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(strettamente personale, ma …. Non tanto!)

I risultati degli esami di riparazione per il conseguimento della Licenza Ginnasiale furono pubblicati nel pomeriggio.

Era la prima volta che frequentavo una Scuola Pubblica. Da quell’anno scolastico, 1947/1948, iniziai a frequentare regolari corsi di studio. Sino allora mi ero preparato da privatista e da esterno andavo a Catanzaro a sostenere gli esami.

Di quell‘anno scolastico ricordo il professore Silverio Marasco e la professoressa Guerrieri.

Del professore Marasco ricordo il suo particolare metodo nell’insegnarci il latino. La grammatica e la sintassi per noi come se non esistessero e, infatti, non le abbiamo aperte! Rilevavamo le regole grammaticali man mano che le incontravamo leggendo e traducendo i classici.

Il “Pro Marcello” di Cicerone si prestava molto bene a tale metodo di insegnamento.  Appena si presentava un costrutto particolare il professore Marasco, come se lo vedessi ora!, correva alla lavagna per evidenziarcelo. Ci insegnava anche italiano. Leggevamo i Promessi Sposi. Ricordo un particolare, a proposito del capitolo che riguarda l’incontro tra Renzo e Don Abbondio.

-Quanto ci intrattenne su “degli impedimenti” di Don Abbondio e l ‘incalzante ‘degl’impedimenti’ di Renzo! Il primo avrebbe voluto che quel suo  “degli impedimenti” durasse un’eternità mentre l’altro era del tutto di parere diverso. Infatti, Renzo rincalzando il povero curato tutto d’un fiato proruppe in un ‘degl’impedimenti?’.

Della professoressa Guerrieri, insegnante di greco, mi è rimasta l’attenzione premurosa che riversava ad un mio compagno, che portava un cognome per l’epoca …ingombrante, si sussurrava che il papà in quelle turbolente giornate dell’aprile del 1945 fosse perito tragicamente sul lago di Como.

 

Vi era la professoressa di Francese, Macri, ben disposta verso di me sia perché mi vedeva educato e volenteroso sia perché aveva avuto, in precedenza, come alunno un mio parente molto bravo.

Durante l’anno cercai di fare del mio meglio, ma fui rimandato a riparare greco e latino alla sessione autunnale.

Non per addurre una giustificazione, come detto dianzi, provenivo da scuola privata e quindi l’impatto in quella pubblica non fu facile.

 

Quale fu la mia gioia nel leggere LICENZIATO”!

La riproduzione a lato del Certificato di Licenza Ginnasiale conseguita senza infamia e senza lode, non è stata dettata da alcuna motivazione se non da quella di proporre al cortese visitatore del “Sito”, un documento storico risalente alla prima metà del secolo scorso.

Però, l‘essere stato, in seguito, operatore scolastico quale docente nella Suola Elementare mi induce a delle considerazioni sulla valutazione scolastica di allora e a delle riflessioni sull’evoluzione, nel tempo del metodo di valutazione scolastica. All’epoca la scuola era selettiva. Il docente  era prigioniero di rigidi schemi e nel valutare gli alunni sembrava usasse… il bilancino del farmacista.

A tal proposito ricordo che in prima liceale venni rimandato alla sessione autunnale a riparare latino pur essendo stato classificato agli scrutini finali con cinque e mezzo!…

Non entravo nei panni! E i miei genitori, che erano in trepida attesa, quando ne sarebbero stati informati? Quale soddisfazione per loro!

 

La Licenza Ginnasiale all’epoca era un traguardo scolastico importante e significativo. Da lì a poco, pensavo, sarò un liceale del “Galluppi”! Che io ricordi, in provincia funzionavano pochi istituti classici: a Catanzaro, a Crotone, a Nicastro, ora Lamezia, a Vibo e nei Seminari.

Fui avviato agli studi classici per mia libera scelta oppure della mia famiglia? Né l’una né l’altra. L’avvio dei giovani agli studi classici era determinata da situazioni ambientali.  A Girifalco non si andava oltre la Scuola Elementare, le Medie furono istituite ad inizio anni ’50, le superiori negli anni ’70. A tale deficienza ovviarono egregiamente due sacerdoti di solida cultura umanistica, l’arciprete Don Ciccio Palaia e Don Peppino Palaia.

Il conseguimento di un titolo di studio, laurea o diploma costituiva una conquista sociale da parte di alcuni ceti.

 

Sarei potuto rientrare a casa comodamente l’indomani con la corriera.

- No!, devo arrivare stasera a casa con l’autostop!

Corro alla “Pensione” informo della mia intenzione la signora Anna, di cara memoria e via esco per raggiungere con ogni mezzo Catanzaro Marina e da lì con l’autostop Girifalco.

-Prendo la funicolare per Catanzaro Sala? No! Avevo dato quasi fondo al gruzzoletto che i miei genitori mi avevano consegnato per la mia permanenza a Catanzaro. L’importo del biglietto che avrei risparmiato mi sarebbe tornato comodo in un eventuale rendiconto delle spese fatte! In quattro e quattr’otto, a piedi, sarò a Sala e mi risparmio il biglietto! E giù a capofitto per Sala. Quasi una volata per scesa Gradoni, raggiungo Fondachello e da lì ancora una corsa sono alla stazione di Sala, il tempo giusto per fare il biglietto e trafelato salire sul treno.

Arrivato a Marina mi porto alla Roccelletta, cioè al bivio per Borgia.

Attendo un po’, ma decido di incamminarmi sperando che il mio programmato autostop presto divenisse realtà.

Il sole sta per terminare il suo quotidiano percorso e tende a nascondersi dietro i monti.

Scorgo due contadini seduti sull’uscio di un casolare non lontano dalla strada maestra e dò loro voce:

-Ehi!, per il “Pilacco”?

-EH!, bello mio!, devi camminare ancora!, risponde uno di quei contadini.

E cammina, cammina! Finalmente arrivo al Pilacco.

Il Pilacco, la vecchia strada acciottolata che con qualche deviazione ripetendone il percorso è stata sostituita dall’attuale SP.

Pilacco era chiamata per le pozzanghere che lungo essa erano presenti in ogni periodo dell’anno, forse a causa delle acque della fontana che defluivano liberamente per la strada.

Facendo attenzione, così come mi era possibile in quanto  stavano calando le ombre della sera, mi incammino per la strada, supero la fontana, sembra che tutto vada bene anche se incominciavo ad avere paura. Ma che succede? Il rumore dell’acqua che sgorga dalla fontana mi fa aumentare la paura, ho l’impressione che qualcuno mi stia inseguendo.

“U Pilaccu” era ritenuto “nu malu passu” lungo il quale i viandanti, specialmente di notte, potevano andare incontro a sgradevoli sorprese.

Da quanto si narrava sembrava che i “malintenzionati” lo avessero scelto quale loro abituale sede. A me quella sera non premeva discernere se ciò fosse fantasticheria o se si trattasse di fatti realmente accaduti.

E sant’anche mie, mi metto a correre per la salita sino a quando non  arrivo a Borgia! Prendo fiato e attraverso il paese. E’ già notte! Arrivo al cimitero. Brividi di paura mi corrono per la pelle, il mio sguardo è proteso sempre in avanti, sono tentato di sbirciare a destra ma non lo faccio! Con il cuore che galoppa cerco di affrettare il passo così come mi è possibile, ma qualcosa all’improvviso mi arresta a mezzo il passo!

Un abbaiare di cani mi fa pensare:

Sono perduto!

Ma ho la forza di gridare: chiamatevi il cane! chiamatevi il cane!

Quel cane al di là della strada abbaiava per affar suo, forse alla luna che quella sera rischiarava la mia strada! Che faccio?, torno indietro verso il paese! Alle prime case mi balena l’idea  di togliermi le scarpe, così a piedi nudi non avrei fatto rumore ed inosservato  avrei superato…. quell’ostacolo. Pensato e fatto.  E così continuai per la mia strada. Ma non era del tutto ancora finita!

 

Ecco il bivio per Caraffa, ovvero sono in contrada “Don Gaetano”. Vi abitava la famiglia del Sig. Gaetano Severini della quale mi è rimasta nella memoria una simpatica figura, Donna Nellina alta e tanto magra da contarle le ossa!  A pochi passi mi si para l’immensità oscura  del Piano di Cannavù, tagliata dal rettilineo evidenziato dal biancore della breccia che all’epoca costituiva il fondo di calpestio delle nostre strade.

Tiravo diritto!

Rimettermi le scarpe? Nemmeno per sogno! Non avevo il coraggio di fermarmi, avevo l’impressione che qualcuno mi seguisse. Avevo paura di tutto, degli alberi che proiettavano la loro ombra sulla strada, del trillo dei grilli…  Guardavo avanti e in alto! Le stelle nel cielo mi facevano capire che era l’ora di andare a letto.

Iamma umida nox coelo praecipitat

suadentque sidera cadentia somnio.

 

Arrivato al cuore di Gesù quel cippo(1)  che per tanto tempo era rimasto a ricordo di quei  nostri concittadini che persero la vita il 9-9 1943, mi fece ritornare i brividi di paura e con il cuore galoppante e facendomi più volte il Segno della Croce tirai diritto e in men che non si dica  fui in paese. Arrivato a casa bussai alla porta, i miei genitori erano andati a letto non immaginando che il loro figlio stava passando la notte in cammino! Per i miei genitori il mio rientro a quell’ora insolita fu una lieta sorpresa, portavo una bella notizia!

Rimasero interdetti quando appresero del mio avventuroso rientro!

Mia madre, in particolar modo, non cessava di ringraziare il Signore per avermi fatto rientrare a casa…  sano e salvo!

(1) Per saperne di più il visitatore vada alla sezione “Non Dimentichiamo” e scorra sino a “ Ricordiamo Minicuzza Sergi”)

 

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(Sacra terra mia)
di Francesco Zaccone

Presentazione

Signore e signori,

non intendiamo questa sera procedere ad un’analisi critica del lavoro del nostro caro concittadino, Francesco Zaccone.

Lasciamo che la facciano gli altri, nella considerazione che potremmo essere tacciati di partigianeria, oppure incorrere in un inopportuno autolesionismo al fine di dimostrare una nostra sviscerata imparzialità.

E’ antipatico parlare delle cose proprie, è meglio che siano gli altri a parlarne!

Della poesia di Francesco Zaccone s’è parlato e se ne parla!

La poesia del nostro concittadino è già stata al vaglio della critica, severa e precisa!

E’ la critica dei concorsi dai quali sono scaturiti giudizi molto lusinghieri per il nostro poeta.

Mi è gradito in questa occasione citare alcuni dei premi che il nostro concittadino ha conseguito in importanti competizioni letterarie e che, fedele al suo stile di persona che agisce in assoluta discrezione, non ha mai sbandierato ai quattro venti:

  • Il 30 Aprile del 1983 vince il primo premio nel Concorso Nazionale Letterario “Città di Rende”;
  • Nel Settembre del 1983 si classifica al primo posto tra i concorrenti al Premio Nazionale di poesia “La Lizza d’oro” ;
  • Riceve il Pino d’oro al ” Premio Internazionale dei Due Mari”.

Sono gli altri a confermare la valenza poetica dei versi, delle rime del nostro Poeta, e non è cosa di poco conto!

Noi questa sera per congratularci, per complimentarci con Francesco Zaccone per questa sua ulteriore creazione poetica.

Dunque, le nostre congratulazioni, le nostre sincere e doverose manifestazioni di affetto.

Francesco Zaccone è un autodidatta, di quelli autentici!

Essere per il nostro tempo autodidatta è cosa facile, sono innumerevoli gli stimoli, le sollecitazioni alla cultura che la vita quotidiana oggi offre.

Nel passato non era così, non a tutti era consentito, non era possibile entrare nel tempio della cultura.

Francesco Zaccone al suo inappagabile desiderio di sapere ha accomunato sempre una tenace volontà e sin da ragazzo dimostrò una grande voglia di sapere.

A scuola era il beniamino dei maestri, certamente nè per censo nè per altre fortune.

Era l’alunno più volenteroso, più studioso, più educato, l’alunno additato agli altri quale modello da imitare!

Mi tornano alla mente le lunghe passeggiate, con noi più fortunati di lui. Cercava di carpire dai nostri discorsi qualcosa che a lui, nella sua umiltà, pensava che mancasse.

