(Sacra terra mia)
di Francesco Zaccone
Presentazione
Signore e signori,
non intendiamo questa sera procedere ad un’analisi critica del lavoro del nostro caro concittadino, Francesco Zaccone.
Lasciamo che la facciano gli altri, nella considerazione che potremmo essere tacciati di partigianeria, oppure incorrere in un inopportuno autolesionismo al fine di dimostrare una nostra sviscerata imparzialità.
E’ antipatico parlare delle cose proprie, è meglio che siano gli altri a parlarne!
Della poesia di Francesco Zaccone s’è parlato e se ne parla!
La poesia del nostro concittadino è già stata al vaglio della critica, severa e precisa!
E’ la critica dei concorsi dai quali sono scaturiti giudizi molto lusinghieri per il nostro poeta.
Mi è gradito in questa occasione citare alcuni dei premi che il nostro concittadino ha conseguito in importanti competizioni letterarie e che, fedele al suo stile di persona che agisce in assoluta discrezione, non ha mai sbandierato ai quattro venti:
- Il 30 Aprile del 1983 vince il primo premio nel Concorso Nazionale Letterario “Città di Rende”;
- Nel Settembre del 1983 si classifica al primo posto tra i concorrenti al Premio Nazionale di poesia “La Lizza d’oro” ;
- Riceve il Pino d’oro al ” Premio Internazionale dei Due Mari”.
Sono gli altri a confermare la valenza poetica dei versi, delle rime del nostro Poeta, e non è cosa di poco conto!
Noi questa sera per congratularci, per complimentarci con Francesco Zaccone per questa sua ulteriore creazione poetica.
Dunque, le nostre congratulazioni, le nostre sincere e doverose manifestazioni di affetto.
Francesco Zaccone è un autodidatta, di quelli autentici!
Essere per il nostro tempo autodidatta è cosa facile, sono innumerevoli gli stimoli, le sollecitazioni alla cultura che la vita quotidiana oggi offre.
Nel passato non era così, non a tutti era consentito, non era possibile entrare nel tempio della cultura.
Francesco Zaccone al suo inappagabile desiderio di sapere ha accomunato sempre una tenace volontà e sin da ragazzo dimostrò una grande voglia di sapere.
A scuola era il beniamino dei maestri, certamente nè per censo nè per altre fortune.
Era l’alunno più volenteroso, più studioso, più educato, l’alunno additato agli altri quale modello da imitare!
Mi tornano alla mente le lunghe passeggiate, con noi più fortunati di lui. Cercava di carpire dai nostri discorsi qualcosa che a lui, nella sua umiltà, pensava che mancasse.
Me lo ricordo come se fosse oggi…quel grosso suo quaderno, pieno zeppo di scrittura minuta, che passava di mano in mano, in mezzo a noi che avevamo avuto la fortuna di essere avviati agli studi.
Pensava che noi ne sapessimo di più e ce lo affidava come se noi fossimo il suo crogiolo, ma a noi non era dato altro che rimanere incantati, meravigliati!
F.Zaccone vanta al suo attivo una ricca produzione letteraria, ben tre pubblicazioni di poesie: “Canti di Carruse“, “Arie di Primavera” e “Luoghi di Girifalco” che questa sera abbiamo l’onore di presentare.
I primi due volumi, che tutti noi conosciamo, contengono i canti della giovinezza, in essi i sentimenti, i desideri, le speranze, le idealità si alternano ai personaggi, alle cose. Canta la semplicità della società contadina, canta la natura nella quale si sente immerso a guisa di saltellante uccelletto …………………………………………………………………………………………………………
Puru io sugnu n’uccellu
chi giriju sti sentera,
nu minusculu stornellu
de na curta primavera;
E, cantandu, satarriju:
nenta cchiu mi ‘hacia gula
e mi tempru, mi sazziju
cu la lucia de lu sula.
Lo scenario della sua poesia è la natura, la natura con le sue cose, con i suoi esseri viventi.
Canta la semplicità dei campi.
Chi come me ha vissuto in queste contrade e luoghi la parte più bella della vita, rivive quei tempi con nostalgia.
Balzano alla mente uomini e cose, riecheggiano nelle orecchie voci, suoni, rumori.
La vita ferveva, un tempo!, e le casette, addossate l’una sull’altra, non erano altro che alveari di api operose.
