari, Educatore Professionale, e a Giuseppe Passafaro, Giornalista di Calabria Ora, che fungeva da moderatore.

 

Durante la serata, dopo la presentazione del neo-organismo di volontariato fatta dal Presidente Cossari e l’intervento del Dott. S. Ritrovato che a grandi, ma efficaci linee ha tracciato la figura del Dr Rocco Giampà a cui è intestata l’Associazione, si è registrata una serie di relazioni il cui unico filo conduttore è stato “Il Disagio Giovanile Oggi” trattato nei suoi molteplici aspetti dai relatori che si sono avvicendati. E’ appena il caso di dire che dai relatori, ciascuno per l’ambito di sua competenza, è stata evidenziata la funzione che sono chiamate a svolgere ciascuna delle istituzioni tradizionali – famiglia, Chiesa e Scuola – sia nella fase di prevenzione, sia in quella di approccio ai fenomeni di malessere sociale.

L’“Onlus Dr Rocco Giampà” è in sintonia con la tradizione, la storia della cittadina che dal 1881 alla Riforma Basaglia fu sede di  uno dei più importanti Ospedali Psichiatrici del Mezzogiorno d’Italia la cui giurisdizione si estendeva alle Isole del Dodecanneso nell’Egeo. Ricordiamo la sibillina frase con la quale nel famoso libro rosso che conteneva la Proposta di Riforma della Sanità in Calabria, risalente agli anni ’80, Girifalco – forse per le sue strutture, ma noi aggiungiamo per la  sensibilità dei suoi cittadini – fu definito il paese più manicomiabile d’Italia!

La neonata Associazione opererà per progetti per la cui realizzazione è naturale che siano da trovarsi i finanziamenti. Al momento è da prendere nota con soddisfazione degli impegni assunti dai rappresentanti dell’Amministrazione Provinciale che si sono dichiarati disponibili a far sì che l’Ente che rappresentano sia in modo concreto vicina ai bisogni dell’Associazione.

L’intestazione che i fondatori dell’Associazione hanno inteso dare alla loro organizzazione di volontariato è in perfetta concordanza con le finalità dell’Associazione stessa.  E’ da intendersi, pure, un riconoscente omaggio alla memoria di una persona, il Dr Rocco Giampà, che nella sua quarantennale attività professionale di sanitario profuse con slancio le sue doti di intelligenza, di bontà e di squisita premura nei confronti di una umanità sofferente e disagiata, quale quella degli ammalati di mente.

Senza avere la presunzione di essere esaustivi in ciò che andremo ad esporre osiamo  tracciare alcune sue note biogratiche.
Il Dott. Giampà ebbe un curriculum vitae, riferito al corso degli studi e all’attività professionale svolta, di tutto rispetto. Presso la Regia Università di Napoli il 28 maggio del 1941 conseguì con il massimo dei voti e la lode la Laurea in Medicina e Chirurgia. Il neo dottore, però, non pago del solo Diploma di Laurea continuò negli studi e nel tempo conseguì, sempre con il massimo dei voti, due importanti specializzazioni, in Pediatria, l’01.07.1943 presso l’Università di Bologna, e, il 26.11.1963 presso l’Università di Modena, in Malattie Nervose e Mentali. Dal 1951 al 1981 fece parte del Corpo Sanitario dell’ex O.P.P. di Girifalco in un primo tempo da Assistente in seguito da Primario. Il Dottore Giampà amava lo studio e la sua professione alle cui problematiche si dedicava con impegno e condensava le sue ricerche in pubblicazioni, alcune delle quali sono rinvenibili nella Biblioteca Comunale di Girifalco, nel fondo relativo alla Biblioteca dell’ex OPP.

Come Pediatra prestò servizio da consulente nei Consultori di molti comuni della provincia di Catanzaro ( Gasperina, Montauro, Palermiti, Squillace e Stalettì) e nella qualità di specialista in Malattie Nervose e Mentali  prestò servizio negli Ambulatori dell’ex INAM a Crotone e Vibo Valentia. Per oltre un ventennio, dal 1981 al 2004, la Clinica San Vincenzo di Catanzaro si avvalse delle sue prestazioni di consulente psichiatra. Andato in pensione, in riconoscimento delle benemerenze acquisite nel pianeta sanità l’Ordine Provinciale dei Medici lo insignì della Medaglia d’Oro.’

Il Dottore Giampà fu di ingegno versatile. Gli intensi impegni professionali non gli impedirono di coltivare nel tempo libero hobby con i  quali diede prova di vocazione artistica e di gusto raffinato. Don Rocco Giampà – vogliamo nomarlo per un momento così come a Lui affettuosamente e rispettosamente spesso ci rivolgevamo – dipingeva, suonava il violino, la chitarra, il pianoforte e possedendo la vena poetica componeva poesie. Era una persona amabile e nello stesso tempo brillante. Amava molto la sua terra, Girifalco, con la sua gente e le sue tradizioni tanto è che non intese mai allontanarsene e ne fissò nei suoi versi e nei suoi colori gli angoli più caratteristici. Durante la serata inaugurale da una ragazza è stata letta una sua applauditissima ode, La Cannaletta, il lavatoio e la fontana pubblica dei tempi passati.

Nel porre fine a queste brevi note il nostro augurio di buon lavoro all’Associazione, nel senso che abbia da svolgere solamente ed esclusivamente attività di prevenzione, e nello stesso tempo ai suoi fondatori il nostro plauso per averla intestata al Dr Rocco Giampà!

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Istituita una borsa di studio in memoria del dott. Pietro Defilippo*

Abbiamo appreso con piacere che per  onorare la memoria del  dott. Pietro Defilippo gli eredi – i figli Rosanna, Enzo e Michele – hanno istituito una borsa di studio da assegnare annualmente ad un giovane studente diplomato dell’Istituto Medio Superiore “E. Maiorana” di Girifalco.