Me lo ricordo come se fosse oggi…quel grosso suo quaderno, pieno zeppo di scrittura minuta, che passava di mano in mano, in mezzo a noi che avevamo avuto la fortuna di essere avviati agli studi.

Pensava che noi ne sapessimo di più e ce lo affidava come se noi fossimo il suo crogiolo, ma a noi non era dato altro che rimanere incantati, meravigliati!

F.Zaccone vanta al suo attivo una ricca produzione letteraria, ben tre pubblicazioni di poesie: “Canti di Carruse“, “Arie di Primavera” e “Luoghi di Girifalco” che questa sera abbiamo l’onore di presentare.

I primi due volumi, che tutti noi conosciamo, contengono i canti della giovinezza, in essi i sentimenti, i desideri, le speranze, le idealità si alternano ai personaggi, alle cose. Canta la semplicità della società contadina, canta la natura nella quale si sente immerso a guisa di saltellante uccelletto …………………………………………………………………………………………………………

Puru io sugnu n’uccellu

chi giriju sti sentera,

nu minusculu stornellu

de na curta primavera;

E, cantandu, satarriju:

nenta cchiu mi ‘hacia gula

e mi tempru, mi sazziju

cu la lucia de lu sula.

Lo scenario della sua poesia è la natura, la natura con le sue cose, con i suoi esseri viventi.

Canta la semplicità dei campi.

Chi come me ha vissuto in queste contrade e luoghi la parte più bella della vita, rivive quei tempi con nostalgia.

Balzano alla mente uomini e cose, riecheggiano nelle orecchie voci, suoni, rumori.

La vita ferveva, un tempo!, e le casette, addossate l’una sull’altra, non erano altro che alveari di api operose.

Dal fondo dei ” bassi ” arrivava il battito secco del telaio, mentre il tipico rumore della macchina da cucire si univa al vociare allegro delle ragazze che andavano ad apprendere l’arte e di tanto in tanto lanciavano fuori, nella strada, occhiate desiose e fuggitive.

L’artigiano al suono della campana chiudeva la bottega per la breve e parca sosta di mezzogiorno, quando suonava la campana dritti tutti a casa, a prescindere dalla tavola imbandita o non.

Si sperdevano per la strada gli scalpitìi degli asini, mentre il contadino sgridava il monello…per il ciuffo di erba che aveva sottratto dalla soma del suo asinello.

La buona e previdente massaia, spargendo davanti al proprio uscio una manciata di becchime, attenta e vigile che non si avvicinassero quelle della vicina di casa, facendo un caratteristico verso, chiamava a controllo le sue galline che, in testa il gallo, accorrevano svolazzando.

Dalle ” graste ” , posate su balconi e finestre, scendevano giù le variopinte campanelle, i gerani spargevano nell’aria il loro aspro odore, i garofani ” scritti ” rivelavano in quella casa la presenza di una giovinetta.

Non mancavano i vasi di “vasilicò“, di “petrusinu“, o di rossi peperoncini.

Questi luoghi a sera si animavano ancor di più, rincasavano dalla campagna i contadini che allo spuntar dell’alba avevano lasciato i loro umili giacigli.

Era un vociare garbato, sommesso, si scambiavano i saluti, ci si informava di come era andata la giornata.Ardeva, intanto, sul focolare la fiamma schioppettante alimentata con frasche di castagno. Ci si preparava, così, alla meritata e frugale cena dopo una giornata trascorsa nel duro lavoro dei campi.

Quanti ricordi, quanta nostalgia suscita la lettura di “LUOGHI di GIRIFALCO“.

Mi sia consentito fermarmi fugacemente solamente su due “luoghi” perchè non voglio togliervi il gusto di scoprire direttamente “questi strati e riuni”così come Zaccone ce li presenta.

“Strati e riuni” che ” sugnu lu specchiu, na pagina scritta – de storia nostra, storia beneditta”.

“Lu Vottandieri”, la vedetta degli innammorati.

Di là, dall’alto, l’occhio spaziava ampio.Si scrutava in lungo e in largo con occhi ansiosi ed indagatori in una spasmodica attesa di un volto, di una andatura, di una sagoma ben nota. Allora non vi era Viale Migliaccio, il luogo d’incontro della gioventù amorosa.

“La Cannaletta” che potremmo definire la lavatrice e la piscina di un tempo!

” a manca e a destra ciabba e lavatura…,”

a destra la cìabba, la vasca che raccoglieva l’acqua per irrigare gli orti circostanti e che d’estate veniva scambiata per piscina: Turi, Cicciu, Peppinu, Luiginu… in costume adamitico vi gareggiavano in ardimentosi tuffi.

All’improvviso, minaccioso con una frasca in mano, arrivava l’ortulanu de Don Filippu, Mattìa Corijisima, ed era un correre disordinato a nascondersi dietro le siepi in attesa che qualcuno portasse loro i vestiti. A sinistra il lavatoio pubblico. Le nostre mamme vi si recavano di buon mattino con l’intento, ciascuna, di occupare i posti di testa. Si assammarava, prima dell’incinnarata veniva fatta una prima lavatura, una sgrossatura.

Guai a chi si fosse permessa di lavare alle fontanelle, mastru Ruaccu Scicchitano, il fontaniere, vigilava perchè questo non avvenisse.

Tra una strizzata o stricata e l’altra si parlava di tutto, tutte le notizie arrivavano alla Cannaletta e dalla Cannaletta si diffondevano per il paese!

Era pure un luogo d’incontro della gioventù amorosa.

Durante le serate di plenilunio dalla Cannaletta arrivavano i canti e i suoni degli innammorati, o durante il periodo pasquale, le “STAZIONI” della Via Crucis, mo, cca, cchiu non si sona nè si canta – nemmeno l’acqua sua frisca si viva.

Lu “Vottandieri” la vedetta degli innammorati, la “Cannaletta” la via degli innammorati. Le ragazze andavano e venivano da e per questi luoghi. Nelle case, là dove c’era una ragazza, difficilmente mancava l’acqua!

I barili o le brocche erano sempre vuoti oppure l’acqua era sempre addemurata e, quindi, si doveva andare alla fontana!

Con “LUOGHI di GIRIFALCO” Zaccone sembra che si pieghi su sè stesso, in una profonda riflessione sul passato e gli sovvengono ricordi e visioni. E la sua Musa si scioglie in un canto sui luoghi semplici, ma cari alla memoria. Luoghi piccoli e stretti dove regnò umiltà e bontà che ad esse fu fatto onore. Al giovane e frettoloso passante questi luoghi, ora silenziosi e fatiscenti, nulla dicono, come da niente sarebbe attratto, se non dalla mole, l’ignaro viaggiatore alla vista del Colosseo se storia e tradizioni non gli venissero in soccorso, storia e tradizioni che vivificano le cose che sembrano morte.

LUOGHI di GIRIFALCO” ha il sapore di storia.

Mi sia consentito fare un apprezzamento.

Zaccone ha il merito di averci dato il primo libro di storia su Girifalco e merito ancora particolare è quello di essersi servito della poesia. Sappiamo che la poesia tocca i sentimenti, con essa vengono espresse le più alte idealità!

Sappiamo che la storia si riveste di poesia, è poesia quando assume carattere di epopea!

La cetra del nostro concittadino ha saputo coniugare poesia e storia. Con accenti umili, ma intensi ci ha squadernato tutto il nostro passato, con la forza del ritmo ha toccato il nostro cuore!

Gli anziani, leggendo “LUOGHI di GIRIFALCO“, con nostalgia si rivolgono al passato e guardano la lunga strada che si è fatta! Ai giovani la conoscenza della storia servirà d’insegnamento, di stimolo perchè non si adagino sul presente, il presente dovrà costituire una pedana di lancio per ulteriori avanzamenti.

Con il suo lavoro Zaccone partecipa attivamente al movimento didattico-letterario che va sotto il nome di educazione ambientale.Vi è una riscoperta e rivitalizzazione delle memorie, del passato. Il turbinìo della vita moderna con tutti i suoi problemi d’ordine ambientale ci induce alla scoperta del tempo andato.

E Zaccone si sente in dovere di trasmettere il suo messaggio perchè ” cu sapa ncuna cosa e no la ‘nzegna – è perzuna de vantu puacu degna:”

Ancora, un doveroso saluto ed altrettanto doveroso ringraziamento all’Editore Ursini per l’ottima veste tipografica di cui ha dotato il lavoro del nostro poeta.

Un saluto che è pure d’incoraggiamento, sappiamo fra quante difficoltà operano gli editori nella nostra regione.

Un ringraziamento alle ragazze che hanno dato la loro preziosa ed entusiastica collaborazione per la migliore riuscita di questa manifestazione.

(Salvatore Stranieri)

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La mia poesia
di
Angela Iapello Mellace

Introduzione di Salvatore Stranieri

Volentieri ho aderito all’invito rivoltomi dalla nostra poetessa a curare una sua pubblicazione di poesie. La gentile richiesta, a dire il vero, per un verso mi ha lusingato molto – vanità umana! – per un altro verso ho sentito che sarebbe stato mio dovere rispondere affermativamente. La Iapello mi richiama un passato trascorso alla “Cannaletta”, là dove anche io sono nato e sono cresciuto e ogni giorno, anche se conto non poche primavere in più, le nostre quotidianità si intrecciavano, non a caso il sottotitolo “ Profumo Antico ”! Al ricordo di quei luoghi, delle persone che vi abitavano e ora non ci sono più, dei rapporti familiari e di sincera amicizia che legavano tutti quelli della “ruga” quale nostalgia! E alla Via de “La Cannaletta” (Via Fontana e Parriadi) dove, nella piazzetta, nelle sere di plenilunio i giovani intonavano alle innamorate le loro appassionate serenate, vi era un fervore di attività. Vi era la “Posta”, il forgiaro, il bastaio, il calzolaio, il sarto-barbiere e le sartine, la tessitrice e le loro voci frammiste ai rumori tipici di quegli antichi mestieri mi risuonano nelle orecchie e mi inondano il cuore di dolce mestizia! Di quel mondo ora, là, poco o niente è rimasto
Mo’ casi viacchi, bbandunati…
No nc’è vita ntra chiddhi mura.
La sira quandu passi pe chiddhi strati
mu li vidi ti vena la pagura.
E, dunque, senza pensarci mi sono messo a lavoro che, però, giorno dopo giorno andava dimostrandosi un’ardua fatica e, confesso, sono stato più volte sul punto di desistere. Non l’ho fatto e per non deludere la Nostra e per non venire meno a ciò che io, non so perché, avevo ritenuto un dovere.
Gentile lettore, mi sono trovato dinnanzi a un torrente in piena. Angela Iapello vive per la poesia, sogna poesia! La cadenza temporale della produzione poetica, che si nota scorrendo le pagine, rivela quanto sia fecondo il suo estro poetico.
La pubblicazione è divisa, per così dire, in due sezioni, nella prima le poesie in vernacolo alle quali seguono una ricca raccolta di filastrocche e detti popolari ed, infine, un glossario, nella seconda sezione, invece, prende posto una nutrita produzione poetica in Lingua.
Poesie in vernacolo

Sono circa cinquanta componimenti poetici nei quali la Iapello ferma un mondo scomparso la cui rievocazione suscita nostalgia in chi l’ha vissuto ed incredulità in chi non l’ha conosciuto. Quello che rievoca la nostra poetessa un mondo in cui la lotta per la vita era, sì, dura, però, si sentiva il sapore della sudata conquista, conseguita giorno dopo giorno, così come viene posta pietruzza su pietruzza. Non ci si poteva, allora, distrarre. Si era protesi di continuo con il pensiero al domani. E la ragazza arrivava all’età di marito con la dote bella e pronta nella cassa. La mamma, infatti, previdente, gliela aveva raggranellata sin dalla nascita, lenzuolo su lenzuolo, coperta su coperta, perché all’epoca una buona norma dettava “zziteddha ntra la ‘hascia, a dota ntra la cascia.”
Originali i quadretti di occasionale vita vissuta che rappresentano la semplicità della quotidianità di una volta, soffusa di genuità e di poesia! Ed ecco le ragazze sull’aia, impegnate a sgranare le pannocchie del granturco, fanno a gara ad individuarne una speciale dalle cui caratteristiche trarre presagi per le loro aspirazioni amorose ( ‘U spicuna). Era un modo, quello, come divertirsi.
E ccussì passavunu ‘u tiampu li cotrari,
scupanandu lu spicuna, allegri si sentianu.
E le vesti, le foglie esterne che racchiudono le pannocchie, una volta costituivano il ripieno dei sacconi, gli umili giacigli di chi non poteva permettersi un soffice materasso ripieno di lana.
Lu spogghiavanu de li viesti e li cummari,
pemmu inchianu lu saccuna, si nda servianu.”
E vi erano quelli che sbarcavano il lunario ricorrendo ad espedienti, esercitando attività fra le più strane, per esempio, ‘ u sampavularu’ o colui che andava offrendo biglietti d‘ a ‘hortuna. E ci si faceva sull’uscio non perché si dava credito alle loro ciarle, ma perché, per i tempi, davano spettacolo. Ancora. Simpatici i quadretti relativi a “Lu contadinu mbiacu” e a “L’uamu de panza”. L’uno dopo una giornata di lavoro va alla cantina e
cerca nu puacu de ristoru
e vva mu si viva nu quartu de vinu,
ma ritornato a casa ubriaco non sa cosa fare,
cuamu li gira ntra chiddha testa,
mu ‘hacia liti o mu ‘hacia ‘hesta,
ma s’addormenta cuamu n’agghiru
cu tutti li scarpi lu contadinu ,
l’altro, invece,

lavora de la matina a li sira…

ma ntra li taschi no li resta na lira.