Dal fondo dei ” bassi ” arrivava il battito secco del telaio, mentre il tipico rumore della macchina da cucire si univa al vociare allegro delle ragazze che andavano ad apprendere l’arte e di tanto in tanto lanciavano fuori, nella strada, occhiate desiose e fuggitive.
L’artigiano al suono della campana chiudeva la bottega per la breve e parca sosta di mezzogiorno, quando suonava la campana dritti tutti a casa, a prescindere dalla tavola imbandita o non.
Si sperdevano per la strada gli scalpitìi degli asini, mentre il contadino sgridava il monello…per il ciuffo di erba che aveva sottratto dalla soma del suo asinello.
La buona e previdente massaia, spargendo davanti al proprio uscio una manciata di becchime, attenta e vigile che non si avvicinassero quelle della vicina di casa, facendo un caratteristico verso, chiamava a controllo le sue galline che, in testa il gallo, accorrevano svolazzando.
Dalle ” graste ” , posate su balconi e finestre, scendevano giù le variopinte campanelle, i gerani spargevano nell’aria il loro aspro odore, i garofani ” scritti ” rivelavano in quella casa la presenza di una giovinetta.
Non mancavano i vasi di “vasilicò“, di “petrusinu“, o di rossi peperoncini.
Questi luoghi a sera si animavano ancor di più, rincasavano dalla campagna i contadini che allo spuntar dell’alba avevano lasciato i loro umili giacigli.
Era un vociare garbato, sommesso, si scambiavano i saluti, ci si informava di come era andata la giornata.Ardeva, intanto, sul focolare la fiamma schioppettante alimentata con frasche di castagno. Ci si preparava, così, alla meritata e frugale cena dopo una giornata trascorsa nel duro lavoro dei campi.
Quanti ricordi, quanta nostalgia suscita la lettura di “LUOGHI di GIRIFALCO“.
Mi sia consentito fermarmi fugacemente solamente su due “luoghi” perchè non voglio togliervi il gusto di scoprire direttamente “questi strati e riuni”così come Zaccone ce li presenta.
“Strati e riuni” che ” sugnu lu specchiu, na pagina scritta – de storia nostra, storia beneditta”.
“Lu Vottandieri”, la vedetta degli innammorati.
Di là, dall’alto, l’occhio spaziava ampio.Si scrutava in lungo e in largo con occhi ansiosi ed indagatori in una spasmodica attesa di un volto, di una andatura, di una sagoma ben nota. Allora non vi era Viale Migliaccio, il luogo d’incontro della gioventù amorosa.
“La Cannaletta” che potremmo definire la lavatrice e la piscina di un tempo!
” a manca e a destra ciabba e lavatura…,”
a destra la cìabba, la vasca che raccoglieva l’acqua per irrigare gli orti circostanti e che d’estate veniva scambiata per piscina: Turi, Cicciu, Peppinu, Luiginu… in costume adamitico vi gareggiavano in ardimentosi tuffi.
All’improvviso, minaccioso con una frasca in mano, arrivava l’ortulanu de Don Filippu, Mattìa Corijisima, ed era un correre disordinato a nascondersi dietro le siepi in attesa che qualcuno portasse loro i vestiti. A sinistra il lavatoio pubblico. Le nostre mamme vi si recavano di buon mattino con l’intento, ciascuna, di occupare i posti di testa. Si assammarava, prima dell’incinnarata veniva fatta una prima lavatura, una sgrossatura.
Guai a chi si fosse permessa di lavare alle fontanelle, mastru Ruaccu Scicchitano, il fontaniere, vigilava perchè questo non avvenisse.
Tra una strizzata o stricata e l’altra si parlava di tutto, tutte le notizie arrivavano alla Cannaletta e dalla Cannaletta si diffondevano per il paese!
Era pure un luogo d’incontro della gioventù amorosa.
Durante le serate di plenilunio dalla Cannaletta arrivavano i canti e i suoni degli innammorati, o durante il periodo pasquale, le “STAZIONI” della Via Crucis, mo, cca, cchiu non si sona nè si canta – nemmeno l’acqua sua frisca si viva.
Lu “Vottandieri” la vedetta degli innammorati, la “Cannaletta” la via degli innammorati. Le ragazze andavano e venivano da e per questi luoghi. Nelle case, là dove c’era una ragazza, difficilmente mancava l’acqua!