Pietro Defilippo, farmacista e per decenni Sindaco di Girifalco, non poteva essere ricordato alla gioventù studiosa con iniziativa migliore!

Il farmacista Defilippo per quanto riguarda il pianeta istruzione/cultura fu un cittadino benemerito di Girifalco!

Iniziò la sua attività politico/amministrativa nel novembre del 1960 quando fu eletto per la prima volta Sindaco di Girifalco.All’epoca si era in pieno svolgimento della campagna contro l’analfabetismo. Per combattere la piaga sociale che affliggeva in modo particolare le popolazioni del Mezzogiorno d’Italia occorreva che le autorità scolastiche e quelle locali operassero in sinergia e ciascuna nel campo di sua competenza si assumesse gli obblighi, gli oneri di conseguenza. E Pietro Defilippo dimostrò la più ampia disponibilità in modo che l’Ente Locale che rappresentava fosse, ove occorresse, di supporto alla scuola. Da parte del Sindaco Defilippo non vi fu mai un lesinare di mezzi, di risorse che fossero destinati a soddisfare la domanda di scuole…d’istruzione che in modo insistente veniva dalla società sia che si riferisse all’educazione popolare rivolta agli adulti, sia all’espansione scolastica che all’epoca era molto pressante e allo stesso tempo problematica per l’inadeguatezza delle strutture esistenti.  Il Sindaco Defilippo dimostrò particolare attenzione verso il settore scolastico. E sotto la sua gestione sorsero l’ex Istituto d’Avviamento Professionale, l’IPSIA, il Liceo Scientico; fu potenziata l’edilizia scolastica e furono, infatti, costruiti gli edifici della Scuola Media, dell’IPSIA e gli edifici scolastici nelle contrade rurali.

Di Pietro Defilippo è appena il caso di fare, ancora, una notazione biografica. Nella fase istitutiva del soppresso Istituto d’Avviamento Professionale, sorto fra tante difficoltà d’ordine soprattutto finanziario, Pietro Defilippo perchè l’Istituto decollasse con più facilità, si rese disponibile a fare parte del team dei professori quale insegnante di materie scientifiche, ma sistematicamente mese dopo mese devolveva a favore della Cassa Scolastica le spettanze che gli competevano quale docente dell’Istituto!

Per quanto ci riguarda non esitiamo a definire il farmacista Defilippo un mecenate!

Per quanti e quanti giovani studenti si prodigò con interventi vari sia che si fossero rivolti direttamente a lui, sia che fosse venuto a conoscenza in modo indiretto delle loro problematiche!

Da queste colonne va il nostro plauso ai fratelli De Filippo per la nobile e significativa iniziativa che hanno assunto in ricordo del loro genitore. 

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* Per saperne di più vai alla sezione "Non dimentichiamo".               
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1861 – 17 MARZO – 2011

 

150° ANNIVERSARIO dell’UNITA’ D’ITALIA

 

                      

17 MARZO – 2011 – FESTA NAZIONALE

 

 

Decreto-Legge 22 febbraio 2011, n. 5

 

Decreto-Legge 22 febbraio 2011, n. 5

(in GU 23 febbraio 2011, n. 44)

Disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011. (11G0045)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Visto l’articolo 7-bis del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, che ha dichiarato festa nazionale il giorno 17 marzo 2011, ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell’Unita’ d’Italia;

Ritenuta la straordinaria necessita’ ed urgenza di assicurare la dovuta solennita’ e la massima partecipazione dei cittadini dichiarando il 17 marzo 2011 giorno festivo a tutti gli effetti civili, senza peraltro che ne derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e a carico delle imprese private;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 febbraio 2011;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri della difesa e dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca;

EMANA

il seguente decreto-legge:

Art. 1

1. Limitatamente all’anno 2011, il giorno 17 marzo e’ considerato giorno festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 27 maggio 1949, n. 260.

2. Al fine di evitare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, derivanti da quanto disposto nel comma 1, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festivita’ soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150° anniversario dell’Unita’ d’Italia proclamata per il 17 marzo 2011.

3. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 2

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara’ presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi’ 22 febbraio 2011

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

La Russa, Ministro della difesa

Gelmini, Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca

Visto, il Guardasigilli: Alfano

 

ECHI del RISORGIMENTO ITALIANO

a GIRIFALCO(CZ)

 

Ripromettendoci di tornare sull’argomento ci scusiamo con i visitatori del “Sito” dello schematismo che caratterizza la nostra esposizione storica.

 

 

P R O C E S S I

Riportiamo i “PROCESSI” in cui risultano implicati patrioti girifalcesi. La documentazione è stata tratta da “G. Boca, CONTRIBUTO della CALABRIA al RISORGIMENTO ITALIANO” in seguito a gentile assenso della figlia dell’Autore, dott.essa Maris.

 

   

 

PROCESSO A CARICO DI:

 

Giuseppe Autelitano di Bonaventura di anni 45, nativo di Squillace notaio in Girifalco accusato di:

1)      associazione illecita col vincolo di segreto sotto la denominazione di “Gioventù Italica e Fratellanza”organizzata per coospirare contro la sicurezza interna dello Stato per proclamare la repubblica;

2)      provocazione di reati contro lo Stato con discorsi tenuti in luogo pubblico  all’oggetto di distruggere e cambiare il Governo;

3)      reiterazione di due misfatti.

FATTI

 

Nel 1848 veniva istituita a Girifalco una società segreta sotto la denominazione di ” Gioventù Italica e Fratellanza “, ad opera di D. Francesco Magno Oliverio e D. Francesco Pristipini. Nei primi tempi si erano iscritti circa un centinaio, ma in seguito questo numero salì a circa 600 e tra gli iscritti vi era l’imputato Autelitano.

