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SKECT

Un malinteso a tavola

A Pauluzzo non andava proprio il piatto che gli era stato servito.

La mamma accortasi del disgusto che il figlio provava per il pranzo che gli aveva preparato in modo chiaro gli disse:

- Pauluzzo!, se ti va bene questo, va bene!, altrimenti … posa!

In quel paese con il termine posa indicavano, pure i fagioli. A Pauluzzo quei legumi piacevano molto e pregustandone un bel piatto scostò da sé la pietanza che gli era stata servita dalla mamma rimanendo in attesa del presunto piatto di posa cioè di fagioli!

La mamma accortasi del malinteso in cui era incorso Pauluzzo, quasi, gli urlo’:

-Pauluzzo!, non capisci l’italiano?, che tipo di studente avanzai? Ti dissi … posa, voce del verbo posare e, quindi, posa, deponi la forchetta!

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BOTTA
E RISPOSTA

Paolino e Giuseppino erano amici per la pelle- Si conoscevano sin dall’infanzia, le loro abitazioni sorgevano sulla stessa strada.

L’uno conosceva dell’altro…..vita e miracoli. La loro infanzia era stata segnata dalle  ristrettezze economiche del tempo dovute della Seconda Guerra Mondiale.

I due amici erano dei mattacchioni e i loro frizzi e lazzi non avevano  risparmiato nessuno del paese.

Si diceva che non risparmiassero neanche se stessi.

Un giorno Paolino si presentò con aspetto molto sofferente, la testa reclinata la  mandibola trattenuta con il palmo della mano:

-Vedi Giuseppino, dopo il dente del mese scorso, stamattina il dentista mi ha  estirpato un molare, che fastidio…! Che dolore!

-Mi dispiace molto Paolino mio! Ringrazio Iddio che ad oggi non ho ancora assaggiato questi dolori! La mia dentatura è bella, sana e completa!

Paolino alle parole di Giuseppino fu preso da un sentimento di stizza e mal sopportando  l’ostentata soddisfazione che l’amico dimostrava per i suoi  denti sani, cercò di ferirlo nel suo orgoglio:

-E si! Dici bene! Giuseppino mio non poteva essere altrimenti! Sfido io la tua  dentatura bella, sana, completa….. ti scordasti che per lungo tempo la tenesti  a riposo?

Giuseppino non si diede per vinto e subito ribatte:

-Paolino mio i tuoi denti sono così malandati per tutti quei dolci che tua madre ti dava al posto del pane che non avevate! I due si guardarono fissi e nei loro occhi balenò un sorriso e
parve dicessero: Siamo irresistibili!!

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OGGI >>>COME<<<< IERI

Una risposta ambigua
Olim intraverat Romam adulescens simillimus Caesari Augusto et in se omnium ora converterat. Augustus hominem in conspectum suum vocavit atque sic interrogavit: “ Dic mihi, adulescens , fuit aliquando mater tua Romae?” Negavit ille et adiecit: “ Sed pater meus saepe”.
(Macrobio, Saturnalia)
(Un giovane si trasferì dal suburbio  a Roma. Siccome somigliava molto all’imperatore Augusto attirava su di sé gli sguardi della gente. Augusto convocò il giovane e gli chiese: Giovanotto, tua madre qualche volta venne a Roma? Il giovane negò e aggiunse: No! Mio padre veniva spesso a Roma!).

***

Situazioni similari a quella riportata dall’aneddoto di Macrobio – con dovizia di facezie, allusioni, frizzi e lazzi – sono non di rado presenti nella nostra quotidianità.

Ed in riferimento  a questo humor, sia in casi di somiglianza sia in casi di omonimia, proponiamo ai lettori una nostra verosimile rielaborazione.

Due signori sono alla stazione ferroviaria in attesa che arrivino i rispettivi treni, l’uno diretto al Sud, l‘altro al Nord del Paese.

–Non ricordo in vita mia che un treno sia arrivato o partito in orario!, Sbotta il signore diretto al  Sud.

–E’ vero, signore! Il servizio ferroviario non funziona!, ribatte il signore diretto al Nord.

Riprende il primo: da un pezzo ci scambiamo informazioni,   facciamo commenti e ancora non ci siamo presentati!

–Permettete? Sono Antonio Sempronio e sono un Calabrese doc!

–OH! Che bella occasione! Me lo diceva il nonno che fece servizio  militare in Calabria durante l’ultima guerra mondiale: Le belle Calabriselle  gli cadevano ai piedi!

–Io sono Cosimo Sempronio!

–Signor Cosimo, andiamoci piano! I Sempronio da secoli sono presenti in Calabria!