Non tralascia, la Nostra, nessuno degli aspetti di quella società, ormai archiviata, passata alla Storia quale società-civiltà contadina, La simina, La vindigna, la dura vita de Lu contadinu de na vota.

E a la lucia de la lumera

si vesta lestu lu contadinu.

Non poteva mancare una componente tipica di quell’ economia, Lu ciucciu.

Na vota cu avìa nu ciucciu

avìa nu capitala,

era nu mezzu de trasportu e de lavoru.

Lu contadinu de tuttu carricava,

cu avìa nu ciucciu avìa nu tesoru!

Ed ecco I misaruoli, le raccoglitrici di ulive che spartivano con il padrone in ragione della sesta parte, alla raccoglitrice spettava un sesto di quanto aveva raccolto durante la giornata.

Cu la schina a vasciuni sutta l’olivara

cogghìanu olivi tutta la jornata;

si ‘hermavanu sulamenta

pe mangiara

e si ‘hacianu puru ncuna cantata.

La Iapello porta con sé uno struggente rammarico di non essere potuta andare avanti con gli studi, finita la scuola elementare. E forte dell’amara esperienza fatta in terra straniera addita il valore, l’importanza de Lu sapira e fa l’apoteosi de La pinna

Sulu cu ttia arrivau lu progressu,

l’intelligenza e lu sapira.

L’uamu restava nu piscia lessu

si nno n’avia a ttia…

la pinna pemmu scriva!

La rievocazione del passato non è fine a sé stesso. O tempora! O mores! Niente di tutto questo! Non si ha rimpianti, anzi! Viene richiamato il passato perché le giovani generazioni facciano un’analisi comparativa con il loro presente e si rendano conto di quanto siano cambiati i tempi, di quanto e come sia migliorata la vita. E poi, gli usi di una volta oggi non sarebbero possibili, qualora si volesse praticarli, perché non lo consentirebbe il ritmo della vita moderna. A fare il bucato un tempo ci si metteva più giorni. La vucata” era un rito per chi doveva farla, una festa per i bambini, felice, ciascuno, di andare al fiume con la propria mamma. Ci si accontentava di poco! Riecheggiano nelle orecchie gli sciacquìi, le voci, i canti che salivano dalle fiumare! E sciacquato, levato il ranno, il bucato veniva disteso ad asciugare sui cespugli,
De ‘hesta chiddhi juarni si vestìa Jidari,
quandu iddha li panni a lu sula amprava
supa li struaffi de profumati jinostrari
e doppu asciutti a la casa si li portava.
………………………………………
Mo’ passau lu tiampu de lu ‘hiuma,

quandu tuttu si lavava a mmanu.

No ssi lava cchiu cu lu sapuna

ca na machina chi llava nventaru!

Allora si nasceva in casa e non si badava a tanto, correndo, però, seri rischi sia il nascituro sia la partoriente!

Quandu la ‘himmana

de parturira avìa

la levatricia si chiamava.

………………………….

Iddha pronta li ‘herra portava

sperandu nommu potianu servira.

……………………………………………..

A lu Signura raccumandava la ‘himmana

c’avìa de parturira.

E “la levatricia” dopo pochi giorni, accompagnata da alcuni bambini che portavano l’occorrente per la somministrazione del sacramento del Battesimo – acqua, sale e pane – senza alcuna pompa, portava e teneva il neonato al fonte battesimale divenendo in tal modo madrina della maggior parte dei bambini del paese.

Era sufficiente un mazzetto di garofani scritti, di quelli che un tempo scendevano dai davanzali delle finestre delle nostre case, scambiato nella ricorrenza di San Giovanni, ad intrecciare fra due famiglie un’intimità di rapporti che venivano tramandati di generazione in generazione (Li cummari de San Giuanni).

Che dire, poi, del mondo attinente alla gioventù…amorosa? Allora fra uomo e donna, in modo particolare fra i giovani, non vi era facilità di rapporti. Si avvertiva molto forte il disagio dell’accentuato distacco intercorrente fra giovani di sesso diverso. A scuola le classi miste erano una rarità! I tempi erano quelli, però, non per questo i giovani non riuscivano ad eludere la severa vigilanza dei genitori. Il “Vottandieri” era il luogo ideale degli appuntamenti, degli incontri amorosi. In casa vi era sempre bisogno di acqua fresca e la ragazza molto volentieri provvedeva a quella necessità domestica! La ragazza innamorata riusciva ad escogitare l’espediente, a trovare la scusa per uscire da casa ed incontrarsi con l’amoroso.

Si bbua mu vidi

l’amuri appuntunatu,

pigghiati la paletta

e nescia a ffuacu.

Si la tua mamma

dicia ca ti hai mpacciutu,

rispundi ca no trovasti

na scagghia de ‘huacu.

………………………..

Nemmeno quando si era fidanzati ufficiali, cioè quando si aveva il permesso di andare in casa dell’amorosa cessava…l’astinenza, nemmeno allora vi era possibilità di dimestichezza di rapporti fra i promessi sposi (Li matrimoni combinati).

Li fidanzati stavunu attianti,

sulu cu l’uacchi si potianu accarizzara,

d’ammienzu nc’eranu sempa li parienti

e all’ammucciuni na vasata potìa scappara.

Quanta diversità, oggi, di costumi!

Li tiampi mo’ cangiaru e la cotrareddha

mona lu zzitu si lu trova sula.

Passijanu nzema a li Poteddha,

supa lu Corzu senza mu ha pagura.

In Tiampi passati, La vacca la Nostra richiama, nell’una, l’atmosfera di familiarità, di amicizia e di calore umano

quandu de petra eranu li strati

e la genta seduta a rrota a rrota

cuntavanu ‘harahuli de li ‘hati,

nell’altra, traendo spunto da una simpatica vicenda familiare, richiama un insegnamento, sempre attuale, e che faceva parte di quella saggezza popolare

cu prima nno penza, all’urtimu suspira!

I componimenti a carattere religioso (L’Arciuamu, Notta de Notala, Santu Ruaccu, ‘U Patraternu, Vennari Santu ) evidenziano la religiosità popolare che si manifesta in modo tangibile in alcune ricorrenze alle cui scadenze , un tempo, ciascuno, uniformava lo scorrere della vita d’ogni giorno.

Per gli accenti toccanti meritano menzione Vorrìa tornara e ‘Higgiu!, nell’uno il desiderio dell’emigrato di tornare in patria, ma che un amaro destino lo ha condannato a morire da straniero in terra straniera, nell’altro il dolore, lo strazio di una mamma.

La Iapello si fa carico di promuovere la valorizzazione del dialetto e suggerisce che venga introdotto nelle scuole. Nella nostra originaria parlata troviamo la nostra identità, la nostra storia. E attraverso essa si può prefigurare una società riportata a quei valori che sono stati propri della forte e generosa terra di Calabria e che si richiamano alla laboriosità, alla famiglia, alla religione, alla solidarietà.

Parramu lu dialettu…

Parramulu a la scola!

Parramulu cu l’amici…!

Per quanto riguarda l’inflessione, la Iapello si richiama al parlare semplice, spontaneo, di tutti i giorni e rifugge da ogni ricercatezza dialettale che spesso travisa, deturpa e rende sgradevole la Lingua dei nostri Padri.
Filastrocche e detti popolari

Molte delle filastrocche sono dovute all’invettiva della Iapello. Dal giovane lettore possono essere ritenute delle banalità, ma non erano tali per i ragazzi di un tempo.

Transitando per le strade del paese non di rado si era colpiti dall’ allegro vociare di frotte di ragazzi che si rincorrevano ripetendo a cantilena le filastrocche più strane e spesso si rimbeccavano componendone con i loro stessi nomi. Era un modo semplice, allora, di quelle giovani generazioni come divertirsi, scherzare e passare il tempo. E’ il caso di richiamare Li juachi de na vota quando con un nonnulla – un pezzetto di legno, una pietruzza, un quadrato segnato a terra – si animavano i giochi dei bambini e le strade risonavano a quell’allegro e gaio clamore.

I detti o proverbi, granelli di sapienza popolare d’ogni tempo, rivelano la prontezza di un popolo ad esprimere i contenuti del quotidiano e ve n’è uno azzeccato per ogni situazione.

Glossario

Non ha le pretese di un dizionario. E’ solo una raccolta di quei vocaboli che potrebbero risultare inintelligibili all’occasionale lettore che non abbia adeguata familiarità con il dialetto.

L’etimologia di alcuni vocaboli – riferita ai grecismi, ai latinismi, ai francesismi e agli spagnolismi – richiama sia le civiltà, greca e latina, che si sono avvicendate nella regione, sia le dominazioni straniere a cui in vari periodi fu sottoposta la Calabria.

Contrariamente all’uso invalso nelle pubblicazioni in vernacolo, i vocaboli che hanno subìto l’aferesi non sono preceduti d’alcun segno distintivo. L’aspirazione tipica nel pronunciare alcune parole e che ricorda la lettura toscana di “carne” è un residuato della Lingua Greca che nel passato si parlava in Calabria e come tale riconducibile al suono della lettera (ch) di quella lingua. E non essendoci corrispondenza grafica nell’alfabeto italiano, seguendo la lezione del Rohlfs, si è ovviato alla deficienza identificando la predetta gutturale greca con la lettera h facendola precedere dal segno d’interpunzione ( ).

Poesie in Lingua italiana

La Iapello evade dal ristretto ambiente locale e con i suoi timori, le sue speranze, le sue riflessioni si affaccia con dignità a una realtà più vasta. Dalle sue poesie traspare una religiosità che avvince non solo l’uomo di Fede.La sua è la religiosità dell’amore, della fratellanza, della pace. Ed i temi sociali del momento vengono affrontati con la delicatezza di sentimenti che le sono propri. Dire che le sue poesie sono belle è troppo poco, sono bellissime! Esprimono un profondo lirismo e a volte il lettore affascinato rimane senza parola. E con alcune poesie – Freddo inverno, Se fossi!, La donna è amore, Cosa è l’amore, Tutto è poesia, Ho disegnato l’amore, Mistero, Profumo antico – per il susseguirsi delle immagini, il crescendo dell’intensità di sentimenti espressi e l’incalzare del ritmo si ha l’impressione di trovarsi sotto una pioggia, una cascata di luccicanti gemme.

La Iapello ha un senso religioso della famiglia. Quale affettuosa riverenza, quale nostalgia, tenerezza dalle poesie che la Nostra dedica, per esempio, al babbo. Dalla semplicità delle espressioni traspare quell’atmosfera di gaiezza che si respirava in famiglia allorché si era paghi di poche cose! La Nostra è un’acuta osservatrice della natura e delle sue varie manifestazioni si serve per esprimere i suoi pensieri, le situazioni d’animo e per dare corpo alle sue delicate immaginazioni.