I barili o le brocche erano sempre vuoti oppure l’acqua era sempre addemurata e, quindi, si doveva andare alla fontana!
Con “LUOGHI di GIRIFALCO” Zaccone sembra che si pieghi su sè stesso, in una profonda riflessione sul passato e gli sovvengono ricordi e visioni. E la sua Musa si scioglie in un canto sui luoghi semplici, ma cari alla memoria. Luoghi piccoli e stretti dove regnò umiltà e bontà che ad esse fu fatto onore. Al giovane e frettoloso passante questi luoghi, ora silenziosi e fatiscenti, nulla dicono, come da niente sarebbe attratto, se non dalla mole, l’ignaro viaggiatore alla vista del Colosseo se storia e tradizioni non gli venissero in soccorso, storia e tradizioni che vivificano le cose che sembrano morte.
“LUOGHI di GIRIFALCO” ha il sapore di storia.
Mi sia consentito fare un apprezzamento.
Zaccone ha il merito di averci dato il primo libro di storia su Girifalco e merito ancora particolare è quello di essersi servito della poesia. Sappiamo che la poesia tocca i sentimenti, con essa vengono espresse le più alte idealità!
Sappiamo che la storia si riveste di poesia, è poesia quando assume carattere di epopea!
La cetra del nostro concittadino ha saputo coniugare poesia e storia. Con accenti umili, ma intensi ci ha squadernato tutto il nostro passato, con la forza del ritmo ha toccato il nostro cuore!
Gli anziani, leggendo “LUOGHI di GIRIFALCO“, con nostalgia si rivolgono al passato e guardano la lunga strada che si è fatta! Ai giovani la conoscenza della storia servirà d’insegnamento, di stimolo perchè non si adagino sul presente, il presente dovrà costituire una pedana di lancio per ulteriori avanzamenti.
Con il suo lavoro Zaccone partecipa attivamente al movimento didattico-letterario che va sotto il nome di educazione ambientale.Vi è una riscoperta e rivitalizzazione delle memorie, del passato. Il turbinìo della vita moderna con tutti i suoi problemi d’ordine ambientale ci induce alla scoperta del tempo andato.
E Zaccone si sente in dovere di trasmettere il suo messaggio perchè ” cu sapa ncuna cosa e no la ‘nzegna – è perzuna de vantu puacu degna:”
Ancora, un doveroso saluto ed altrettanto doveroso ringraziamento all’Editore Ursini per l’ottima veste tipografica di cui ha dotato il lavoro del nostro poeta.
Un saluto che è pure d’incoraggiamento, sappiamo fra quante difficoltà operano gli editori nella nostra regione.
Un ringraziamento alle ragazze che hanno dato la loro preziosa ed entusiastica collaborazione per la migliore riuscita di questa manifestazione.
(Salvatore Stranieri)
Giuseppe Vitaliano
Continente Calabria
Storia e antropologia della regione
(alcune nostre riflessioni)
La pubblicistica regionale si è arricchita di un testo storico-antropologico che riguarda da vicino la nostra regione. Il prof. Giuseppe Vitaliano, per i “Tipi della Casa Editrice di Soveria Mannelli, la Rubbettino, ha dato alle stampe ” Continente Calabria – Storia e antropologia della regione“. L’Autore non è nuovo al pubblico e per le pubblicazioni che conta al suo attivo e perchè stimato ed apprezzato docente di Lettere negli Istituti Superiori. Che la pubblicazione di Vitaliano esca dall’usuale…agiografico e che sia un lavoro che suscita nel lettore particolari riflessioni lo si evince a partire dal titolo, “Continente Calabria…”!
La Calabria è, sì, un continente! Quando parliamo di continente la nostra mente corre alla varietà di climi, di paesaggi, di lingue o di idiomi, di ceppi di popolazioni o di etnie.Circostanze, situazioni, le predette, che ricorrono da sempre nella nostra regione. La divisione amministrativa della Calabria in Ultra, Media e Citeriore rispondeva alla realta socio-fisica della regione. E non è raro, ancora oggi, imbattersi in qualche pietra miliare riferita alla vecchia denominazione Strada interna delle Calabrie. E l’Autore riporta quanto negli anni ’50 un non calabrese, l’ Ispettore scolastico Isnardi, scrisse a proposito dell’orografia calabrese e quanto questa abbia influito sullo sviluppo regionale. Al dis-continuum fisico fa riscontro quello socio-storico. Si rilevano, infatti…” il topos dei cosentini più latini, dei catanzaresi più bizantini, dei reggini più ellenici”.