–Mio nonno, Cosimo Sempronio, fece il servizio militare in Piemonte  nella prima guerra mondiale e fece stragi di belle “Tote”.

–E voi illustre signor Cosimo nonché mio illegittimo parente, rinnovate il nostro comune nonno non solo nel nome, ma anche nella fattezze del volto. Con questo naso aquilino vedo in voi proprio nonno Cosimo che fu così prodigo a lasciare le sue impronte ovunque fosse andato!

Categoria: Pagine sparse  Un Commento

Patate! Patate! Patateee!

E’ il grido, l’annuncio giornaliero che si diffonde di primo mattino per le strade del paese.

E’ l’invito che un giorno sì, diciamo, e  un altro pure con l’altoparlante a tutto volume diffonde il patataro, il venditore di patate invogliando la gente alla compera dei suoi tuberi ora evidenziando la qualità della sua merce – pasta gialla, signori!-, ora sottolineandone la provenienza, patate della Sila, signori! Patate silane! E sosta, il patataro, ai crocicchi.

Si fanno sull’uscio le solerti e provvide donne di casa. E si avvicinano al camion, si accalcano, ma non c’è da scegliere, l’automezzo è carico di sacchetti preconfezionati e tutti dello stesso peso. Intanto il patataro con il suo altoparlante continua ad invogliare alla compera dei suoi tuberi: Regalate!, regalate sono le mie patate! Ad una ad una, fatta la spesa, ciascuna delle donne di casa rientra.

Che le patate tipo pasta gialla siano di ottima qualità e che quelle silane siano ancora di qualità superiore a quelle coltivate in altre contrade è risaputo, è tutto pacifico, è tutto ….. normale!

Ma, non è altrettanto pacifico, normale per chi in forza del numero delle primavere che annovera può scrutare a fondo nel secolo passato!

In altra epoca, parafrasando l’aneddoto sui vasi di Samo, se ne poteva coniare un altro del tutto nuovo sulla produzione delle patate a Girifalco:

“Tempo perso portare vasi a Samo (1) così come portare patate a Girifalco!”.

E mangiapatate, con un certo senso di bonario ed amichevole scherno, venivano definiti, chiamati i Girifalcesi! E non a torto!

Girifalco era noto per due P, la lettera dell’alfabeto con la quale hanno inizio due parole, pazzi e patate.

A Girifalco sino all’entrata in vigore della Legge Basaglia, inizi anni ’80 del secolo scorso, vi era una grande struttura manicomiale, l’ex O.P.P. (Ospedale Psichiatrico Provinciale) in cui venivano accolti coloro che manifestavano disturbi mentali e ne provenivano sin dal Dodecanneso (2).

Poi, Girifalco nel passato era un forte produttore di patate. Un’ampia area, l’altopiano di Mangraviti (3) era coltivato esclusivamente a patate.

E la patata fra i prodotti della terra, destinati all’alimentazione nella povera dieta del tempo, deteneva il primo posto. Spesso si iniziava la settimana e la si terminava mangiando patate!

Le si consumavano in “palla”, bollite, sbucciate e mangiate, bollite e condite al piatto, preparate stufate con il sugo del pomodoro, soffritte, arrostite oppure miste a verdura, a fagioli e pasta. Negli ambienti più o meno agiati  ed evoluti nelle diete con le patate venivano preparati purè, gattò, gnocchi, “vrasciole”. E non inorridiscano i giovani che per puro caso andranno a leggerci!

Quando si incominciò a coltivare la patata a Girifalco?

Da una pubblicazione, (4) riferita al XIX Secolo, apprendiamo che “ la patata fu in Calabria portata da don Antonio Cefaly fu Domenico di Cortale. Da detto Cefaly nel medesimo anno ne ebbe pochi e per esprimere la quantità quanto ne entrava in un foglio di carta. Don Vincenzo Paleologo di qui cominciò a coltivarla ed il primo anno ne fece una mezzarola, li gustò e li conservò e a suo tempo li impiantò e cominciò a moltiplicarli e li mantenne fino al 1801: da quell’epoca la detta patata si incominciò a coltivare da pochi, ma lentamente, nel 1806 venuti in questo Regno i francesi ne fecero molto uso di dette patate cosicché si vendevano a sette e otto grani il rotolo (5) ed impararono ai calabresi il modo di servirsene in cucina facendo molte vivande, da quell’epoca in poi la nostra popolazione si applicò alla coltura di dette patate ed ora se ne fanno in quantità, da cui si moltiplicarono e si somministrarono a vari e diversi paesi di questa provincia e da qui da don Gregorio Rocca di Catanzaro, fu mandata la detta patata nella Sila ed ora colà se ne fa gran coltura”.