Salvatore Stranieri


Non vantava titoli accademici, non aveva ricoperto cariche pubbliche, ma la notizia  della sua scomparsa, avvenuta il 12 luglio 2010, da persona a persona ben presto si diffuse per tutto il paese. Prova ne fu l’andirivieni di estimatori, di conoscenti e di amici che nei due giorni di veglia della salma in casa  accorsero per rendere omaggio alla memoria dell’estinto ed esprimere alla famiglia i sentimenti  di affettuosa vicinanza nella triste circostanza.

Parliamo di Pietro Zaccone, una persona rispettabilissima che godette della stima della comunità girifalcese per la sua serietà, per il suo profondo senso del rispetto verso gli altri, per la sua cordialità, per il culto del lavoro a cui dedicò la sua esistenza!

Cosa fece di particolare Pietro Zaccone, quale attività svolse da porsi all’attenzione di tutti e meritare l’ammirazione del paese?

Per il “Fisco” era titolare di una “Industria Boschiva” e per gli “Enti Previdenziali ed Assistenziali” un datore di lavoro.

Eufemismi dei nostri tempi con i quali ricorrendo ad un nominalismo oggi di moda vengono ammantate determinate e faticose attività, ma la loro essenza, la loro originalità, nonostante tutto, rimane inalterata!

Pietro Zaccone era, absit iniuria (a nobis), …un taglialegna!, certamente non nelle vesti del personaggio di Esòpo! Comunque l’attività che svolgeva si configurava e si configura nel primo anello della filiera della lavorazione e trasformazione del legno.

L’abbiamo fisso nella mente a cavalcioni del suo motoscooter, “un galletto”, incappucciato e stretto nell’impermeabile per ripararsi dai rigori della stagione inclemente, rincasare dopo essere andato su e giù per i sentieri delle nostre contrade i cui più remoti ed impervi recessi gli erano familiari e le cui verdi chiome vide, ad alterni cicli, innalzarsi verso il cielo  ed abbattersi al suolo sotto i colpi della sua rilucente scure!

Il successo, l’affermazione che conseguì nella nostra comunità non gli furono in dipendenza di colpi di fortuna, o di qualcos’altro di inopinato. Pietro Zaccone si guadagnò tutto sul…campo con il duro lavoro delle braccia, lubrificato (!) dal sudore della fronte. Fu come  “il servo buono e fedele” e come tale andava tesaurizzando giorno dopo giorno il frutto del suo faticoso lavoro che quotidianamente svolgeva per le impervie contrade. Nello svolgere la dura attività Pietro Zaccone, lavoratore in mezzo ai lavoratori,  si avvaleva, sì, delle prestazioni di altri lavoratori, ma con i quali non intercorsero mai rapporti di dipendenza, se non quelli di collaborazione, avendoli trattati sempre da pari a pari e non negò mai loro la giusta mercede!

Pietro Zaccone era una persona cordialissima, aperta e disponibile con tutti. Una persona rispettosa, semplice ed umile! In lui non albergavano sentimenti di superbia! Sia che si trovasse dinnanzi a giovani o adulti, a titolati o non, Pietro Zaccone era pronto al saluto, in particolare a porgerlo, tanto che sovente ci si sentiva in disagio in quanto era lui a precedere in tale atto di cortesia e di amicizia!

Da queste colonne a Mariuzza, la fedele ed affettuosa sposa, ai figli, il Rag. Francesco e la Maestra Rosina con le rispettive famiglie, ai parenti tutti rinnoviamo le nostre sentite condoglianze.

Circondati da parenti ed amici
l’8 settembre 2010 abbiamo festeggiato

I NOSTRI PRIMI (!) 50 ANNI DI MATRIMONIO

“……..L’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà alla sua donna
e i due formeranno una carne sola. (Gènesi 2, 18-24)”

NOZZE D’ORO

ANGELA E SALVATORE

8 settembre 1960-2010

Ieri…

OGGI
08-09-2010

nella Chiesetta dell”Annunciata alle ore 19,00
rinnoviamo il nostro “Si”

ANGELA E SALVATORE

 

Eccoci dinanzi a Te, O Signore, per esprimerTi il nostro grazie,
per elevare a Te la nostra preghiera.

O Dio, Signore dell’universo,
che in principio hai creato l’uomo e la donna
e hai istituito il patto coniugale,
benedici e conferma il nostro amore,
ricevi il nostro umile ringraziamento per i Tuoi benefici
e fa’ che al dono della Tua benevolenza
corrisponda l’impegno generoso della nostra vita
a servizio della Tua gloria!

O Vergine Santissima a Te affidiamo la nostra umile preghiera,
sei Tu l’Angelo di Dio nella nostra casa,
coprila con la Tua protezione, allontana ogni male
e colma di ogni bene insieme alla nostra tutte le famiglie!

 

8/9/1960

 

2010

 

  

E’ una questione aperta, quella relativa all’etimologia del nome della cittadina.Sinora molti i tentativi perchè se ne venisse e se ne venga a capo, ma non disponendo di documenti di supporto si è caduti spesso e si cade tuttora nelle illazioni e si è fatto e si fa del virtuosismo. In un servizio giornalistico apparso molti anni addietro sulla ” Tribuna Illustrata” si legge: “Girifalco deve la sua nascita alla morte di due paesi, Tochio e Carìa, distrutti dai Saraceni nell’836. Gli scampati all’incendio e al macello si rifugiarono sopra una rupe chiamata “Pietra dei Monaci”, e respinsero ogni assalto lanciando, in disperata difesa, le pietre strappate allla montagna. Furono chiamati, quei prodi, una “Sacra Falange”, e, da questo loro nome, detto in greco, venne il nome del loro nuovo nido, Girifalco.”

Anche se G. Valente afferma, pure lui, che ” venne fondato dagli abitanti di Carìa e di Tochio”, ma, “abbandonate in epoca imprecisata a causa di eventi non conosciuti”, non ci sentiamo autorizzati a rigettare sic et simpliciter l’interpretazione etimologica dell’articolista della “Tribuna.” Anzi.Dall’esame del vocabolo greco falanx, falangos – falagx, falaggos – rileviamo che il vocabolo, in quanto ad assonanza, al caso genitivo, falangos, ricorda la seconda parte del nome composto Giri-falco. Ed ancora. Ci siamo mai chiesti perchè il nostro vecchio borgo ab antico è denominato Pioppi o, meglio, Chiuppi? Il pioppo è una pianta d’alto fusto che di solito vegeta nelle zone umide o lungo gli argini dei fiumi, circostanze che non ricorrono a proposito del nostro vecchio borgo che sorge abbarbicato su un promontorio che si affaccia sulla vallata sottostante. E allora donde la denominazione Pioppi, Chiuppi ? Cosa era la falange se non un settore dell’esercito macedone costituito da una massa compatta e rigida, fitta fitta di fanti armati di sarissa, di lance? E il pioppeto cosa è se non un bosco fitto fitto di pioppi? E, aggiungiamo, con l’espressione dialettale ” na chiuppiceddha d’olivari “ cosa intendiamo indicare se non un piccolo podere fitto fitto di piante d’ulivo? Cosa è il nostro vecchio ed antico borgo se non un agglomerato fitto fitto di casupole addossate l’una sull’altra? Alla luce di tali considerazioni falange e il dialettale “Chiuppi” hanno in comune l’idea della compattezza, della foltezza, della fittezza che ciascuno di essi esprime. E’ pura accademia? Ce ne scusiamo con gli occasionali visitatori del nostro sito e cerchiamo di avviare il discorso su un piano più realistico.

Innanzi tutto, anche se en passant, qualche considerazione su questo uccello, il falco. E’ un rapace che nidifica fra le rocce o negli anfratti dei burroni, vola alto nel cielo con larghi giri – donde il nome Girifalco!?!? – finchè avvistata la preda piomba velocissimo su di essa. Per questo tipo di rapaci quale migliore habitat della rupe della Pietra dei Monaci con i suoi anfratti idonei alla cova e sovrastante su di una vallata non certo avara del cibo da essi preferito, topi, rettili, pipistrelli, pulcini, carogne, ecc.!L’opinione comune è che il nome derivi dal girovagare di un falco intorno all’abitato, tesi supportata da studiosi che si sono interessati  della etimologia della denominazione della cittadina. Il Rohlfs nel suo dizionario dà per scontato che il paese abbia preso il nome dall’uccello girifalco. Il Rev.mo Arciprete Don Francesco Palaia, di cara memoria, in un suo studio arrivatoci in veste dattiloscritta, a proposito scrive “…sorse l’attuale Paese al cui nome – Girifalco – sembrerebbe accennare il falco che si vede spaziare nell’azzurro su le torri del suo stemma.” Giovanni Alessio ci rimanda, invece,  ad un Kurios-Falcos, Dominus Falcus, ma il suo Kurios-Falcos è un presbitero in agro civitatis Nohae ( Nova Siri in Basilicata), parte contraente in un rogito del 1118. Quindi, l’Alessio non andrebbe oltre il meritevole tentativo di una soluzione etimologica. Alla tesi che il rapace abbia a che fare con la denominazione della cittadina attinge il Lear, uno scrittore e viaggiatore inglese, che percorse a piedi il Sud d’Italia: “Arrivai ad una città di campagna chiamata con il delizioso nome di Girifalco…probabilmente se uno potesse scavare nella sua storia, potrebbe trovare che il nome arrivi ai Normanni o probabilmente al più grande dei falconieri, Federico II.”

Per il sovrano svevo Girifalco, in posizione centrale sull’Istmo di Catanzaro, poteva costituire una postazione strategica, dall’alto di Monte Covello si scorge l’uno e l’altro mare e, quindi, una guarnigione vi sarebbe andata più che bene. Non dobbiamo ignorare che un pezzo dell’artiglieria antica si chiamava, appunto, Girifalco e a Massamarittima nel mese di agosto si disputa ancora il palio di Girifalco, cioè della balestra. Ed ancora. La chiave della soluzione potrebbe essere ricercata nell’ambiente di corte del sovrano di Sicilia. Allora era in voga la caccia con il falco e vi erano i falconieri, ufficiali di corte preposti all’allevamento dei falconi e alla direzione delle battute di caccia. Niente di più facile che un falconiere, kurios Falcos/Dominus Falcus,  risiedesse da queste parti.

La zona di Girifalco, infatti,  in determinati periodi dell’anno costituisce passaggio obbligato di questi uccelli e alcune guide turistiche  presentano la cittadina come il paese di questi particolari “adorni”. Lo storico calabrese Gabriele Barrio (1506-1577) definì Girifalco luogo adatto all’uccellagione di fagiani, starne e coturnici. L’aucapio, si sa, era praticata con l’ausilio dei falchi, rapaci un tempo presenti negli anfratti della “Pietra dei Monaci”. Da qui siamo indotti ad azzardare una soluzione etimologica , tutta nostra!, secondo la quale la denominazione della nostra cittadina, Girifalco, sta per PAESE dei FALCHI, cwra -paese- + ierakos -falco-, e da ‘horaierakos, attraverso un processo di trasformazioni, si è arrivati a Girifalco.Sono nostre supposizioni, considerazioni non sorrette da documentazioni.E’ fare, in verità, pura letteratura senza ottenere alcunchè di concreto e venire a capo di cosa.

Non solamente Girifalco porta raffigurato un uccello nel suo stemma, per citarne qualcuna, Gerace porta uno sparviero rampante in campo aperto, Aieta ha nello stemma un’aquila, e i loro nomi ricordano gli uccelli raffigurati nei rispettivi stemmi. Aieta, infatti, ci rimanda al greco aetos aetos, l’aquila, un tempo presente nell ‘antico centro abitato. A proposito dello stemma civico di Gerace si narra una leggenda molto simile a quella che ci viene tramandata per lo stemma del nostro paese, secondo la quale un falco girovagasse senza posa su in alto nel cielo del nostro vecchio ed antico centro abitato. Vincenzo Cataldo, infatti, così scrive: ” La leggenda, e si sa che sovente queste hanno uno spessore realistico, narra che dopo la tremenda incursione araba del 915, i superstiti Locresi seguìto il volo di uno sparviero posatosi sopra il massiccio roccioso, abbiano fondato, o meglio rinforzata una nuova munita cellula urbana che meglio si prestava ad essere difesa…L’ipotesi più affascinante fa derivare il nome della città da hierax, rapace che nidificava abbondantemente su questa altura.” Il parallelismo tra le due leggende è evidente.