Per parteciparvi, si giurava davanti a un Crocifisso, toccando la punta di una spada. Si prometteva protezione e si coospirava contro lo Stato, col fine di distruggere e cambiare il Governo.Molti testimoni lo deposero e tra cui: Giuseppe Rosanò, Giuseppe Vaiti, Saverio Cristofaro, Rocco Romeo, D. Carlo Migliaccio, Rocco Sergi, Vincenzo Fragola ed altri.

LA GRAN CORTE

 

ha condannato Giuseppe Autelitano alla pena di 19 anni di ferri, alla multa di ducati 500, alla malleveria di ducati 100 per i successivi anni 3 ed alle spese di giudizio.

Fatto a Catanzaro il 2 gennaio 1851.

 

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PROCESSO A CARICO DI:

 

Pasquale Cristofaro fu Nicola soldato da Girifalco

accusato di:

discorsi tenuti in luogo pubblico nel fine di spargere il malcontento contro il Governo.

 

FATTO

Pasquale Cristofaro prestava servizio al I° Reggimento di linea 2° battaglione 8^ compagnia  a Napoli. Recatosi da Napoli a Girifalco in permesso, incontrò a Cortale un certo Domenico Torchia, che gli domandò del figlio. Il Cristofaro disse di conoscerlo ed anzi gli aveva portato una lettera: Si intrattennero così a parlare e fu invitato a pranzo dal detto Torchia: Pubblicamente disse che era inutile sperare il congedo, perchè dovevano andare a Roma a combattere, che forse non sarebbe ritornato dalla guerra, che il Papa se fosse stato vero Papa non doveva volere guerre e spargimento di sangue.

LA GRAN CORTE

 

ha condannato Pasquale Cristofaro alla pena di 7 mesi di prigionia, alla malleveria di ducati 100 per 3 anni ed alle spese di giudizio.

Fatto a Catanzaro il 9 aprile 1851.

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 PROCESSO A CARICO DI:

1)…

10) Francesco Pristipini fu Francesco Antonio proprietario nativo di Catanzaro domiciliato in Girifalco

11) Michele Vonella di Giuseppe da Girifalco

12) Giuseppe D’Onofrio fu Vincenzo da Girifalco

13) Gregorio Cimino da Girifalco

accusati di:

1) Francesco Pristipini …Giuseppe D’Onofrio:

associazione illecita sotto la denominazione di “SOCIETA’ SEGRETA” organizzata per coospirare contro la sicurezza interna dello Stato al fine di distruggere e cambiare il governo;

2) …Cimino, D’Onofrio e Vonella : infrazione e deformazione di statue e stemmi reali commessi per solo disprezzo e per servire al fine più criminoso di attentare alla sicurezza interna dello Stato per distruggere e cambiare il governo;

4) …Cimino, D’Onofrio , Vonella:

attentati contro la sicurezza dello Stato.

8)…Pristipini, D’Onofrio:

aver fatto parte di bande armate organizzate allo scopo di distruggere e cambiare il Governo e per resistere alle milizie spedite dal Re per comprimere la ribellione;

…12) Francesco Pristipini:

aver costretto il cancelliere comunale di Girifalco Damiani a non fare atti dipendenti dal suo ufficio;

14) Tutti:

“reiterazione di più misfatti.”

FATTI

Il veleno pestifero serpeggiava nelle Calabrie prima degli avvenimenti politici dell’anno 1848. Il motto d’ordine settario sotto il titolo di “Gioventù Italiana” veniva diffuso per ogni dove da emissari perturbatori dell’ordine pubblico quale D. Domenico Arciprete Angherà di Potenzoni, dimorante in Catanzaro, nella cui abitazione riuniva i più influenti cospiratori di ogni classe, allo scopo di cambiare la forma di governo e sovvertire l’ordine pubblico.Il di lui nipote Francesco Angherà sergente, era strumento abilissimo per disseminare idee avverse alla monarchia e come emissario dello zio arciprete percorreva questa provincia e comunicava i deliberati della setta, infiammando gli animi alla ribellione.Molti degli imputati furono da loro indotti a commettere i reati suddetti, ed a rendersi promotori della rivolta: Era questo il principio della setta evangelicanella quale prendeva parte attiva Ignazio Donato e Pristipini.

I principi della setta erano i seguenti:

1)      Scopo politico: la costituzione da riformarsi sopra basi democratiche;

2)      Scopo civile: le riunioni in parola che prendono nome di Società evangelica, si dichiara consorella, unisona, cooperante con la istallata sala Nazionale e con la Calabria patria che si sta organizzando;

3)      essa offre i suoi servigi al Paese, pronta ad accorrere con le sue persone a qualunque chiamata dell’autorità democratica;

4)      le sue riunioni, benchè precluse al pubblico, non hanno che i cennati principi ed Angherà e Donato li garentiscono al Paese.

Gli individui che in essa si ammettono, stabiliscono prima lo scrutinio ecc.

Principale opera della società era quella di ispirare amor patrio ed avversione verso il governo Borbone.

” Ai soldati calabresi che trovansi in Napoli nel fatale giorno 15 maggio 1848:

” Se in voi tanto mal distinti con l’onorevole nome di soldati rimane ancora senso d’onore e patrio sentimento, tirate un velo di obbrobbrio sulla prostituta vostra fronte; sulla vostra fronte, non sulla vostra bandiera, perchè bandiera voi più non avete, come non avete più Patria. Infrangendo i giuramenti prestati, che ambo voi le tradiste nel giorno 15 maggio, allorchè la vostra perfida mano sparse il sangue fraterno ed aggredì armata la inviolabile e sacra nazional rappresentanza, onta eterna ricuopra il soldato spergiuro che accomunò il suo braccio al mercenario straniero nella turpe opera di opprimere la patria libertà.Credevate voi forse di combattere a fianco dei figli di questa eroica e…difesero i propri diritti contro l’austriaco oppressore ed il temerario Borgognone? No; v’infiammaste ; son essi assai da quelli diversi, figli degeneri di generosa libera terra; sono vili venduti anima e sangue all’oro della tirannide, dimentichi della dignità dell’uomo si sforzano ad emulare gli istinti bruti di stupido mastino addentando l’innocente preda che efferrato padrone gli addita.