La patata, dunque, nel campo dell’alimentazione e in quello dell’economia del tempo la faceva da padrona!

La famiglia che poteva contare su “un chiancatu” pieno di patate era considerata benestante, perché aveva di che mangiare!

(1)Samo, isola nel Mare Egeo, nota nell’antichità per le sue terrecotte.

(2)Dodecanneso, gruppo di 12 isole nel Mare Egeo con Rodi capoluogo. Le abbiamo conquistate con la Guerra di Libia (1911-1912) contro la Turchia. Ma in seguito ai rovesci nella Seconda Guerra Mondiale (1939- ’43) e, quindi, con il Trattato di Pace di Parigi sono tornate sotto il dominio della Turchia.

(3)Mangraviti, altopiano ai piedi di Monte Covello.

(4)Ernesta Bruni Zadra, MEMORIE DI UN BORBONICO – Ed.ABS.

(5)Il rotolo, che in Sicilia corrispondeva a grammi 790 in Calabria valeva invece circa 890 grammi.

(6)chiancatu, l’angusto vano del sottotetto.

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>DEI LUPINI<

I lupini, sin’ora negletti e ritenuti di poco conto sembrano all’oggi che siano divenuti…, di moda. Il loro improvviso … debutto nella rete commerciale ci ha indotto a delle riflessioni. Addolciti e ammollo li troviamo sulle bancarelle dei mercati rionali, in buste preconfezionate negli scaffali dei supermercati. E, manco a dirlo, alla fermata dei caselli autostradali vengono offerti agli automobilisti di passaggio!

Scoperta o riscoperta dei lupini?, né l’una né l’altra, semmai una loro rivalutazione!

Dei lupini l’uomo ha avuto conoscenza sin da epoche remote. Per noi è sufficiente riportare una reminiscenza scolastica riferita alla mitologia greca:

“Menippo,  filosofo cinico, non ha con che pagare il nolo al traghettatore infernale, Caronte, se non con le bucce di lupini che gli sono rimaste nella saccoccia!” (1)

Ma, è innegabile quanto nel tempo passato ed ancora oggi siano stati e siano utili i lupini in particolar modo nelle realtà agricole e contadine!

Perché ricchi di azoto, con l’operazione del sovescio si trasformano nel maggese in  ottimo concime naturale. Ed ancora. Addolciti e, quindi, essiccati e moliti costituiscono sostanzioso pasto per gli animali domestici destinati all’ingrasso.

Anche se nel passato non venivano accolti nel novero degli alimenti, dei lupini si faceva consumo per “sfizio”, sporadicamente ed occasionalmente.

Piace ricordare le tombolate natalizie dei nostri verdi anni quando ciascuno dei giocatori con le bucce di lupini annullava sulla propria cartella i numeri che il tomboliere andava estraendo.

Una volta le bettole, le mescite di vino specialmente nei piccoli centri erano gli unici luoghi ove potersi ritrovare, incontrare.

Ne ricordiamo una, la bettola di Giosuè Giampà. Era ubicata al penultimo o terzultimo degli attuali numeri civici del tratto iniziale di Corso Garibaldi che si immette in Piazza Umberto I°.

Sull’uscio del pubblico esercizio sedeva  Angelarosa la luppinara. (2)

Era una vecchietta minuta minuta, dal viso aggraziato coronato dal candore dei suoi capelli ed accanto posato a terra un cesto colmo di lupini, addolciti e di recente ammollo.

Gli avventori nel varcare la soglia, prima di avvicinarsi al banco della mescita, sostavano  da Angelarosa .

E Angelarosa per un soldino, dei suoi lupini, ne dava una misura colma colma.

In tempi difficili e di ristrettezze economiche come durante la Seconda Guerra Mondiale (1940-1943) fu tentata la panificazione con la farina di lupini, ma ebbe esito negativo non si andò oltre perché ciò che si otteneva ben presto diveniva non commestibile.

A quanto ci è dato di sapere nel passato la coltivazione dei lupini era più o meno praticata nelle zone di “pendina”, pedemontane o zone basse e pianeggianti del territorio, vedi Lustrella e Rivaschiera. (3)

Nelle predette località sono rimasti i ruderi di strutture in muratura che ricordano grandi fornaci che sorreggevano capienti conche o caldaie nelle quali avveniva la bollitura dei lupini. L’operazione di addolcimento dei lupini iniziava con la loro bollitura e indi ne seguiva l ‘ammollo nell’acqua più o meno corrente.