Il Tommaseo alla voce Girifalco così recita: ” la prima parte del vocabolo può essere il greco ierax che vuol dire sparviero, falco”. Avremmo così la ripetizione dello stesso termine nelle due lingue morte, greca e latina,  come per Linguaglossa, il grosso centro dell’entroterra catanese. La tesi potrebbe trovare giustificazione nel processo di latinizzazione della Diocesi di Squillace promosso nell’undicesimo secolo dal Conte Ruggero, nella prima parte del nome gli echi della civiltà greca-bizantina, nella seconda parte, con il tardo latino falcus, l’incipiente civiltà latina.

Secondo noi Girifalco non è un vocabolo o nome composto che racchiude in sè un particolare significato ancora da svelare. E’ il nome, sempre a nostro avviso, del rapace del quale la rupe sulla quale si rifugiarono gli abitanti di Tochio e di Carìa costituiva un habitat ideale. Girifalco, come vocabolo, non è nato con il  sorgere del nostro paese, ma è anteriore alla nascita della nostra cittadina che ha assunto tale nome dal rapace che già nidificava negli anfratti della rupe della Pietra dei Monaci. Da una consultazione avviata su vari dizionari ci è risultato che con tale nome, Girifalco, da tempo immemorabile vengono indicati questi particolari “adorni”,Gerfalc e Girfalt (francese antico ) e Gerfaut ( francese moderno ), gir (avvoltoio)+ falko ( tedesco antico ), Geirfalki ( antico scandinavo ).

Il toponimo Girifalco, inoltre, è presente in varie parti della penisola italiana, a Cortona in provincia di Siena, ad Avezzano in provincia dell’Aquila e a Ginosa in Puglia. Cortona è dominata dalla Fortezza di Girifalco ” arroccata come un astore – uccello dal quale appunto sembra derivi il nome di Girifalco o Girfalco – sulla ” punta di monte più isolata da ogni parte” del pendio che domina la sottostante città di Cortona, la Fortezza si eleva a quota 651 m.s.l.m. proprio sopra il santuario di Santa Margherita, in un’area le cui vicende si sono succedute dall’età etrusco-romana fino ad oggi.” E’ una imponente costruzione poligonale che abbiamo avuto l’occasione di ammirare.

Fortezza Medicea di Girifalco (1549-1556)

Nel territorio di Avezzano sorge Monte Girifalco e il relativo valico. Anche nel centro della provincia dell’Aquila, al pari di noi, sono impegnati nella soluzione etimologica per quanto riguarda la denominazione della loro montagna. Nell’entroterra di Ginosa si trova la contrada Girifalco, una volta feudo della Principessa Maria Cristina d’Austria. Gli storici fanno derivare la denominazione del luogo dal rapace che nel passato volteggiava sulla zona.

Girifalco è stato innalzato a comune durante il decennio francese con decreto istitutivo dei comuni del 4 maggio 1811 e nel suo stemma-distintivo è stata accolta la leggenda dalla quale si è fatta derivare la denominazione del paese. Il Valente contrariamente a quanto appare nell’attuale stemma ufficiale nel quale sono raffigurate tre torri ci propone uno stemma con una sola torre sormontata da un falco. Con la “Legge n° 360 del dì I° Maggio 1816 portante la circoscrizione amministrativa delle provincie del Regno di Napoli” Girifalco venne incluso nel Circondario di Borgia e contava 3262 abitanti.

OPERA SCULTOREA DEL CAV. ANTONIO FODARO

OPERA SCULTOREA DEL CAV. ANTONIO FODARO

STEMMA-DISTINTIVO DEL COMUNE DI GIRIFALCO

STEMMA-DISTINTIVO DEL COMUNE DI GIRIFALCO

Pubblicazioni consultate

  • “La Tribuna Illustrata” del 07-02-1937.
  • Progetto di Educazione Ambientale: Girifalco, territorio da leggere Anno S.co 1995/96.
  • G. Alessio, Saggio di toponomastica calabrese.
  • Lear, Diario di un viaggio a piedi.
  • G. Barrio, De Antiquitate et De Situ Calabriae.
  • V. Cataldo, GERACE Arti Grafiche.
  • Eleonora Sandrelli, CORTONA La Fortezza di Girifalco Aion Cortona.
  • ACI 1988, Catanzaro, La Provincia del Sole.
  • Don Francesco Palaia, Parrocchialità della Chiesa di San Rocco.
  • G. Valente, La Calabria nella legislazione borbonica.
  • G. Valente, Dizionario dei Luoghi della Calabria.
  • G. Gemoll, Vocabolario Greco-Italiano.
  • Schenki e Brunetti, Dizionario Greco-Italiano-Greco.
  • G. Rohlfs, Dizionario Dialettale della Calabria.
  • G. Rohlfs, Dizionario Toponomastico della Calabria.
  • N. Tommaseo, Dizionario della Lingua Italiana.
  • N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana.
  • Cerruti e Rostagno, Vocabolario della Lingua Italiana.
  • Il Novissimo GHIOTTI, Vocabolario Francese-Italiano-Francese.
Categoria: Ricerche d'archivio e non  Commenti Disabilitati

A ricordo dellla Santa Benedizione impartita
dal Rev.mo Parroco Don Antonio Ranieri
all’ Edicola Votiva dedicata
alla Beata Vergine Maria del SS.mo Rosario
e a San Rocco e San Sebastiano


Coniuges
Angela Soverati et Salvatore Stranieri
magna cum devotione
Anno D.ni MMVII

25/08/2007

Religiosità e laboriosità sono andate sempre di pari passo nelle nostre campagne. E della pietà religiosa diffusa nel mondo rurale le “cuanuli”, le “Edicole votive”, costituiscono una testimonianza tangibile. Di queste piccole costruzioni pullulano le nostre contrade. Trovano, ciascuna,  la ragion d’essere ora nell’ espressione di un ” ex voto “, ora nella particolare devozione al Santo di cui è raffigurata l’effigie. Sorgono tutte in punti strategici, alcune agli incroci dove gli occasionali viandanti, dopo essersi segnati e aver rivolto un intenso sguardo alla sacra icona, si accomiatavano e ciascuno continuava per la sua strada, altre in cima ad un’erta, come se l’immagine sacra dall’alto dovesse dare animo a chi sotto pesanti fardelli sulle spalle o sulla testa andava per la salita. Di quanti sforzi, di quanti sospiri  ci riferirebbe, se lo potesse!, l’immagine de l’ Hecce Homo!

Le ” cuanuli “ rappresentano un particolare aspetto di un mondo ormai mandato in archivio, ma al quale, ora, si sta attendendo per riscoprirlo, ne costituiscono prova le tesi di alcuni studenti universitari.

Questi piccoli tempietti (!), dovuti alla sensibilità religiosa delle vecchie generazioni, inoltre, così come si presentano dislocati, scandendo le tappe dei vari percorsi, hanno ovviato alla mancanza di una toponomastica rurale, infatti, molte contrade ne trassero, ciascuna, la denominazione. E ricordiamo:  “La cuanula de la Pietà”,  l’ “Arciuamu”, ” U Cora de Gesù”, San Giuseppe, ” I tri cuanuali”…

Le immagini della Madonna del Rosario e dei Santi, San Rocco e San Sebastiano, ai quali l’ edicola è dedicata, sono in perfetta sintonia con l’ambiente. Quella del Rosario era detta la festa dei contadini perchè con le loro generose offerte di grano e di granturco  contribuivano in modo sensibile  alle spese per i festeggiamenti; i Santi, Rocco e Sebastiano, l’uno Santo Patrono di Girifalco, l’altro Santo Patrono di Jacurso, erano detti “santi pastorali”, i nostri contadini mettevano sotto la loro protezione il loro bestiame perchè fosse preservato dal terribile morbo endemico, la peste.

Con l’ “Edicola Votiva” è stato realizzato un vecchio sogno nel quale confluiva la profonda devozione alla Madonna del SS.mo Rosario e ai nostri Santi Protettori, San Rocco e San Sebastiano

e l’amore, l’attaccamento alle tradizioni, non senza una velata aspirazione o un pizzico di umano orgoglio.

Siamo grati a tutti coloro che ci hanno consentito con le loro prestazioni di realizzare questa modesta opera che sin d’adesso intendiamo condividere con tutti coloro che in avvenire trovandosi a transitare per questa contrada vi sosteranno per una breve riflessione.

Angela Soverati
Salvatore Stranieri

Categoria: Società civile  Commenti Disabilitati

Funere Mersit Acerbo
“…di virtù maturo e d’anni acerbo
così n’ha morte indegnamente estinto.”

Luciano CucinottaViva commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Luciano Cucinotta avvenuta a Padova sabato 5 del mese di giugno 2010. La comunità di Girifalco, che in simili circostanze non esita a esternare la sua profonda sensibilità, ha manifestato la sua commossa ed affettuosa solidarietà alla giovane sposa e a tutta la famiglia con una partecipazione corale alle esequie celebrate mercoledì 9 giugno nella Chiesa Parrocchiale di Santa Maria delle Nevi.

Chi era Luciano Cucinotta?, un figlio della generosa terra di Sicilia che con il vincolo del matrimonio aveva unito il suo destino a quello di una nostra giovane concittadina, Angela Catalano. Da comuni amici abbiamo appreso che il loro primo incontro fu, sì casuale, ma in una cornice tutta particolare e all’insegna dell’altruismo, della generosità, dell’amore verso il prossimo, del donare parte di se stessi a chi ne abbia bisogno e che solamente una istituzione come l’AVIS può offrire! All’epoca Luciano reggeva la locale sezione donatori di sangue, Angela, pure essa donatrice di sangue, frequentava le lezioni di giurisprudenza presso l’Ateneo di Messina. E fu in una seduta di “donazione ” che le frecce di Cupìdo fecero bersaglio nel cuore di Luciano che notò Angela, se ne invaghì e da quel momento la cercò, la rincorse, le dichiarò il suo amore, ne fece richiesta e la … condusse all’altare! E Luciano, unico figlio di genitori scomparsi da tempo, riempì così il suo vuoto di affetti e di calore umano. Infatti, la famiglia Catalano, ricca di sangue e di affetti, accolse e tenne Luciano in luogo di figlio e di fratello!

Luciano CucinottaE Angela, giovane laureata in giurisprudenza, e Luciano, essendo interessato alle apparecchiature elettroniche di alta precisione lavorava nell’ambito della Sanità, andavano felici e contenti, felici del loro amore, contenti del loro stato.

Purtroppo la favola di Angela e Luciano fu di breve durata! Uno di quei mali resistenti a tutti i ritrovati della Scienza minò la fibra di Luciano e si manifestò sin dall’inizio così implacabile che a nulla valsero l’amore di Angela, le speranze di papà Giovanni, le preghiere di mamma Teresa, le ansie di Domenico e Salvatore, il ricorso a centri sanitari di eccellenza!

La repentinità con la quale precipitarono gli eventi, lo stato di pienezza fisica di Luciano e soprattutto la sua giovane età in cui gli era dato con i progetti di proiettarsi insieme ad Angela nel futuro ci hanno rimandato alla memoria il virgigliano funere mersit acerbo! E, sì, Luciano in meno di due mesi dal manifestarsi del male a soli quarantasette anni concludeva la sua giovane esistenza!

Nonostante non l’avessimo conosciuto proprio direttamente, sapevamo di lui quale persona dai modi gentili e di buona e sana cultura. E abbiamo sentito parlare della sua generosità, della sua disponibilità verso gli altri tale da rasentare l’esagerazione, ci viene riferito! In ogni situazione si dava da fare per rendersi utile con tutti, indipendentemente se appena conosciuti! E chi lo ha appena conosciuto, per l’ottima impressione che di lui si era fatto, alla ferale notizia è rimasto interdetto, incredulo, gravemente turbato!