E questi voi seguiste nel combattere i prodi che le patrie fanchigie sostenevano; e questi seguiste nella strage d’inermi, di ragazzi e di deboli donne! Questi voi seguiste negli incendi e nel saccheggio, informe prezzo di sangue! Onta, onta eterna di predoni! Voi non siete più calabresi, voi non appartenete all’Italia, emulatori di Caino e di Giuda il loro destino vi è sopra e la giustizia divina vi giungerà. I traditori della Patria, la maledizione di essa e quella dei vostri padri, delle vostre madri, dei vostri parenti e dei cittadini tutti, ricada sul vostro capo proscritto: sì, proscritto poichè da quel giorno di sempre infame memoria, voi non avete più patria, non avete congiunti, per voi si è chiusa la porta di quel tetto ospitale che benefico accolse i vostri primi vagiti…Pure se un deplorabile errore, se un momentaneo accecamento vi spinse, se sedotti ma non corrotti voi assisteste cooperatori a quella scena di orrore, pentitevi, siete ancora in tempo, quantunque offesi, quantunque ancora indignati, le braccia dei vostri fratelli sono ancora aperte per voi. Un amoroso compatimento, un generoso perdono, un virtuoso oblìo del passato vi attende, ove voi rientrati in voi stessi, siete decisi a ritornare soldati cittadini, a ripararvi sotto il patrio stendardo, a lavare col sangue quando le patrie sorti il richiedono, quella marca di ignominia che il mal sparso sangue vi impresse…Ma se il vostro cuore indurito, se palpita di turpe gioia al luccicare dell’oro compratore all’infame anima vostra, allora la maledizione della vostra Patria piombi sopra di voi con l’intero suo peso e l’ira di Dio vendicatrice dello spergiuro, del parricidio, turbi perenne la vostra irrequieta e raminga e vituperata esistenza.

” Decidetevi: il giorno 15 maggio diede un termine alle ambagie, alle mene tortuose, ai tenebrosi raggiri; svelò alla fine gli arcani politici che da 4 mesi hanno pesato sui nostri destini.Ogni risolutezza ora diviene criminosa; se volete mostratevi veri figli della Patria, rapidi accorrete al suo appello: le file dei vostri fratelli si apriranno per voi.Se poi seguir volete ad ascrivervi fra suoi nemici, servite pure da vili strumenti ai carnefici suoi.

” A voi la sollecita irretrabile scelta. 

“Catanzaro 24 maggio 1848 _ Comitato di Salute Pubblica della Calabria Ulteriore Seconda”.

Detto Comitato emise inoltre dei bullettini con i quali dettò ai vai Comuni disposizioni sulla Costituzione di Comitati Comunali e su norme da osservare . Ecco in succinto qualche deliberatio:

“Bullettino N. 1 in data 4 giugno 1848″: si è occupato della diffusione di vari principali oggetti deliberando che ogni distretto doveva spedire uno o due individui per essere rappresentato; che i principi fondamentali del Comitato consistevano nel mantenimento dell’ordine pubblico; che la Guardia Nazionale di Nicastro doveva trasportare in Catanzaro 7 pezzi di cannone esistenti in Gizzeria e Capo Suvero; di costituire i Comitati circondariali e comunali; ecc.;

” Bullettino N. 2 in data 5 giugno “: disposizioni di ordini militari.

Tra i molti altri bullettini e documenti emessi dal suddetto comitato, c’è stata una lettera diretta ai Monteleonesi del tenor seguente:

” Cittadini e fratelli,

” Voi primi a sentire fra i Calabresi la somma dei mali che una mano di ferro vorrebbe far gravitare sull’infelice vostra patria;voi ai quali toccò la dura sorte di dover prestare ospite tetto ai fratricidi soldati; voi abbiatevi i voti benevoli e le simpatie di tutti i Calabresi vostri fratelli.Una forza superiore alla quale non era certamente in voi il potere di opporvi, ha occupato le vostre mura siate certi che ognuno ha reso e rende giustizia ai vostri onorati e patrii sentimenti. Tutti i buoni calabresi deplorano nel fondo del cuore la dolorosa non meritata vostra posizione; tutti anelano il momento di potervelo rivelare: Monteleonesi, costanti durate, da generosi agite, da virtuosi sperate: l’occhio affettuoso dei vostri fratelli non sa dipartirsi da voi;forse non è lontana l’ora felicee desiata cotanto di poterci riabbracciare fortunati all’ombra della costituzionale libertà. Monteleonesi, riscuotetevi e siate pronti; il braccio dei vostri fratelli è per voi.

“Catanzaro 19 giugno 1848″.

…………………………………………………………………………………………………………………………………………….

“Catanzaro 20 giugno 1848, Bullettino N. 6:

“Con staffetta giunta ieri sera spedita dal Conte Ricciardi è stato partecipato il fausto avvenimento del seguito sbarco in Paola di una colonna di nostri fratelli di Sicilia che accompagnati da vari pezzi di artiglieria, animosi vengono in nostro soccorso…

“Una staffetta giunta dal campo di Curinga informa che in un legno ancorato nel mare di Pizzo vi erano 30 barili di polvere;( il legno giaceva poco discosto dal Pizzoe precisamente nei pressi di S. Venere ed aveva il nome di Bove) detto legno doveva muovere per Scilla. La notte del 13 al 14 giugno fu assalito da uina squadra di 18 Guardie Nazionali condotte dal prode cittadino D. Pasquale Musolino che, disarmata la ciurma, si impadronirono di N. 5 fucili e di 25 barili di polvere non potendone contenere più il piccolo scafo su cui eransi imbarcati:

“…I nostri prodi guadagnarono il campo in Curinga, seco recando la polvere in barili 25 e i cinque fucili”.