Le strutture venivano date in nolo ai produttori interessati in ragione di una mezzarola per ogni dieci tomoli di lupini che venivano addolciti. (4)

La sopravvenuta commercializzazione dei lupini costituirà un imput a che anche a Girifalco ne venga incrementata la coltivazione?

I presupposti ci sono: all’utilizzo che di essi veniva fatto, limitato al sovescio e all’ingrasso di alcuni animali domestici, adesso è da aggiungere il consumo che oggigiorno ci viene proposto.

Beninteso che non poniamo la ripresa della nostra agricoltura nella produzione dei lupini!

Sì!, una rondine non fa primavera!

Però, uno stormo di rondini è formato da una rondine + una rondine + una rondine … e così via!

(1) Luciano,  Dialoghi dei morti

(2) Angela Iapello Mellace, Profumo Antico ovvero La mia poesia

(3) Lustrella e Rivaschiera, contrade in territorio di Girifalco.

(4)  Mezzarola e tomolo, misure locali per aridi

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Dalla Elegia

IN MORTE DEL POETA ALBIO TIBULLO

( Amores, III, 9 )

Publius_Ovidius_NasoSe l’ Aurora pianse Memnone, se Teti pianse Achille e i crudeli fati arrecano dolore alle grandi dee, sciogli, o lacrimosa Elegia, le neglette chiome.

Ahimè, come è consono alla realtà il tuo nome!

Quel tuo Vate,Tibullo, che ti procurò tanta fama, arde, morto, disteso sulla elevata pira.

Eppure dicono che i poeti siano sacri e siano sotto la protezione degli dei, e vi sono, pure, quelli che ritengono che noi abbiamo qualcosa di divino: evidentemente la morte devastatrice profana anche tutto ciò che è sacro e con la sua mano fa cadere tutti nelle tenebre. Anche lui il giorno supremo, la morte sommerse nel tetro Averno.

Per opera dei poeti permane il ricordo dell’ eccidio di Troia e il ricordo della tardiva tela stessuta, disfatta con inganno notturno.

Così i nomi di Nemesi e di Delia saranno tramandati nel tempo, l’una ultimo amore, l’altra primo amore.

Tuttavia se di noi rimane qualcosa oltre al nome e all’ombra, Tibullo sarà nei Campi Elisi. ( 60 )

O dotto Catullo, cinte di edera le tue giovani tempia, con Calvo gli andrai incontro.

Anche tu, o Gallo, prodigo del tuo sangue e della tua vita, se falsa è l’ accusa del disonerato amico. A queste ombre si accompagna la tua.

Se l’ombra del corpo è qualcosa di reale, o colto Tibullo, hai aumentato il numero dei pii nei Campi Elisi.

Prego che le tua ossa riposino tranquille e sicure e che la terra non sia pesante sulle tue ceneri.

Note e annotazioni

Achille, figlio di Teti, perì nella guerra di Troia. Lo uccise Paride che lo colpì nel tallone, l’ unica parte del corpo in cui Achille era vulnerabile.

Campi Elisi, sede dei beati nel regno dei morti. Secondo la mitologia greca sono situati sottoterra. I beati hanno il privilegio di conservare le loro spoglie mortali e di dedicarsi alle occupazioni più gradite in vita.

Calvo ( C. Licinio ), poeta amico di Catullo.

Catullo ( C. Valerio ), celebre poeta lirico, elegiaco ed epigrammatico, nato nell’ 87 a. C.

Gallo ( Cornelio ), poeta elegiaco. Fu preposto da Augusto al governo dell’Egitto. Caduto in disgrazia del principe, per gravi errori commessi, fu spinto alla disperazione e si diede volontaria morte.

Memnone, figlio di Titone e dell’ Aurora, perì nella guerra di Troia.

Nemesi e Delia, le donne amate da Tibullo.

…tardaque nocturno tela retexta dolo…, Penelope, la fedele sposa del lontano Ulisse, era assediata dalle richieste di matrimonio ripetute quotidianamente dai Proci. Per ingannare la loro aspettativa ella diceva che avrebbe fatto la sua scelta quando avesse condotto a termine il tessuto d’un drappo, di cui nascostamente e di notte stesseva la porzione tessuta di giorno.

Tibullo ( Albio ), poeta elegiaco del circolo letterario di Messalla Corvino. Morì giovanissimo, a 25 anni circa nel 19 a. C., l’anno stesso in cui morì Virgilio.

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LODI DELLA VITA AGRESTE

Meglio una vita tranquilla e modesta che ricchezze acquistate con travaglio e pericolo.

( Elegie, I,1)

TibulloAltri accumuli per sé ricchezze di biondo oro e possegga molti iugeri di terreno coltivato, a patto che lo atterrisca una continua ansia per l’ avvicinarsi del nemico e le squillanti trombe di guerra gli disturbino i sonni.