Differenziazioni, queste, che si sono perpetuate nel tempo sino ai giorni nostri. Mentre nelle altre regioni si rileva unità geo-politica che ruota intorno alla città capoluogo, in Calabria, invece, si hanno tante realtà geo-politiche, guardinghe fra di loro con grave detrimento per lo sviluppo regionale. Effetto emblematico di tale situazione il carattere itinerante del nostro Ente Regione, la sede della Giunta a Catanzaro, quella del Consiglio Regionale a Reggio Calabria. E questo perchè nessuno dei capoluoghi calabresi nel tempo è assunto a baricentro o, meglio, centro gravitazionale della regione. Lasciamo al lettore le considerazioni circa lo spreco di energie derivante da questa dislocazione dell’Istituto Regionale.E’ vero, sì, che ai vari dominatori che nel tempo si sono avvicendati interessavano Palermo, Napoli e Bari e la Calabria era terra di conquista e di passaggio, ma è altrettanto vero, lo diciamo con amarezza, che la Calabria e con essa i calabresi non sono adusi a fare tesoro delle occasioni propizie. Ci riferiamo allo stesso Istituto Regionale con il quale i calabresi sarebbero dovuti essere gli artefici dei loro destini; ci riferiamo alle Comunità Montane delle quali si sarebbe dovuto fare tesoro……..
Sì, quella della Calabria è una realtà geografica immodificabile, ma i mali della nostra regione vengono esclusivamente dalla sua posizione geografica e dalla sua conformazione morfologica? A proposito riportiamo quanto all’indomani del terremoto del 1783 Ferdinando Galanti, inviato in Calabria dai governanti di Napoli, scrisse nella sua relazione: ” La Calamità della Calabria è stata tale, e tanto distruttiva, che offre il campo a poter spaziosamente formare un nuovo sistema di cose rispetto ad essa. Bisogna adunque profittare del momento (Sic!) per formare un piano generale del suo ristoramento da eseguirsi di passo in passo. Tre sono i mali grandi della Calabria ulteriore:
1) la prepotenza dei baroni;
2) la soverchia ricchezza delle mani morte;
3) la sporchezza, la miseria, la salvatichezza, la ferocia di quelle città e di quei popoli.” ( Rosario Villari, Il Sud nella Storia d’Italia, Edizioni Laterza Bari)
Situazioni oggi non ricorrenti. Sintomatico, però, che il Galante abbia addebitato l’arretratezza della regione esclusivamente a motivi socioeconoci.
Vitaliano, invece, va a ritroso nel tempo e conviene che i mali della Calabria iniziarono con i Romani i quali le fecero pagare la fierezza dei suoi Bruzi “ accaniti sostenitori del generale cartaginese e tra gli ultimi ad abbandonarlo…e condannava questi indominti montanari alla condizione di peregrini dediticii, come a dire schiavi dell’Impero “. Ed ancora Vitaliano: ” Così il Bruzio pagherà la sua fierezza rimanendo isolato e selvaggio, straniero all’Impero, abitato da un gran numero di schiavi …che nella regione consolidarono il latifondo e con esso l’immobilismo e la miseria”. E allora? La nostra Regione è una miniera di risorse che le provengono dalle stesse montagne, dalle sue zone rivierasche e, quindi, dai suoi mari, dai suoi prodotti tipici, dalle sue intelligenze umane costrette ad evadere, ad emigrare. Basterebbe che il popolo calabrese avesse più fiducia in sè stesso, nelle sue possibilità e non attendere che lo sviluppo del suo territorio avvenga per volontà di altri o per decreto.
Emblematico quanto leggiamo, fra l’altro, sulla sovracopertina: “…Il momento è significativo, anche perchè i Fondi Europei destinati alla Calabria per il settennio 2007-20013, rappresentano, a detta di tanti, ” l’ultimo treno” per la crescita della Regione. Occorre, allora, il contributo di tutti per stimolare e sostenere in questa sfida l’azione degli Organi politici.” …………………………………………………..