Molti altri documenti furono sequestrati o contestati agli accusati in oggetto. 

LA GRAN CORTE

 

ha pertanto condannato:

…Francesco Pristipini, Giuseppe D’Onofrio alla pena di anni 25 di ferri;

…Michele Vonella e Gregorio Cimino ad 1 anno di prigionia;

….Pristipini, D’Onofrio alla malleveria di ducati 500 per i successivi anni 3;

Cimino, Vonella e…alla malleveria di ducati 100 per i successivi anni 3:

tutti alle spese di giudizio.

Fatto a Catanzaro il 15 maggio 1851.

 

 

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PROCESSO A CARICO DI:

 

Luigi Signorelli di Giuseppe di Girifalco

accusato di:

1)      attentati contro la sicurezza interna dello Stato al reo fine di proclamare la repubblica;

2)      infrazione di stemma Reale situato in luogo pubblico con approvazione del Governo per solo disprezzo;

3)      altri reati comuni.

LA GRAN CORTE

 

ha condannato Luigi Signorelli alla pena di anni 8 di ferri e alla malleveria di ducati 100 per i successivi anni 3 ed alle spese di giudizio.

Fatto a Catanzaro il 4 giugno 1851.

 

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PROCESSO A CARICO DI:

 

Nicola Arone fu Salvatore da S. Caterina domiciliato a Girifalco accusato di:

1)      associazione illecita con vincolo di segreto sotto il titolo di “Gioventù Italiana e Fratellanza” organizzata per coospirare contro la sicurezza interna dello Stato e proclamare la Repubblica;

2)       attentato contro la sicurezza interna dello Stato con arruolamento in bande armate al fine di distruggere e cambiare il Governo;

3)       reiterazione di due misfatti.

FATTO

Nel mese di febbraio 1848, a premura del defunto D. Francesco Magno Oliverio e di Francesco Pristipini, già giudicato da questa Gran Corte, si formò in Girifalco una Società col vincolo segreto e i membri che la componevano si riunivano alla macchina del Magno Oliverio. Per indurvi i soggetti a farvi parte, promettevano loro protezione, rispetto, divizie, col saccheggio e divisione delle altrui proprietà.

Quella Sociertà segreta non aveva capi o direttori, ma i soli Magno Oliverio e Pristipini la regolavano.Aveva nome di “Gioventù Italica e Fratellanza” e gli iscritti, davanti a un Crocifisso toccando la punta di una spada, giuravano il segreto; colà si trattava sul rovescio del Governo e di saccheggiare le proprietà per dividerle. Il segno convenzionale fra loro era ” lo strofinio nell’occhio destro in tempo di giorno e in tempo di notte di dimandare: ove vai? ” La risposta era ” alla cucina”; l’altro rispondeva ” io vado a mangiare”; la loro chiamata portava il segno” stasera ai fornelli “.

Faceva parte di questa l’accusato Nicola Arone e quella setta perdurò fino alla disfatta di Filadelfia. Si concluse la spedizione di truppe al detto campo sotto il comando del capitano Magno Oliverio, anche per opera dell’Arciprete Angherà che a suo tempo si era recato a Girifalco.

La prima spedizione fu di 50 uomini ed una seconda fu mandata in seguito.

Avvenuta la morte del Magno Oliverio nel campo suddetto 3 giorni prima dell’attacco delle regie truppe, la banda dei rivoltosi fece ritorno in patria comandata da Arone.

Arone si presentò volontariamente e disse di essere stato forzato a partecipare dall’Arciprete Angherà il quale diceva che “avrebbe fatto arte di tutto se non fossero partiti”; di essersi messo al comando di D. Vitaliano De Riso, fratello di D. Francesco ;

di essere ritornato il 23 giugn, 4 giorni prima del combattimento; 

LA GRAN CORTE

condanna:

Nicola Arone alla pena di 25 anni di ferri e alla malleveria di ducati 100 per i successivi anni tre, più le spese di giudizio.

Fatto a Catanzaro il 19 novembre 1852.

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PROCESSO A CARICO DI:

 

1)      Gaspare Autelitano del fu Bonaventura da Girifalco

2)      Salvatore Maccarone fu Pietrantonio, fisico di Girifalco

accusati di:

1)      associazione illecita col vincolo di segreto sotto la denominazione di Gioventù Italica e Fratellanza organizzata per coospirare contro la sicurezza interna dello Stato e proclamare la repubblica;

(solo Autelitano)

2)      di provocazione di reati contro lo Stato con discorsi in luogo pubblico ad oggetto di distruggere e cambiare il governo;

3)      di asportazione di armi vietate senza licenza;

4)      reiterazione di due misfatti.

FATTI

In febbraio del 1848 veniva organizzata in Girifalco una Società con il vincolo di segreto, da D. Francesco Magno Oliverio e da D. Francesco Pristipini. I componenti ammontavano a 100 e successivamente a più centinaia. Si riunivano in tempo di notte nel frantoio del Magno. Gli iscritti dovevano giurare, toccando una spada, davanti un Crocifisso. La Società veniva denominata “Gioventù Italica e Fratellanza”; promettevano protezione “non senza disonorare le famiglie”.Lo scopo era quello di proclamare la repubblica e rovesciare il Governo e comunicavano con segni convenzionali. Magno Oliverio fu ucciso nel campo di Filadelfia dal fratello dell’accusato Autelitano. Il genitore dell’ucciso denunciava la setta asserendo che essendo l’Autelitano Sindaco ed il Maccarone Decurione, invece di curare l’ordine politico, coadiuvavano il trambusto politico.

L’Autelitano inoltre incitava e minacciava i soggetti a partire pei campi dei rivoltosi in Filadelfia dicendo che il rifiuto sarebbe stato punito con l’incendio delle loro case. Circa 50 soggetti partivano ed altri venivano richiesti dall’Autelitano anche per iscritto. I primi partirono sotto il comando di Magno Oliverio che poi venne ucciso, come si è detto.