Le mie modeste condizioni mi accompagnino con una vita tranquilla ( 5 ), purché il mio focolare brilli, arda di fuoco continuo.

Io stesso divenuto contadino pianterò nella stagione propizia le tenere viti e con mano esperta i grandi alberi da frutta.

La Speranza non mi abbandoni, ma mi fornisca sempre messi abbondanti e tinozze piene, colme di pingue mosto. ( 10 ) Infatti soglio onorare con coriandoli di fiori il simulacro di legno, Priapo, posto nei campi solitari e la pietra sacra piantata nei crocicchi. E qualunque frutto che il nuovo anno mi porti sarà prima offerto al dio agreste.

O bionda Cerere a te una corona di spighe del nostro campo ( 15 ) che sarà appesa alla porta del Tempio. E Priapo, il rosso custode, sia posto fra gli alberi da frutta perché con la terribile falce atterisca gli uccelli.

Anche voi, o Lari, custodi del campo una volta dovizioso ora, invece, meschino avrete i vostri doni. ( 20 ) Allora una vitella immolata purificava innumerevoli giovenchi ora un’agnella è la piccola vittima di un modesto podere. Sarà immolata un’agnella intorno alla quale i giovani contadini andranno gridando: Evviva !, concedete messi e buoni vini. In quanto a me , che io possa vivere contento di ciò che possiedo ( 25 ) e non essere esposto a lunghi viaggi, ma evitare il calore del periodo canicolare sotto l’ ombra di un albero nei pressi di ruscelli di acqua corrente. Non mi sia motivo di vergogna aver tenuto, adoperato talvolta il raschio o aver stimolato con il pungolo i buoi. ( 30 ) Non mi sia motivo di rincrescimento portare in braccio a casa il nato di una capretta abbandonato dalla madre smemorata. Ma voi, ladri e lupi, risparmiate, rispettate il mio minusculo gregge, cercatevi la preda altrove, in un grande gregge.

Qui ogni anno io sono solito purificare il mio pastore ( 35 ) e aspergere di latte la dea Pale.

Orsù, o dei, venite!, non disprezzate, accettate i doni che provengono da una piccola mensa e da tersi bicchieri d’argilla. L’antico contadino in principio fece per sé vasi di terracotta e li plasmò con molle argilla.

Io non desidero le ricchezze dei miei padri e i frutti che una ricca messe produsse al mio antico avo. Mi basta, mi è sufficiente un modesto campo coltivato; mi è sufficiente se è lecito riposare nel letto e ristorare le membra sul solito giaciglio.

Come mi è piacevole sentire i venti impetuosi mentre sono a letto ( 45 )

……………………………………………………………………………………………………………………

o sicuro, senza affanni, con il favore della pioggia, prolungare il sonno, continuare a dormire mentre il vento di mezzodì rovescia acque invernali!

Ciò mi sia concesso: sia ricco a giusta ragione chi affronta i pericoli sul mare e può sopportare le piogge maceranti.

Note e annotazioni

…agricolae deo…, i principali numi agresti erano Cerere, Priapo, Silvano, e anticamente, Mavors, detto anche Mars, o Marmar, che in seguito divenne deità guerriera, assumendo i caratteri del greco Ares.

Auster, Austro, Ostro, vento di mezzodì o del Sud.

Canis aestivos ortus ( 27 ), il sorgere estivo della Costellazione del Cane ovvero della Canicola.

Iugerum, iugero: porzione di terra arabile in un giorno da due buoi aggiogati.

Pales, Pale, dea italica dei pastori e del bestiame. I Romani il 21 marzo, Natalis Romae, celebravano le feste di Pale, dette Palilia. In tale ricorrenza si solevano fare le lustrazioni, ossia purificazioni delle greggi e dei pastori. La consuetutdine nel mondo rurale di mettere il bestiame sotto la protezione della divinità, mutatis mutandis, è resistita sino ai nostri giorni. Sant’ Antonio Abate, San Rocco e San Sebastiano erano, infatti, detti santi pastorali. E non di rado, in segno di devozione e per impetrarne la protezione, capi di bestiame fregiati di ex voto venivano condotti in chiesa e fatti inginocchiare dinnanzi alla statua del Santo protettore.

Priapus, lo spaventapasseri che i nostri contadini innalzono in mezzo ai campi. Era rappresentato con un enorme membro genitale, come simbolo della potenza generatrice e fecondatrice della natura.

Spes, la dea Speranza alla quale i Romani dedicarono molti Templi e celebravano la festa il primo d’ agosto.