Angela, nel cielo mancava una stella! Il firmamento si è arricchito di una luce! Non è retorica, ce lo suggerisce la Fede! Nel Paradiso albergano i buoni e al Paradiso tendono le anime buone! Sia questo almeno di conforto al tuo grande dolore, al cuore lacerato di mamma e papà, ai tuoi fratelli che gli vollero tanto bene, a tutti i tuoi parenti!

Sappi che sei presente nel cuore, nella mente del tuo maestro che in questa triste circostanza avrebbe voluto esternare tutta la sua partecipazione al tuo grande dolore, ma il suo turbamento è tale da impedirgli di trovare le parole adatte!

Abbi un grande abbraccio e una stretta, forte forte, al cuore!

Categoria: Non dimentichiamo  Commenti Disabilitati

“Figure e colori in musica” è la personale che Luigi Sabatino presenta al Circolo Ufficiali dell’Esercito di Corso Vinzaglio, 6 a Torino, dall’11 al 24 giugno 2010. La mostra di Corso Vinzaglio, però, è fra le tante “personali” e “collettive” che Sabatino annovera al suo attivo nelle quali ha sempre riscosso favore di pubblico e giudizi lusinghieri di critici d’arte quali Bottino, Carluccio, Dragone, Levi, Marziano, Mistrangelo, Rossi, Sartori ecc. E’ appena il caso di dire che l’invito mi è pervenuto più che gradito ed ha suscitato in me emozioni, ricordi e riflessioni inerenti, tutti, ai vincoli che ci legano alla nostra Girifalco, ai vecchi rapporti intercorsi tra maestro e scolaro, all’aver abitato nello stesso rione, le nostre abitazioni se non dirimpettaie erano così vicine che alla bisogna bastava che ci dessimo voce. Posso dire che l’ho visto crescere. Ancora con i pantaloncini corti papà e mamma me lo affidarono per prepararlo agli esami di ammissione alla Scuola Media Inferiore.Vi erano all’epoca due sessioni di esami, l’estiva e l’autunnale. Luigi fu presentato direttamente a quella autunnale. Si doveva andare agli esami…ferrati, preparati altrimenti si rischiava di perdere l’anno. E sì, ero rigoroso, lo ricordo bene!, qualche scappellotto mi sfuggì di mano!Non erano consentite distrazioni non essendovi altra prova di appello se non quella di essere respinti. I risultati ci furono e furono più che soddisfacenti, con soddisfazione di mamma e papà e pure mia, tanto più che ero all’inizio della carriera di insegnante.

Per continuare gli studi Luigi emigrò a Torino e forse frequentò quell’istituto scolastico il cui edificio era stato costruito con fondi della Cassa per il Mezzogiorno! Ricordo le aspre polemiche fra le forze politiche del tempo. L’una accusava l’altra di rapina ai danni del Sud, l’altra a giustificazione adduceva che quell’edificio era stato costruito appunto con fondi della Cassa perchè destinato ad accogliere i figli dei meridionali che lavoravano al nord!

Nello spiegare l’invito la mia attenzione subito è stata attratta dallo spartito musicale riportato in fondo al foglio e per istinto dissi fra me e me: Non ci poteva mancare! Non intendo indossare le vesti del critico d’arte, sono consapevole che mi andrebbero più che strette e allo stesso tempo evito che qualcuno mi sussurri all’orecchio ne supra crepidam, sutor!, che io faccia il mio mestiere! Le mie sono considerazioni che si riferiscono a vicende di vita vissuta e niente altro!

Luigi non poteva lasciare negletta Euterpe, la Musa che diletta con i suoi sonori accenti. La mente corre ai tempi passati quando il nostro complesso bandistico diretto dal maestro F.sco Malfarà con i suoi concerti era presente su tutte le piazze della Calabria portando alto il nome della nostra Girifalco. La nostra Banda agiva, andava alla grande! Mi riecheggiano le note della marcia del Mosè e di quella di Radetzky che la nostra Banda eseguiva, la prima sera del 15 agosto quando San Rocco e la Madonna si incontravano a sommità della “Salita dalla Piazza al Piano”, l’altra al rientro in Chiesa delle Sacre Immagini.

Il maestro Malfarà da umili artigiani seppe trarre provetti musicanti. Non era raro entrare nella bottega del calzolato, del falegname, del sarto e barbiere e sentire fischiettare arie di opere classiche. Il Barbiere di Siviglia, la Gazza Ladra, la Cavalleria Rusticana, l’Aida, l’Amico Fritz, il Rigoletto ecc., costituivano il forte della Banda di Girifalco. Si racconta, infatti, che la Banda di Girifalco mentre stava eseguendo sul palco un pezzo impegnativo all’improvviso se ne andò la corrente elettrica e si spensero le luci, nessun panico fra i musicanti i quali fra gli applausi generali del pubblico di quel paese continuarono a suonare. Chi erano questi musicanti?, gente semplice che passava la giornata china a cucire, a radere barbe, a piallare, a risuolare e chiodare scarpe, ma la sera si davano convegno alla “Sala della Musica”, il vecchio Municipio del paese che il Comune aveva dato in comodato alla Banda e là, sotto la direzione dell’ottimo maestro Malfarà, concertavano il programma musicale che intendevano proporre durante la stagione delle festività patronali. Uno di questi era Alfonsino Sabatino, il papà di Luigi, un bravissimo sarto, se mi è consentito non esito a definirlo un “artista dell’ago”, uno stililista ante litteram. Anche io, da giovane, andai orgoglioso di aver indossato una giacca confezionata da mastro Alfosino. Per quei tempi un capo di vestiario di lusso. La stoffa era un misto di lana e seta, l’aveva tessuta mia madre al telaio di casa. Mi ricordo “le messe in prova”, mastro Alfonsino mi faceva stare diritto, diremmo, impalato, mi osservava da tutti i lati, da cima a fondo, il capo doveva cadere a pennello e così fu da suscitare l’invidia dei miei compagni di scuola.

Mastro Alfonsino – sia per rompere la monotonia del consueto lavoro sia per rimodulare qualche nota – spesso alternava i punti di cucito con l’ arte che ingentilisce i cuori e dava fiato alla sua tromba. Nella quiete degli assolati pomeriggi si spandevano per il vicinato quelle note musicali che a ricordarle mi risuonano con nostalgia.

Vi era anche mastro Giuseppe Fodaro, il vicino di casa la cui figura Luigi, passeggiando nella memoria, ha impresso con i suoi colori. Anche mastro Giuseppe lasciava di tanto in tanto gli abituali strumenti di lavoro, concedendo un po’ di quiete alla sua “Singer”, e spiegato sulla “banca” lo spartito con il suo strumento musicale, non ricordo se basso o bombardino, andava rimodulando qualche passo. E Luigi al suono di quelle note, sia di mastro Giuseppe sia di quelle paterne, avanzava negli anni della sua verde età. Ed è stato giocoforza che in lui sia rimasto un desiderio inappagato, quello di studiare musica o, meglio dire, il rimpianto di non averla potuta coltivare fino in fondo. Mastro Alfonsino ha trasmesso al figlio l’amore per la musica, prova ne sia che nella produzione artistica di Luigi sono sempre presenti elementi che si richiamano all’arte bella – fisarmoniche, clarinetti e soprattutto la tromba di papà -, ma non potè e non poteva dare più di tanto! Papà e mamma, con la loro saggezza consona ai tempi, avviarono il loro Luigi agli studi, a quelli ritenuti veri, regolari e più proficui!, perchè conseguisse un titolo di studio che gli assicurasse l’avvenire. Studiare musica allora era una impresa ardua se non impossibile. All’epoca, infatti, non vi era alcuna opportunità, mentre oggi pullulano dappertutto le associazioni che promuovono attività e manifestazioni musicali, le scuole di musica vanno sempre più diffondendosi, l’educazione musicale è entrata a pieno titolo nella scuola pubblica, a partire da quella primaria.

Quella di Corso Vinzaglio presso il Circolo Ufficiali dell’Esercito non sarà una delle solite Mostre d’Arte. L’autorevole e puntuale presentazione di d. Luigi Ciotti e l’altrettanta autorevole annunciata presenza del Maestro Daniele Comba e la Sua Tromba sono di preludio non tanto ad una semplice esposizione di tele quanto ad un rilevante evento artistico.

Esprimendo il mio profondo rammarico di non poter essere presente, sicuro che come al solito il successo di pubblico e di critica non mancherà, rappresento a Luigi il mio vivo compiacimento e il mio affettuoso saluto augurandogli una serie infinita di ulteriori affermazioni.

Doveroso ed affettuoso omaggio alla memoria di un amico

Larga eco ha avuto la scomparsa di Pietro Defilippo avvenuta il 17 Febbraio 2010, prova n’è stata sia la partecipazione corale della popolazione sia la presenza alle esequie degli innumerevoli estimatori, conoscenti ed amici accorsi da ogni parte della regione. Nei due giorni di veglia della salma in casa fu un continuo affluire di gente senza distinzione di sesso, di età e di condizioni sociali, tutti a tributare un doveroso omaggio alla memoria dell’estinto e ad esprimere, ciascuno, i segni di affettuosità e di solidarietà alla famiglia. Di Pietro Defilippo non facilmente si traccia, anche a grandi linee, un profilo-ricordo. Dinnanzi ad una vita così intensamente vissuta, dinnanzi ad un personaggio che per un quarantennio da primo attore dominò la scena politico-amministrativa della cittadina, particolarmente sotto l’emozione del momento, sentiamo la nostra inadeguatezza a farne una sintesi! E nè siamo del parere secondo il quale quanto più sia noto un personaggio tanto più con facilità se ne possa parlare, scrivere! Lasciamo ad altri questo compito, allo storiografo del domani che nello stendere gli “Annali” della nostra cittadina non può prescindere dalla figura di Pietro Defilippo!

Pietro Defilippo si affacciò alla vita politico-amministrativa nel Novembre del 1960, si rinnovava il Consiglio Comunale. Eravamo su posizioni contrapposte, Lui guidava la lista di centro-destra, contrassegnata con lo “Scudo Crociato”, mentre noi eravamo schierati a sinistra con una lista di concentrazione democratica e popolare nella quale erano confluiti socialisti, comunisti e indipendenti di sinistra, contrassegnata con il simbolo di una “Tromba”, ai tempi assunta a simbolo di riscossa e di rinnovamento del Mezzogiorno d’Italia. La Lista dello”Scudo Crociato” prevalse su quella della “Tromba” e Pietro Defilippo fu eletto Sindaco, carica che salvo qualche interruzione mantenne sino alle soglie del Terzo Millennio.

All’epoca la lotta politica era aspra, dialetticamente dura, forte. Nonostante tutto Pietro Defilippo non si lasciò prendere la mano, inorgoglire dai successi elettorali, non cercò mai, anzi evitò sempre lo scontro fine a se stesso. Fu sempre per il dialogo e si mostrò aperto, disponibile ad esaminare, accogliere i suggerimenti, le proposte da qualunque parte provenissero.

Non esageriamo se diciamo che Pietro Defilippo era una persona carismatica. Nell’arco di un quarantennio godette della simpatia popolare e nelle consultazioni che nel tempo si sono susseguite il corpo elettorale della cittadina gli fu sempre più generoso di consensi. Il suo carisma era in dipendenza della sua ampia e sollecita disponibilità verso tutti, senza distinzione di colore politico. Era pronto a rendersi utile in qualsiasi situazione che gli venisse prospettata o che della quale fosse venuto a conoscenza per vie indirette. Si faceva in quattro per rendersi utile ricorrendo alle sue aderenze, alle sue conoscenze, alla sua esperienza sia di uomo politico sia di amministratore e a mettere spesso qualcosa di suo, di proprio, anche quando questo gli poteva costare sacrificio personale!

Svolse a pieno la parte che la sorte gli aveva assegnato. Figlio del suo tempo e come tale interpretò i bisogni, le esigenze della comunità, la cui soluzione, soddisfazione al tempo avevano un alto valore e costituivano una importante conquista sulla via del progresso e del riscatto sociale delle popolazioni!