Gli imputati venivano inoltre incolpati, da Domenico Magno Oliverio, di aver parlato male del Re e di chiamarlo col nome “Marianello”.

Fu contestato all’Autellitano il porto d’armi senza prescritta autorizzazione. Il Maccarone si dichiarava innocente ( vedi processo Arone)

LA GRAN CORTE

 

condanna Gaspare Autelitano alla pena di 7 anni di ferri e ducati 100 ecc. Assolve Salvatore Maccarone.

Fatto a Catanzaro il 6 dicembre 1852.

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SOCIETA’ SEGRETA COSTITUITA DAI PATRIOTI GIRIFALCESI

 

” GIOVENTU’ ITALIANA e FRATELLANZA” i cui componenti si davano convegno nel frantoio di Magno Oliverio sito nell’ex Palazzo Ducale e al frantoio della famiglia Fiore in ctr Castaneto

 

TOPONOMASTICA CITTADINA

 

 

Corso Giuseppe Garibaldi

Piazza Risorgimento

Piazza Vittorio Emanuele

Via F.lli Bandiera

Via F.lli Cairoli

Via Cavour

Via Nazario Sauro

Via Enrico Toti

Via Trento e Trieste

 

Elenco dei Girifalcesi che presero parte ai ” MOTI del RISORGIMENTO ITALIANO”

 

Amato Filippo, Arone Nicola, Autelitano Francesco, Autelitano Gaspare, Autelitano Giuseppe, Basile Pietrantonio, Bellino Saverio, Bonelli don Raffaele, Bonelli Saverio, Buffa Giuseppe, Calabretta don Giambattista, Catalano Filippo, Catalano Francesco, Catalano Giuseppe, Ciampa Domenico, Ciampa Francesco, Ciampa Giuseppe,  Cimino Antonio, Cimino Domenico, Cimino Felice, Cimino don Francesco, Cimino Gregorio, Cimino Michele, Cimino Rocco, Cimino don Vincenzo, Cimino Vito, Conte Saverio, Cristofaro Cesare, Cristofaro Cesare, Cristofaro Pasquale, Cristofaro Saverio, Cristofaro-Bellino Saverio, Cristofaro-Catizzone Luigi, Defilippo Giovanni, Defilippo Pietrantonio, De Stefano Giuseppe, De Stefano Vincenzo, D’Onofrio Giuseppe, D’Onofrio Saverio, Ferragina don Pasquale, Ferraina Domenico, Ferraina Tommaso, Ferraina-Polipo Gregorio, Ferraina-Polipo Rocco, Ferraro don Tommaso, Fodero Saverio, Fragola Vito, Gangale Salvatore,  Giglio Baldassarre, Giglio Domenico, Giglio Francesco, Giglio Giuseppe, Giglio Vincenzo, Greco Crisostomo, Iacopino Vito, Jozzi Domenico, Jozzi Francesco Maria, Jozzi Giuseppe, Loiarro Paolo, Loiarro Vincenzo Longo Raffaele, Lo Prete Bruno, Luca Michele, Maccarrone Francesco, Maccarrone Giuseppe, Maccarrone Luigi, Maccarrone Salvatore, Oliverio Magno, Marinaro Francesco, Marinaro Giovanni, Marinaro Michele, Marinaro Raffaele, Marinaro Rocco, Marra don Gennaro, Marra Raffaele, Mazza Annibale, Migliaccio don Domenico, Migliazza Tommaso, Milino Giovanni, Misdea Pietrantonio, Palaia Rocco, Pititto Salvatore, Pititto Salvatore, Pristipini Francesco, Procopio Paolo, Procopio Saverio, Quaresima Annibale, Quaresima Saverio, Riccello Giovanni, Riccio Giacomo, Riovecchio Vito Carmine, Risone-Piccione Michele, Rizzello Salvatore, Rondinelli Antonio, Rugieri Francesco, Salvia Vitaliano, Saraceno Giovanni, Saraceno Luigi, Scamarcia Raffaele, Scicchitano Felice, Scicchitano Saverio, Scicchitano-Chiodo Luigi, Sergi Salvatore, Sergio Sebastiano, Signorelli Luigi, Signorelli Saverio, Spagnolo Costantino, Spagnolo don Leopoldo, Strumbo Domenico, Tedesco Rocco, Tolone Annibale, Tolone Raffaele, Tolone Saverio,Vaiti Giuseppe, Vaiti Luigi,Vitaliano Emanuele, Vonella Michele, Zaccone Domenico, Zafaro Giuseppe. (centodiciannove )

 

Fonti:

G.Boca,Contributo della Calabria al Risorgimento Italiano, Grafica Reventino Editrice.

Ernesta Bruni Zadra, Memorie Di Un Borbonico, Ed.ABS Reggio Calabria.

G.Valente, Dizionario dei Luoghi della Calabria, Ed. Frama’s Chiaravalle Centrale

 

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Circondati da parenti ed amici
l’8 settembre 2010 abbiamo festeggiato

I NOSTRI PRIMI (!) 50 ANNI DI MATRIMONIO

“……..L’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà alla sua donna
e i due formeranno una carne sola. (Gènesi 2, 18-24)”

NOZZE D’ORO

ANGELA E SALVATORE

8 settembre 1960-2010

Ieri…

OGGI
08-09-2010

nella Chiesetta dell”Annunciata alle ore 19,00
rinnoviamo il nostro “Si”

ANGELA E SALVATORE

 

Eccoci dinanzi a Te, O Signore, per esprimerTi il nostro grazie,
per elevare a Te la nostra preghiera.