…stipes desertus… vetus lapis, le edicole votive dei nostri giorni situate anche oggi in punti strategici delle contrade rurali.

Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri ( 19 ), Tibullo, Virgilio e molti altri, nella distribuzione delle terre ai veterani, che Augusto fece dopo la battaglia di Filippi, erano stati espropriati di gran parte degli aviti poderi.

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Hoc erat in votis

( Satire II, 6 )

QUINTO ORAZIO FLACCOQuesto era nei miei desideri, queste erano le mie aspirazioni: un campo di modeste dimensioni dove vi fosse un orto e vicino alla casa una sorgente di acqua perenne e al disopra un boschetto. Gli dei hanno concesso ad altri di più e di meglio! A me sta bene, sono contento di quanto possiedo. Non chiedo di più, o Mercurio, figlio di Maia, che tu faccia miei, stabili e duraturi questi doni. ( 5 )

Se non ho reso più grande il patrimonio con mezzi illeciti e non lo renderò più piccolo con le dissipazioni o la negligenza ovvero la cattiva amministrazione, se stolto, ahimè!, ingenuo non chiedo agli dei nessuna delle cose che seguono: ” O se si aggiungesse al mio terreno quell’ angolo accanto che, così come è , rende asimmetrico il mio campicello! O se qualche caso fortuito mi mostrasse, mi facesse trovare un’ urna d’argento, come quegli ( 10 ) che mercenario, lavorando a giornate, trovato un tesoro, arò da padrone, dopo averlo comprato, quello stesso campo, divenne ricco con il favore di Ercole. Se ciò che possiedo mi rende grato, riconoscente verso gli dei, ti rivolgo questa preghiera: ” Concedi al padrone un bestiame pingue oltre ad altre cose, tu, mio custode, mio protettore, così come suoli, rendimi l’ ingegno grande grande! ( 15 )

Dal momento che mi sono trasferito dalla città ai monti e su in alto nella mia rocca, la mia villetta di campagna, con le satire e la poesia familiare cosa per prima devo illustrare?

Non mi affligge una cattiva ambizione né il piovoso Australe, il vento di scirocco, né l’ uggioso autunno fruttuoso per la crudele Libitina.

O dio del mattino, o Giano, se così preferisci essere chiamato, ( 20 ) dal quale gli uomini stabiliscono che abbiano inizio le opere e le fatiche della vita, così piacque agli dei, sii tu l’inizio, il principio del mio canto.

Mi trascìni a Roma quale mallevadore, garante: ” Suvvìa, affrettati perché nessun altro risponda prima di te a questo ufficio, perché nessun altro sia più sollecito di te. Sia che Aquilone, il vento di settentrione, spazzi la terra sia che la bruma, l’ inverno, trascìni il nevoso giorno ( 25 ) nel giro interiore, più breve, si deve andare.

E subito dopo, pronunciata a chiare note la formula prescritta, a lottare in mezzo alla folla e per andare avanti fare violenza con spintoni contro coloro che si attardano.

” Cosa vuoi, folle, e cosa fai? ” Un impudente mi investe con aspre imprecazioni: ” Tu spingi, rovesci tutto ciò che ti è d’ ostacolo nell’andare avanti, ( 30 ) se con la mente memore vai a Mecenate! Ciò mi giova, mi solletica, per me è un vero piacere, mi è dolce come il miele, non mente, infatti, non dice la bugia, dice il vero. Ma appena si è giunti alle tetre zone dell’ Esquilino cento affari altrui mi balzano nella mente e tanti che mi pressano attorno . ” Roscio pregava che l’ indomani fossi per lui presente nel tribunale perché lo assistessi come suo avvocato.” ( 35 ) ” Gli scribi mi pregavano che mi ricordassi di ritornare in giornata per trattare affari di utilità pubblica e nuovi.” ” Fai che Mecenate apponga il suo sigillo su questi documenti.” Avrei risposto ” proverò “: ” se vuoi, puoi ” incalza e insiste. Già sono passati sette anni da quando Mecenate mi accolse fra i suoi ( 40 ) al solo scopo di avermi in carrozza andando a…spasso e confidarmi inezie di questo genere; ” Che ora è? Il Trace è pari al siriaco Gallina? ” ” Il freddo del mattino morde, punge coloro che incautamente non si coprono bene ” ( 45 ) e quelle cose, chiacchiere che si depongono nell’ aria piena di fessure, cioè argomenti di poco conto. Per tutto il tempo dell’ amicizia con Mecenate di giorno in giorno e di ora in ora ero sempre più oggetto d’ invidia. Qualora avessi assistito insieme a lui agli spettacoli teatrali e del Circo o avessi con lui giocato a palla nel Campo di Marzio: ” O figlio fortunato! “, tutti ad esclamare. Dal foro si diffonde per i crocicchi una notizia agghiacciante ( 50 ): chiunque mi venga incontro mi chiede : ” O caro mio ( infatti è naturale che tu sia informato giacché tu sei a contatto con i potenti ) non hai sentito parlare dei Daci? ” ” niente affatto” ” Il solito burlone! ” ” Mi puniscano gli dei se dovessi sapere qualcosa!” ” Cesare assegnerà ai soldati ( 55 ) le terre promesse in Sicilia o in Italia?” E quando dichiaro di non saperne niente, come è in realtà, mi guardano con meraviglia come un uomo che sa mantenere i segreti. Vado perdendo in questo modo le mie giornate, non senza questi desideri.