All’epoca, al pari di quasi tutte le comunità del Mezzogiorno d’Italia, la nostra cittadina esprimeva, ancora nel XX° secolo!, esigenze che ai nostri giorni non sono ritenute tali in quanto all’oggi facenti parte di una problematica di ordinaria amministrazione! Erano i servizi sociali di cui le comunità delle regioni meridionali andavano carenti. E i vari governi nazionali che si sono avvicendati cercarono di affrontare questi problemi sociali con provvedimenti legislativi ad hoc quali l’Ente Sila, la Cassa per il Mezzogiorno, la Legge Speciale per la Calabria, gli Interventi Straordinari, ecc. A fronte, però, vi era una pressione di richieste che spesso vanificavano la consistenza dei predetti strumenti legislativi. E Pietro Defilippo seppe destreggiarsi nei meandri della burocrazia, comportarsi con abilità ed accortezza nel groviglio degli articoli delle Leggi vigenti, arrivare nella stanza…dei bottoni. Ed ecco l’ammodernamento ed estensione sia della rete idrica urbana sia della rete fognaria, la realizzazione degli acquedotti rurali, la pavimentazione delle strade interne ed esterne, gli edifici scolastici per tutte le scuole allora funzionanti nel centro abitato e nelle contrade rurali, il Piano di Fabbricazione e la Caserma dei Carabinieri.

Con Pietro Defilippo non siamo stati sempre su posizioni politiche contrapposte. Negli anni ’80, Lui Sindaco, sedemmo nella stessa Giunta Comunale di coalizione di centro-sinistra. Abbiamo avuto modo di sperimentare e fare tesoro della sua lunga esperienza amministrativa, della sua profonda conoscenza delle disposizioni legislative, della sua oculatezza nell’operare. E queste sue particolari capacità costituivano – perchè non riconoscerlo? – garanzia per tutti noi! Per quanto ne possiamo sapere, non un solo suo atto amministrativo risultò inficiatio! Non un solo suo atto deliberativo fu respinto dagli organi regionali di controllo! Collaborare con Pietro Defilippo, all’interno di una Giunta Comunale, era veramente un piacere! Non vi era ombra di prevaricazione, o fuga in avanti. Il Sindaco Defilippo stimolava, apprezzava le capacità dei singoli, promuoveva la collaborazione.

Ebbe un optimus cursus honorum, svolse attività politico-amministrative ai vari livelli. Infatti, oltre a ricoprire per decenni la carica di Sindaco di Girifalco presiedette la Comunità Montana “Fossa del Lupo”, fece parte della Commissione Regionale per l’applicazione della Legge”285″, rappresentò nell’UNCEM le Comunità Montane della Calabria e fece parte degli organi provinciali dell’ex D.C.

Ma Pietro Defilippo non fu solamente l’uomo politico, o l’amministratore!

Da Priore resse la Confraternita del SS.mo Rosario. Era anche un professionista, il farmacista del paese! Era anche l’amico, l’uomo della quotidianità!

Con la Confraternita del SS.mo Rosario, come istituzione, Pietro Defilippo aveva un rapporto particolare. La Congrega, così come comunemente viene denominata la Chiesa del Rosario, ce l’aveva nel sangue! Un suo prozio di parte paterna, Don Michele, nel Secolo XIX° fu Padre Spirituale del Sodalizio Religioso e lo stesso Pietro Defilippo negli anni ’80, in seguito al rinnovo delle cariche sociali, subentrò quale Priore al suocero, don Michele Catuogno, che per molto tempo aveva retto la Confraternita. Il Priorato del farmacista Defilippo si pose sempre all’attenzione delle Autorità Diocesane. Alcuni anni or sono, infatti, alla Confraternita del SS.mo Rosario fu demandato il compito di organizzare in Girifalco il raduno di tutte le Confraternite della Diocesi. Il Priorato di Pietro Defilippo va ricordato per aver restituito alla comunità di Girifalco, dopo i lavori di restauro e di consolidamento protrattisi per oltre un decennio, una Chiesa che alla sua riapertura destò e continua a destare tuttora l’ammirazione della popolazione.

Pietro Defilippo, quale farmacista, godeva di particolare reputazione nell’ambito della categoria e costituiva un punto di riferimento per l’ Ordine Provinciale dei Farmacisti. Tanto è che quando andò in pensione l’Ordine lo insignì della Medaglia d’oro.

Il farmacista Defilippo svolse la sua attività professionale all’insegna del servizio sociale. Sempre pronto, sollecito a soddisfare ogni richiesta. Il cartello-orario esposto alla vetrata della farmacia era una pura e semplice formalità, in pratica per Lui non vi erano limiti di orario nè questione di turnazione notturna. Per quanto noi sappiamo in nessun caso, specialmente in quelli d’urgenza, sono stati notati disappunto, malumore in Pietro Defilippo, il cui campanello di casa, sia di giorno sia di notte, si poteva far squillare con fiducia ed in assoluta tranquillità!

E la popolazione gli fu sempre grata e riconoscente!

Pietro Defilippo era l’uomo della quotidianità, delle abitudini semplici e viveva in mezzo ai concittadini che vantava, ed era vero!, di conoscerli uno per uno. Attaccava, come si suol dire, bottone con tutti.Aveva un modo particolare di mantenere ed instaurare rapporti amicali con chicchessia proponendosi con un approccio simpatico, cordiale, tutto suo. Passando dalla farmacia ci mancherà per molto, fino a quando l’inesorabile scorrere del tempo non ci abituerà allla sua scomparsa, l’affabile, bonaria, simpatica figura del farmacista Defilippo. Seduto alla solita sedia, al di là della vetrata, sia che entrassero in farmacia sia che li vedesse passare non ne lasciava uno senza che non lo avesse salutato, amichevolmente apostrofato, o che in alcuni casi non gli avesse chiesto notizie della famiglia……………………………………………………

Da queste colonne nel porre termine al sentito ed affettuoso omaggio alla memoria dell’ amico rinnoviamo alla famiglia i nostri profondi sentimenti di vicinanza rassicurandola che il suo congiunto continuerà ad essere presente nella nostra mente, nel nostro cuore, nelle nostre preghiere.

rocco_fragolaProfonda commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Rocco Fragòla, avvenuta il 27-12-07. Aveva da mesi lasciato il servizio attivo per il meritato riposo, dopo circa un quarantennio di encomiabile attività alle dipendenze del Comune nei settori dell’Ufficio Tecnico Comunale, prima, ed, in seguito, Responsabile dell’Ufficio di Economato. Era nato a Girifalco il 6 gennao 1947.

Chi per motivi inerenti alle cariche pubbliche ricoperte lo ebbe collaboratore non può non serbare di Rocco Fragòla un bel ricordo . Era un impiegato modello, ligio ai suoi doveri, dotato di spirito di collaborazione con gli amministratori e disponibile con il pubblico, nei confronti del quale sempre pronto e sollecito. Era un dipendente che aveva radicato in sé il senso dell’istituzione. Non era, infatti, partigiano di questa o quell’altra amministrazione comunale. Era, però, un fanatico del Comune di Girifalco e, per quanto potesse dipendere dal suo impegno, si adoperava perchè le cose andassero per il giusto verso, a prescindere da chi fosse ai vertici comunali. Rocco Fragòla si identificava, si immedesimava nell’istituzione ed operava di conseguenza ed in assoluta lealtà.

Le nostre non sono espressioni dettate dall’emozione del momento o convenevoli d’occasione. Che Rocco Fragòla fosse una persona stimata lo si è visto nella triste occasione della celebrazione del suo funerale. Vi è stata, infatti, una partecipazione corale  della popolazione, intervenuta in massa a rendere omaggio alla sua memoria e ad esprimere solidarietà alla famiglia.

Noi che scriviamo e che abbiamo avuto il piacere di averlo al nostro fianco durante la nostra esperienza amministrativa ed in situazioni molto delicate non lo abbiamo mai sentito dire, anche quando avrebbe potuto defilarsi, non è di mia competenza!

Aveva, inoltre,  il culto dell’amicizia ed era stimato per la sua sincerità, la sua onestà, per il suo modo di agire di persona seria ed equilibrata, lo si leggeva, nel giorno delle esequie,  nei volti tesi di amici e di conoscenti, ognuno  aveva una buona parola da dire, un commento da fare, un ricordo da evidenziare.

Al diffondersi della notizia del suo grave stato di salute, i nostri sentimenti furono di meraviglia e incredulità. Di proposito non volevamo pensare a funesti eventi che purtroppo si annunciavano. E ogniqualvolta ci siamo incontrati ci siamo comportati come se fossimo ignari di tutto sia per la segreta speranza che alla fine ce l’avrebbe fatta sia perchè ci illudevamo che la nostra apparente noncuranza lo avrebbe in certo qual modo rassicurato! E non abbiamo avuto parole che gli potessero esprimere la nostra vicinanza! E di questo portiamo un grande rimorso.

Da queste colonne con profonda commozione esprimiamo alla madre, chiamata alla sua veneranda età a tale amaro calice, alle sorelle che lo ebbero tanto caro, alla Signora Maria, nella cui vita il suo Rocco è passato quale struggente meteora e ai parenti tutti la nostra più sentita solidarietà.

(Modesto omaggio alla memoria di un amico sincero che nell’immediatezza del triste evento sarebbe apparso su di un’ annunciata, ma poi non avvenuta,  ripresa della pubblicazione di PagineBianche e che noi doverosamente ed affettuosamente solo adesso possiamo esternare.)

Profonda commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Rocco Fragòla, avvenuta il 27-12-07. Aveva da mesi lasciato il servizio attivo per il meritato riposo, dopo circa un quarantennio di encomiabile attività alle dipendenze del Comune nei settori dell’Ufficio Tecnico Comunale, prima, ed, in seguito, Responsabile dell’Ufficio di Economato. Era nato a Girifalco il 6 gennao 1947.

Chi per motivi inerenti alle cariche pubbliche ricoperte lo ebbe collaboratore non può non serbare di Rocco Fragòla un bel ricordo . Era un impiegato modello, ligio ai suoi doveri, dotato di spirito di collaborazione con gli amministratori ed era disponibile con il pubblico, nei confronti del quale sempre pronto e disponibile. Era un dipendente che aveva radicato in sé il senso dell’istituzione. Non era, infatti, partigiano di questa o quell’altra amministrazione comunale. Era, però, un fanatico del Comune di Girifalco e, per quanto potesse dipendere dal suo impegno, si adoperava perchè le cose andassero per il giusto verso, a prescindere da chi fosse ai vertici comunali. Rocco Fragòla si identificava, si immedesimava nell’istituzione ed operava di conseguenza ed in assoluta lealtà.

Le nostre non sono espressioni dettate dall’emozione del momento o convenevoli d’occasione. Che Rocco Fragòla fosse una persona stimata lo si è visto nella triste occasione della celebrazione del suo funerale. Vi è stata, infatti, una partecipazione corale  della popolazione, intervenuta in massa a rendere omaggio alla sua memoria e ad esprimere solidarietà alla famiglia.

Noi che scriviamo e che abbiamo avuto il piacere di averlo al nostro fianco durante la nostra esperienza amministrativa ed in situazioni molto delicate non lo abbiamo mai sentito dire, anche quando avrebbe potuto defilarsi, non è di mia competenza!

Aveva, inoltre,  il culto dell’amicizia ed era stimato per la sua sincerità, la sua onestà, per il suo modo di agire di persona seria ed equilibrata, lo si leggeva, nel giorno delle esequie,  nei volti tesi di amici e di conoscenti, ognuno  aveva una buona parola da dire, un commento da fare, un ricordo da evidenziare.

Al diffondersi della notizia del suo grave stato di salute, i nostri sentimenti furono di meraviglia e incredulità. Di proposito non volevamo pensare a funesti eventi che purtroppo si annunciavano. E ogniqualvolta ci siamo incontrati ci siamo comportati come se fossimo ignari di tutto sia per la segreta speranza che alla fine ce l’avrebbe fatta sia perchè ci illudevamo che la nostra apparente noncuranza lo avrebbe in certo qual modo rassicurato! E non abbiamo avuto parole che gli potessero esprimere la nostra vicinanza! E di questo portiamo un grande rimorso.

Da queste colonne con profonda commozione esprimiamo alla madre, chiamata alla sua veneranda età a tale amaro calice, alle sorelle che lo ebbero tanto caro, alla Signora Maria, nella cui vita il suo Rocco è passato quale struggente meteora e ai parenti tutti la nostra più sentita solidarietà.