O Dio, Signore dell’universo,
che in principio hai creato l’uomo e la donna
e hai istituito il patto coniugale,
benedici e conferma il nostro amore,
ricevi il nostro umile ringraziamento per i Tuoi benefici
e fa’ che al dono della Tua benevolenza
corrisponda l’impegno generoso della nostra vita
a servizio della Tua gloria!

O Vergine Santissima a Te affidiamo la nostra umile preghiera,
sei Tu l’Angelo di Dio nella nostra casa,
coprila con la Tua protezione, allontana ogni male
e colma di ogni bene insieme alla nostra tutte le famiglie!

 

8/9/1960

 

2010

 

  

A ricordo dellla Santa Benedizione impartita
dal Rev.mo Parroco Don Antonio Ranieri
all’ Edicola Votiva dedicata
alla Beata Vergine Maria del SS.mo Rosario
e a San Rocco e San Sebastiano


Coniuges
Angela Soverati et Salvatore Stranieri
magna cum devotione
Anno D.ni MMVII

25/08/2007

Religiosità e laboriosità sono andate sempre di pari passo nelle nostre campagne. E della pietà religiosa diffusa nel mondo rurale le “cuanuli”, le “Edicole votive”, costituiscono una testimonianza tangibile. Di queste piccole costruzioni pullulano le nostre contrade. Trovano, ciascuna,  la ragion d’essere ora nell’ espressione di un ” ex voto “, ora nella particolare devozione al Santo di cui è raffigurata l’effigie. Sorgono tutte in punti strategici, alcune agli incroci dove gli occasionali viandanti, dopo essersi segnati e aver rivolto un intenso sguardo alla sacra icona, si accomiatavano e ciascuno continuava per la sua strada, altre in cima ad un’erta, come se l’immagine sacra dall’alto dovesse dare animo a chi sotto pesanti fardelli sulle spalle o sulla testa andava per la salita. Di quanti sforzi, di quanti sospiri  ci riferirebbe, se lo potesse!, l’immagine de l’ Hecce Homo!

Le ” cuanuli “ rappresentano un particolare aspetto di un mondo ormai mandato in archivio, ma al quale, ora, si sta attendendo per riscoprirlo, ne costituiscono prova le tesi di alcuni studenti universitari.

Questi piccoli tempietti (!), dovuti alla sensibilità religiosa delle vecchie generazioni, inoltre, così come si presentano dislocati, scandendo le tappe dei vari percorsi, hanno ovviato alla mancanza di una toponomastica rurale, infatti, molte contrade ne trassero, ciascuna, la denominazione. E ricordiamo:  “La cuanula de la Pietà”,  l’ “Arciuamu”, ” U Cora de Gesù”, San Giuseppe, ” I tri cuanuali”…

Le immagini della Madonna del Rosario e dei Santi, San Rocco e San Sebastiano, ai quali l’ edicola è dedicata, sono in perfetta sintonia con l’ambiente. Quella del Rosario era detta la festa dei contadini perchè con le loro generose offerte di grano e di granturco  contribuivano in modo sensibile  alle spese per i festeggiamenti; i Santi, Rocco e Sebastiano, l’uno Santo Patrono di Girifalco, l’altro Santo Patrono di Jacurso, erano detti “santi pastorali”, i nostri contadini mettevano sotto la loro protezione il loro bestiame perchè fosse preservato dal terribile morbo endemico, la peste.

Con l’ “Edicola Votiva” è stato realizzato un vecchio sogno nel quale confluiva la profonda devozione alla Madonna del SS.mo Rosario e ai nostri Santi Protettori, San Rocco e San Sebastiano

e l’amore, l’attaccamento alle tradizioni, non senza una velata aspirazione o un pizzico di umano orgoglio.

Siamo grati a tutti coloro che ci hanno consentito con le loro prestazioni di realizzare questa modesta opera che sin d’adesso intendiamo condividere con tutti coloro che in avvenire trovandosi a transitare per questa contrada vi sosteranno per una breve riflessione.

Angela Soverati
Salvatore Stranieri

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“Figure e colori in musica” è la personale che Luigi Sabatino presenta al Circolo Ufficiali dell’Esercito di Corso Vinzaglio, 6 a Torino, dall’11 al 24 giugno 2010. La mostra di Corso Vinzaglio, però, è fra le tante “personali” e “collettive” che Sabatino annovera al suo attivo nelle quali ha sempre riscosso favore di pubblico e giudizi lusinghieri di critici d’arte quali Bottino, Carluccio, Dragone, Levi, Marziano, Mistrangelo, Rossi, Sartori ecc. E’ appena il caso di dire che l’invito mi è pervenuto più che gradito ed ha suscitato in me emozioni, ricordi e riflessioni inerenti, tutti, ai vincoli che ci legano alla nostra Girifalco, ai vecchi rapporti intercorsi tra maestro e scolaro, all’aver abitato nello stesso rione, le nostre abitazioni se non dirimpettaie erano così vicine che alla bisogna bastava che ci dessimo voce. Posso dire che l’ho visto crescere. Ancora con i pantaloncini corti papà e mamma me lo affidarono per prepararlo agli esami di ammissione alla Scuola Media Inferiore.Vi erano all’epoca due sessioni di esami, l’estiva e l’autunnale. Luigi fu presentato direttamente a quella autunnale. Si doveva andare agli esami…ferrati, preparati altrimenti si rischiava di perdere l’anno. E sì, ero rigoroso, lo ricordo bene!, qualche scappellotto mi sfuggì di mano!Non erano consentite distrazioni non essendovi altra prova di appello se non quella di essere respinti. I risultati ci furono e furono più che soddisfacenti, con soddisfazione di mamma e papà e pure mia, tanto più che ero all’inizio della carriera di insegnante.

Per continuare gli studi Luigi emigrò a Torino e forse frequentò quell’istituto scolastico il cui edificio era stato costruito con fondi della Cassa per il Mezzogiorno! Ricordo le aspre polemiche fra le forze politiche del tempo. L’una accusava l’altra di rapina ai danni del Sud, l’altra a giustificazione adduceva che quell’edificio era stato costruito appunto con fondi della Cassa perchè destinato ad accogliere i figli dei meridionali che lavoravano al nord!