O felice vita di campagna quando potrò goderti e quando mi sarà lecito ( 60 ) ora con i testi degli antichi autori ora con il sonno, il pisolino, il riposo gustare il soave oblìo di una vita affannosa, agitata? O quando saranno servite le fave parenti di Pitagora e nello stesso tempo le erbette condite a sufficienza con il pingue lardo? O notti, o cene degli dei durante le quali insieme agli amici ( 65 ) dinnanzi al Lare domestico mangio e permetto che i servi ciarlieri si alimentino con le vivande che ho appena assaggiato!

Ciascuno a suo piacere esonerato dall’ osservare il cerimoniale asciuga gli ineguali bicchieri, per quantità e qualità, sia che qualcuno resistente prenda, beva vino puro sia che qualcuno si inumidisca la gola con vino annacquato. (70 ) Indi si inzia a conversare non delle case degli altri e né se Lepore danzi bene, ma discutiamo di ciò che ci interessa e che è un male ignorare, non conoscere: se gli uomini sono felici se ricchi oppure se virtuosi; e di ciò che ci spinge ad essere amici se l’utilità o la rettitudine ( 75 ) e quale sia la natura del sommo bene e in che cosa consista. Cervio che mi sta vicino fra questi discorsi seri e importanti intercala piacevolmente delle favole da vecchiette, ma molto opportune. Infatti se qualcuno, ignaro, non conoscendo la realtà, loda le ricchezze di Arellio piene di affanni così inizia a raccontare: ” Si narra che una volta un topo di campagna abbia invitato nella sua umile tana ( 80 ) un topo di città, sia l’ uno sia l’altro avanzati negli anni. Il topo di campagna rude ed attento alle sue riserve, a ciò che si era procacciato, tuttavia tale da sciogliere, aprire il suo animo ristretto ai doveri dell’ospitalità. A che pro fare molte parole? Il topo di campagna non negò all’ ospite i ceci che aveva messo da parte né la lunga avena e portando con la bocca offrì un acino di uva passa e pezzetti rosicchiati di lardo, ( 85) speranzoso che con la varietà delle vivande che offriva vincesse la schifiltosità di colui che appena toccava con il superbo dente i vari cibi, mentre esso, padrone di casa, disteso sulla paglia fresca dell’anno rosicchiava farro e loglio, lasciando all’amico le vivande migliori. Finalmente il topo di città rivolto a quello di campagna disse: ” Amico mio, ( 90 ), che cosa ti giova vivere su un crinale di un bosco scosceso? Vuoi preferire gli uomini e la città alle aspre selve? Avanti, mettiti in cammino, affidati a me; poiché gli esseri terrestri avendo avuto in sorte anime mortali né al potente né all’umile è consentito sfuggire alla morte, perciò, o mio caro ( 95 ) finché è lecito, è possibile vivi beato in mezzo ai piaceri memore di quanto sia breve la tua vita.”

Appena fu convinto da questo discorso, il topo di campagna agilmente saltò fuori dal suo covo; indi tutti e due si avviarono per la strada proposta desiderando di penetrare di nascosto nelle mura della città di notte, per non essere visti e non correre pericoli. Già la notte calava ( 100 ), quando l’uno e l’ altro proiettano le loro ombre, pongono piede nella sontuosa casa, tanto sontuosa che in essa brillava sui triclini di avorio un tappeto tinto di rosso scarlatto e vi erano gli avanzi, le portate di una ricca cena che rimasti dal giorno precedente in disparte erano deposti in canestri colmi colmi. ( 105 )

