Una funzione religiosa d’altri tempi

Sul numero del mese di Aprile 2007 della Rivista National Geografic Italia abbiamo letto un articolo sui riti che si celebrano durante la Settimana Santa a Sessa Aurunca in provincia di Caserta e del quale riportiamo un passo, quello iniziale:

” E’ la sera del Mercoledì Santo. Nella Chiesa di San Giovanni a Villa, a Sessa Aurunca, i membri dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso sono riuniti per uno dei riti più importanti della Settimana Santa. Vestiti dell’abito rituale, un saio nero, i confratelli recitano brani tratti dalle Lamentazioni di Geremia e da San Paolo, intervallati con il Mattutino e diverse Laudi. Di fronte all’altare è posta la Saetta, un candelabro dalla forma simile ad una freccia, su cui brillano quindici candele. Dopo ogni cantico, accompagnato dal suono dell’harmonium, viene spenta una candela. Quando ne rimane accesa una sola, l’officiante prende la Saetta e la nasconde dietro l’altare. La chiesa rimane nel buio più completo, ed è allora che inizia il “terremoto” : tutti i presenti iniziano a battere piedi e mani sui banchi. Le tenebre e il frastuono simboleggiano il caos e il dolore scesi sulla Terra dopo la morte di Gesù. Ma ecco che la candela riappare da dietro l’altare, e il terremoto cessa: è la luce del Cristo, che non si spegnerà mai…”.

Proponiamo agli occasionali visitatori del sito lo stralcio del predetto articolo perchè analoga funzione religiosa veniva svolta anche nella nostra Chiesa Matrice. Come si sa, in forza delle disposizioni del Concilio Vaticano II molti riti sono stati depennati dalla liturgia ecclesiastica. Il rito di Sessa Aurunca veniva, sì, celebrato anche da noi, però, con delle varianti e con alcune connotazioni, diciamo, folcloristiche.”Le Tenebre”, così come era detta la funzione religiosa, venivano celebrate nelle ore vespertine dei primi tre giorni della Settimana Santa, lunedì, martedì e mercoledì. Sul presbiterio e di fronte all’altare veniva sistemato un grande candelabro di legno a forma di triangolo con quindici candele accese, di cui una, quella posta al centro, era bianca. A sinistra sedevano gli officianti, ricordiamo l’Arciprete Don Ciccio Palaia, Don Peppino Palaia e Don Bonaventura Autelitano, a destra vi era l’harmonium al quale nel tempo si avvicendarono gli organisti Rocco Palaia, Ciccio Chiera e Peppino Loprete. Sui banchi del coro, sistemato lungo i lati dell’abside, sedevano i cantori tra i quali il Chierico Don Ciccio Palaia, che pur non ordinato sacerdote, perchè costretto a lasciare gli studi essendo improvvisamente divenuto non vedente, non aveva dismesso l’abito talare ed era accolto dai sacerdoti della Parrocchia nella  loro colleggiata, infatti, anche se non poteva concelebrare, partecipava a tutte le funzioni quale “confratello religioso” . Iniziavano i canti e ad ogni fase della funzione  veniva spenta una candela sino a quando non fosse rimasta quella centrale, la bianca, che veniva portata in sagrestia, ubicata, allora, dietro l’altare, che in seguito demolito fu sostituito dall’attuale “mensa”. A questo punto veniva intonato il Miserere. Al termine del canto del Salmo di David l’Arciprete dava dei colpetti sul libro dei canti che teneva in mano. Era il segnale al sacrista o a chi per lui perchè si facesse sulla porta della sagrestia con in mano la candela accesa, quella bianca. Con quell’atto veniva fatta memoria di quanto avvenne quando Gesù spirò sulla Croce.L’Evangelista Matteo ci tramanda: “…dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio sulla Terra…il velo del tempio di Gerusalemme si squarciò da cima a fondo, la terra tremò, e le rocce si spaccarono…(Mt 27,47-51)”.Quello che avveniva nella Chiesa Matrice era tutt’ altro da una finzione simbolica ordinata, composta, contenuta entro i limiti della decenza. Sembrava che non tutti avessero coscienza del “mistero” a cui la funzione e la finzione erano riferite. Appena da dietro la sagrestia appariva la candela accesa, si scatenava…il finimondo. Ciascuno dei presenti, come poteva e a suo modo, si adoperava a fare rumore. Il frastuono, però,  proveniva dal  fondo della Chiesa. Nella parte dove di solito stazionavano gli uomini, al di qua delle transenne che delimitavano lo spazio occupato dalle donne, in fondo alla navata, infatti, venivano escogitati modi e mezzi per fare rumore. Il grande portale interno per i colpi ricevuti si spalancava di botto con assordante fragore e stridore dei saliscendi, si batteva sulle suppellettili e dall’alto della vecchia scala di legno per il campanile non di rado si lasciavano rotolare grossi massi di pietra. Terminava, così, la funzione delle “Tenebre”. Invano l’Arciprete Palaia richiamava i più scalmanati alla valenza della funzione religiosa e del conseguente atto simbolico e raccomamdava moderazione e decenza. A noi giovani di una volta gli anziani raccontavano che il predecessore di Don Ciccio Palaia, l’Arciprete Don Raffaele Lentini, prima che venisse dato il via alla finzione simbolica, munito di un nodoso virgulto, scendeva dall’altare e si portava in fondo alla Chiesa per tenere a bada i più scalmanati.

Categorie: Echi del passato
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Un commento
  1. Thomas Stranieri scrive:

    Egregio Signor Salvatore,
    Non ho trovato in questo sito, un link per mandargli direttamente una e-mail, cosi’ ho usato questo spazio per scrivergli. Complimenti per la sua pagina internet la ho trovata molto informativa, veloce da caricare e piena di informazioni molto utili. Spero, sin qui’, di non averlo annoiato e non vorrei rubargli molto del suo tempo prezioso. La ragione per cui gli scrivo e’ questa, come avra’ notato abbiamo qualcosa in comune, il nostro cognome, e a riguardo vorrei porgli una domanda che spero potra’ rispondere: Da dove arrivarono i nostri avi in calabria e in quale periodo storico.Io sono originario di Maida ma abito negli Stati Uniti d’ America fin dal 1977, sono partito subito dopo aver finito gli studi in Italia. La ringrazio anticipatamente per aver letto la mia e-mail e la saluto cordialmente.