Nello spiegare l’invito la mia attenzione subito è stata attratta dallo spartito musicale riportato in fondo al foglio e per istinto dissi fra me e me: Non ci poteva mancare! Non intendo indossare le vesti del critico d’arte, sono consapevole che mi andrebbero più che strette e allo stesso tempo evito che qualcuno mi sussurri all’orecchio ne supra crepidam, sutor!, che io faccia il mio mestiere! Le mie sono considerazioni che si riferiscono a vicende di vita vissuta e niente altro!

Luigi non poteva lasciare negletta Euterpe, la Musa che diletta con i suoi sonori accenti. La mente corre ai tempi passati quando il nostro complesso bandistico diretto dal maestro F.sco Malfarà con i suoi concerti era presente su tutte le piazze della Calabria portando alto il nome della nostra Girifalco. La nostra Banda agiva, andava alla grande! Mi riecheggiano le note della marcia del Mosè e di quella di Radetzky che la nostra Banda eseguiva, la prima sera del 15 agosto quando San Rocco e la Madonna si incontravano a sommità della “Salita dalla Piazza al Piano”, l’altra al rientro in Chiesa delle Sacre Immagini.

Il maestro Malfarà da umili artigiani seppe trarre provetti musicanti. Non era raro entrare nella bottega del calzolato, del falegname, del sarto e barbiere e sentire fischiettare arie di opere classiche. Il Barbiere di Siviglia, la Gazza Ladra, la Cavalleria Rusticana, l’Aida, l’Amico Fritz, il Rigoletto ecc., costituivano il forte della Banda di Girifalco. Si racconta, infatti, che la Banda di Girifalco mentre stava eseguendo sul palco un pezzo impegnativo all’improvviso se ne andò la corrente elettrica e si spensero le luci, nessun panico fra i musicanti i quali fra gli applausi generali del pubblico di quel paese continuarono a suonare. Chi erano questi musicanti?, gente semplice che passava la giornata china a cucire, a radere barbe, a piallare, a risuolare e chiodare scarpe, ma la sera si davano convegno alla “Sala della Musica”, il vecchio Municipio del paese che il Comune aveva dato in comodato alla Banda e là, sotto la direzione dell’ottimo maestro Malfarà, concertavano il programma musicale che intendevano proporre durante la stagione delle festività patronali. Uno di questi era Alfonsino Sabatino, il papà di Luigi, un bravissimo sarto, se mi è consentito non esito a definirlo un “artista dell’ago”, uno stililista ante litteram. Anche io, da giovane, andai orgoglioso di aver indossato una giacca confezionata da mastro Alfosino. Per quei tempi un capo di vestiario di lusso. La stoffa era un misto di lana e seta, l’aveva tessuta mia madre al telaio di casa. Mi ricordo “le messe in prova”, mastro Alfonsino mi faceva stare diritto, diremmo, impalato, mi osservava da tutti i lati, da cima a fondo, il capo doveva cadere a pennello e così fu da suscitare l’invidia dei miei compagni di scuola.

Mastro Alfonsino – sia per rompere la monotonia del consueto lavoro sia per rimodulare qualche nota – spesso alternava i punti di cucito con l’ arte che ingentilisce i cuori e dava fiato alla sua tromba. Nella quiete degli assolati pomeriggi si spandevano per il vicinato quelle note musicali che a ricordarle mi risuonano con nostalgia.

Vi era anche mastro Giuseppe Fodaro, il vicino di casa la cui figura Luigi, passeggiando nella memoria, ha impresso con i suoi colori. Anche mastro Giuseppe lasciava di tanto in tanto gli abituali strumenti di lavoro, concedendo un po’ di quiete alla sua “Singer”, e spiegato sulla “banca” lo spartito con il suo strumento musicale, non ricordo se basso o bombardino, andava rimodulando qualche passo. E Luigi al suono di quelle note, sia di mastro Giuseppe sia di quelle paterne, avanzava negli anni della sua verde età. Ed è stato giocoforza che in lui sia rimasto un desiderio inappagato, quello di studiare musica o, meglio dire, il rimpianto di non averla potuta coltivare fino in fondo. Mastro Alfonsino ha trasmesso al figlio l’amore per la musica, prova ne sia che nella produzione artistica di Luigi sono sempre presenti elementi che si richiamano all’arte bella – fisarmoniche, clarinetti e soprattutto la tromba di papà -, ma non potè e non poteva dare più di tanto! Papà e mamma, con la loro saggezza consona ai tempi, avviarono il loro Luigi agli studi, a quelli ritenuti veri, regolari e più proficui!, perchè conseguisse un titolo di studio che gli assicurasse l’avvenire. Studiare musica allora era una impresa ardua se non impossibile. All’epoca, infatti, non vi era alcuna opportunità, mentre oggi pullulano dappertutto le associazioni che promuovono attività e manifestazioni musicali, le scuole di musica vanno sempre più diffondendosi, l’educazione musicale è entrata a pieno titolo nella scuola pubblica, a partire da quella primaria.

Quella di Corso Vinzaglio presso il Circolo Ufficiali dell’Esercito non sarà una delle solite Mostre d’Arte. L’autorevole e puntuale presentazione di d. Luigi Ciotti e l’altrettanta autorevole annunciata presenza del Maestro Daniele Comba e la Sua Tromba sono di preludio non tanto ad una semplice esposizione di tele quanto ad un rilevante evento artistico.

Esprimendo il mio profondo rammarico di non poter essere presente, sicuro che come al solito il successo di pubblico e di critica non mancherà, rappresento a Luigi il mio vivo compiacimento e il mio affettuoso saluto augurandogli una serie infinita di ulteriori affermazioni.