Allora appena fece sì che il topo di campagna si stendesse sul tappeto scarlatto, alla guisa di uno schiavo con il vestito succinto, tirato su per essere più libero nei movimenti, l’ ospite, il topo di città, si dà a correre di qua e di là per la stanza e serve l’ una dopo l’altra le pietanze, assaggiando tutto ciò che offre e mette in atto i modi manierosi e cerimoniosi di un servo di casa. Il topo di campagna stando sdraiato gode della mutata condizione e in mezzo a tutte quelle cose buone agisce, si comporta da lieto convitato, quando all’ improvviso un assordante rumore di battenti fa saltare dai triclini l’ uno e l’ altro. Impauriti a correre qua e là per la stanza chiusa a chiave e più che morti per lo spavento, nello stesso tempo la sontuosa stanza risuonare dell’ abbaiare di cani Molossi dell’Epiro. Allora il topo di campagna: ” Questa vita, questo modo di vivere a me non piace ” disse ( 110 ) ” addio, me ne vado: La tana sicura nella selva con la povera veccia mi consolerà, mi preserverà dalle insidie.”

Note ed annotazioni

Daci, popolazione stanziatasi lungo la riva sinistra del Danubio, all’ incirca l’ odierna Bulgaria: Nel 31 a. C. avevano fatto causa comune con Antonio e si temeva una loro invasione in Italia.

Ercole, presiedeva ai guadagni inaspettati. A lui era attribuita la scoperta dei tesori e di questi, in segno di gratitudine, gli si offriva la decima parte.

Esquilino, uno dei sette colli di Roma e prima che Mecenate vi costruisse la sua casa e i suoi giardini era una zona occupata da cimiteri ed alcune tombe vi erano ancora rimaste.

Gallina, gladiatore.

Giano, Giano era il dio di ogni principio e di ogni fine. Era, quindi, invocato prima di dare inizio a qualunque faccenda. Anche oggi è buona norma per il cristiano praticante recitare mattina e sera le apposite preghiere e segnarsi al principio e alla fine di qualsiasi attività intrapresa e svolta.

Itala Tellure, nel continente italico. Anche oggi i Siciliani, attraversando lo Stretto di Messina, dicono di passare in continente.

Inaequalis calices…legibus insanis ( 68-69 ), differenti per capacità, per numero, per qualità di vino e dosatura d’ acqua: Nei conviti ufficiali dell’ epoca classica vi era il simpiosarca che regolava la maniera con la quale si doveva bere. Il simpiosarca, il direttore di mensa è presente in un convito d’ eccezione, alle ” Nozze di Cana Gv II, 1.” A queste figure conviviali sono da riferire i ” cerimonieri ” a cui si ricorreva anni addietro quando i ricevimenti nuziali avvenivano per lo più in casa della sposa.

Lare, la statuetta del Lare domestico era sistemata in cucina accanto al focolare.

Lepos, pantonimo e ballerino caro ad Augusto.

Libitina ( Venus Libitina ), la dea della morte e dei funerali. Nel suo tempio avevano sede gli impresari delle pompe funebri.

Mallevadore ( garante ), chi, a richiesta di amici, garantiva nei tribunali.

Mercurio, figlio di Maia, dio del commercio e dei guadagni e protettore dei poeti.

Molossi ( cani ), grossi cani da guardia dell’ Epiro, regione della Grecia antica ai confini con l’ odierna Albania.

Pitagora, filosofo greco, professava la dottrina della metempsicosi o trasmigrazione delle anime. Vietava ai suoi discepoli di mangiare carne poiché negli animali poteva essersi incarnata qualche anima umana. Proibiva pure di cibarsi di fave. Di tale divieto furono date interpretazioni discordi: secondo Cicerone il divieto era dovuto al fatto che le fave essendo un cibo flautolento nuocevano alla tranquillità della mente. Orazio, invece, ironicamente lega il divieto alla metempsicosi e, quindi, l’anima di qualche parente poteva essere passata nelle fave. Le fave dormono a lungo sotto terra dalla quale spuntano non prima dei quaranta giorni da quando sono state sotterrate e di tanto in tanto, in modo faceto dicono i nostri contadini, si affacciano per vedere se è morto il padrone! Quella di servire nello stesso tempo pietanze di fave ed erbe condite con lardo è una buona usanza che si è protratta sino ai nostri giorni.

quidve ad amicitias, usus rectumne, trahat nos…( 75 ), se l’utilità o la rettitudine ci spinge ad essere amici. La prima tesi era sostenuta dagli epicurei, la seconda dagli stoici.

Scribae, erano gli scrivani agli ordini dei questori, i quali amministravano l’erario.

…super lectos… ( 103 ), sui letti tricliniari. Il triclinio era un complesso di tre letti a tre posti sistemati lungo tre lati della tavola, sui quali si disponevano i commensali per mangiare.

Trace, gladiatore.

Triqueta/Trinacria, la Sicilia detta così per la sua forma triangolare.

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