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Dalla Elegia

IN MORTE DEL POETA ALBIO TIBULLO

( Amores, III, 9 )

Publius_Ovidius_NasoSe l’ Aurora pianse Memnone, se Teti pianse Achille e i crudeli fati arrecano dolore alle grandi dee, sciogli, o lacrimosa Elegia, le neglette chiome.

Ahimè, come è consono alla realtà il tuo nome!

Quel tuo Vate,Tibullo, che ti procurò tanta fama, arde, morto, disteso sulla elevata pira.

Eppure dicono che i poeti siano sacri e siano sotto la protezione degli dei, e vi sono, pure, quelli che ritengono che noi abbiamo qualcosa di divino: evidentemente la morte devastatrice profana anche tutto ciò che è sacro e con la sua mano fa cadere tutti nelle tenebre. Anche lui il giorno supremo, la morte sommerse nel tetro Averno.

Per opera dei poeti permane il ricordo dell’ eccidio di Troia e il ricordo della tardiva tela stessuta, disfatta con inganno notturno.

Così i nomi di Nemesi e di Delia saranno tramandati nel tempo, l’una ultimo amore, l’altra primo amore.

Tuttavia se di noi rimane qualcosa oltre al nome e all’ombra, Tibullo sarà nei Campi Elisi. ( 60 )

O dotto Catullo, cinte di edera le tue giovani tempia, con Calvo gli andrai incontro.

Anche tu, o Gallo, prodigo del tuo sangue e della tua vita, se falsa è l’ accusa del disonerato amico. A queste ombre si accompagna la tua.

Se l’ombra del corpo è qualcosa di reale, o colto Tibullo, hai aumentato il numero dei pii nei Campi Elisi.

Prego che le tua ossa riposino tranquille e sicure e che la terra non sia pesante sulle tue ceneri.

Note e annotazioni

Achille, figlio di Teti, perì nella guerra di Troia. Lo uccise Paride che lo colpì nel tallone, l’ unica parte del corpo in cui Achille era vulnerabile.

Campi Elisi, sede dei beati nel regno dei morti. Secondo la mitologia greca sono situati sottoterra. I beati hanno il privilegio di conservare le loro spoglie mortali e di dedicarsi alle occupazioni più gradite in vita.

Calvo ( C. Licinio ), poeta amico di Catullo.

Catullo ( C. Valerio ), celebre poeta lirico, elegiaco ed epigrammatico, nato nell’ 87 a. C.

Gallo ( Cornelio ), poeta elegiaco. Fu preposto da Augusto al governo dell’Egitto. Caduto in disgrazia del principe, per gravi errori commessi, fu spinto alla disperazione e si diede volontaria morte.

Memnone, figlio di Titone e dell’ Aurora, perì nella guerra di Troia.

Nemesi e Delia, le donne amate da Tibullo.

…tardaque nocturno tela retexta dolo…, Penelope, la fedele sposa del lontano Ulisse, era assediata dalle richieste di matrimonio ripetute quotidianamente dai Proci. Per ingannare la loro aspettativa ella diceva che avrebbe fatto la sua scelta quando avesse condotto a termine il tessuto d’un drappo, di cui nascostamente e di notte stesseva la porzione tessuta di giorno.

Tibullo ( Albio ), poeta elegiaco del circolo letterario di Messalla Corvino. Morì giovanissimo, a 25 anni circa nel 19 a. C., l’anno stesso in cui morì Virgilio.

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LODI DELLA VITA AGRESTE

Meglio una vita tranquilla e modesta che ricchezze acquistate con travaglio e pericolo.

( Elegie, I,1)

TibulloAltri accumuli per sé ricchezze di biondo oro e possegga molti iugeri di terreno coltivato, a patto che lo atterrisca una continua ansia per l’ avvicinarsi del nemico e le squillanti trombe di guerra gli disturbino i sonni.

Le mie modeste condizioni mi accompagnino con una vita tranquilla ( 5 ), purché il mio focolare brilli, arda di fuoco continuo.

Io stesso divenuto contadino pianterò nella stagione propizia le tenere viti e con mano esperta i grandi alberi da frutta.

La Speranza non mi abbandoni, ma mi fornisca sempre messi abbondanti e tinozze piene, colme di pingue mosto. ( 10 ) Infatti soglio onorare con coriandoli di fiori il simulacro di legno, Priapo, posto nei campi solitari e la pietra sacra piantata nei crocicchi. E qualunque frutto che il nuovo anno mi porti sarà prima offerto al dio agreste.

O bionda Cerere a te una corona di spighe del nostro campo ( 15 ) che sarà appesa alla porta del Tempio. E Priapo, il rosso custode, sia posto fra gli alberi da frutta perché con la terribile falce atterisca gli uccelli.

Anche voi, o Lari, custodi del campo una volta dovizioso ora, invece, meschino avrete i vostri doni. ( 20 ) Allora una vitella immolata purificava innumerevoli giovenchi ora un’agnella è la piccola vittima di un modesto podere. Sarà immolata un’agnella intorno alla quale i giovani contadini andranno gridando: Evviva !, concedete messi e buoni vini. In quanto a me , che io possa vivere contento di ciò che possiedo ( 25 ) e non essere esposto a lunghi viaggi, ma evitare il calore del periodo canicolare sotto l’ ombra di un albero nei pressi di ruscelli di acqua corrente. Non mi sia motivo di vergogna aver tenuto, adoperato talvolta il raschio o aver stimolato con il pungolo i buoi. ( 30 ) Non mi sia motivo di rincrescimento portare in braccio a casa il nato di una capretta abbandonato dalla madre smemorata. Ma voi, ladri e lupi, risparmiate, rispettate il mio minusculo gregge, cercatevi la preda altrove, in un grande gregge.

Qui ogni anno io sono solito purificare il mio pastore ( 35 ) e aspergere di latte la dea Pale.

Orsù, o dei, venite!, non disprezzate, accettate i doni che provengono da una piccola mensa e da tersi bicchieri d’argilla. L’antico contadino in principio fece per sé vasi di terracotta e li plasmò con molle argilla.

Io non desidero le ricchezze dei miei padri e i frutti che una ricca messe produsse al mio antico avo. Mi basta, mi è sufficiente un modesto campo coltivato; mi è sufficiente se è lecito riposare nel letto e ristorare le membra sul solito giaciglio.

Come mi è piacevole sentire i venti impetuosi mentre sono a letto ( 45 )

……………………………………………………………………………………………………………………

o sicuro, senza affanni, con il favore della pioggia, prolungare il sonno, continuare a dormire mentre il vento di mezzodì rovescia acque invernali!

Ciò mi sia concesso: sia ricco a giusta ragione chi affronta i pericoli sul mare e può sopportare le piogge maceranti.

Note e annotazioni

…agricolae deo…, i principali numi agresti erano Cerere, Priapo, Silvano, e anticamente, Mavors, detto anche Mars, o Marmar, che in seguito divenne deità guerriera, assumendo i caratteri del greco Ares.

Auster, Austro, Ostro, vento di mezzodì o del Sud.

Canis aestivos ortus ( 27 ), il sorgere estivo della Costellazione del Cane ovvero della Canicola.

Iugerum, iugero: porzione di terra arabile in un giorno da due buoi aggiogati.

Pales, Pale, dea italica dei pastori e del bestiame. I Romani il 21 marzo, Natalis Romae, celebravano le feste di Pale, dette Palilia. In tale ricorrenza si solevano fare le lustrazioni, ossia purificazioni delle greggi e dei pastori. La consuetutdine nel mondo rurale di mettere il bestiame sotto la protezione della divinità, mutatis mutandis, è resistita sino ai nostri giorni. Sant’ Antonio Abate, San Rocco e San Sebastiano erano, infatti, detti santi pastorali. E non di rado, in segno di devozione e per impetrarne la protezione, capi di bestiame fregiati di ex voto venivano condotti in chiesa e fatti inginocchiare dinnanzi alla statua del Santo protettore.

Priapus, lo spaventapasseri che i nostri contadini innalzono in mezzo ai campi. Era rappresentato con un enorme membro genitale, come simbolo della potenza generatrice e fecondatrice della natura.

Spes, la dea Speranza alla quale i Romani dedicarono molti Templi e celebravano la festa il primo d’ agosto.

…stipes desertus… vetus lapis, le edicole votive dei nostri giorni situate anche oggi in punti strategici delle contrade rurali.

Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri ( 19 ), Tibullo, Virgilio e molti altri, nella distribuzione delle terre ai veterani, che Augusto fece dopo la battaglia di Filippi, erano stati espropriati di gran parte degli aviti poderi.

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Hoc erat in votis

( Satire II, 6 )

QUINTO ORAZIO FLACCOQuesto era nei miei desideri, queste erano le mie aspirazioni: un campo di modeste dimensioni dove vi fosse un orto e vicino alla casa una sorgente di acqua perenne e al disopra un boschetto. Gli dei hanno concesso ad altri di più e di meglio! A me sta bene, sono contento di quanto possiedo. Non chiedo di più, o Mercurio, figlio di Maia, che tu faccia miei, stabili e duraturi questi doni. ( 5 )

Se non ho reso più grande il patrimonio con mezzi illeciti e non lo renderò più piccolo con le dissipazioni o la negligenza ovvero la cattiva amministrazione, se stolto, ahimè!, ingenuo non chiedo agli dei nessuna delle cose che seguono: ” O se si aggiungesse al mio terreno quell’ angolo accanto che, così come è , rende asimmetrico il mio campicello! O se qualche caso fortuito mi mostrasse, mi facesse trovare un’ urna d’argento, come quegli ( 10 ) che mercenario, lavorando a giornate, trovato un tesoro, arò da padrone, dopo averlo comprato, quello stesso campo, divenne ricco con il favore di Ercole. Se ciò che possiedo mi rende grato, riconoscente verso gli dei, ti rivolgo questa preghiera: ” Concedi al padrone un bestiame pingue oltre ad altre cose, tu, mio custode, mio protettore, così come suoli, rendimi l’ ingegno grande grande! ( 15 )

Dal momento che mi sono trasferito dalla città ai monti e su in alto nella mia rocca, la mia villetta di campagna, con le satire e la poesia familiare cosa per prima devo illustrare?

Non mi affligge una cattiva ambizione né il piovoso Australe, il vento di scirocco, né l’ uggioso autunno fruttuoso per la crudele Libitina.

O dio del mattino, o Giano, se così preferisci essere chiamato, ( 20 ) dal quale gli uomini stabiliscono che abbiano inizio le opere e le fatiche della vita, così piacque agli dei, sii tu l’inizio, il principio del mio canto.

Mi trascìni a Roma quale mallevadore, garante: ” Suvvìa, affrettati perché nessun altro risponda prima di te a questo ufficio, perché nessun altro sia più sollecito di te. Sia che Aquilone, il vento di settentrione, spazzi la terra sia che la bruma, l’ inverno, trascìni il nevoso giorno ( 25 ) nel giro interiore, più breve, si deve andare.

E subito dopo, pronunciata a chiare note la formula prescritta, a lottare in mezzo alla folla e per andare avanti fare violenza con spintoni contro coloro che si attardano.

” Cosa vuoi, folle, e cosa fai? ” Un impudente mi investe con aspre imprecazioni: ” Tu spingi, rovesci tutto ciò che ti è d’ ostacolo nell’andare avanti, ( 30 ) se con la mente memore vai a Mecenate! Ciò mi giova, mi solletica, per me è un vero piacere, mi è dolce come il miele, non mente, infatti, non dice la bugia, dice il vero. Ma appena si è giunti alle tetre zone dell’ Esquilino cento affari altrui mi balzano nella mente e tanti che mi pressano attorno . ” Roscio pregava che l’ indomani fossi per lui presente nel tribunale perché lo assistessi come suo avvocato.” ( 35 ) ” Gli scribi mi pregavano che mi ricordassi di ritornare in giornata per trattare affari di utilità pubblica e nuovi.” ” Fai che Mecenate apponga il suo sigillo su questi documenti.” Avrei risposto ” proverò “: ” se vuoi, puoi ” incalza e insiste. Già sono passati sette anni da quando Mecenate mi accolse fra i suoi ( 40 ) al solo scopo di avermi in carrozza andando a…spasso e confidarmi inezie di questo genere; ” Che ora è? Il Trace è pari al siriaco Gallina? ” ” Il freddo del mattino morde, punge coloro che incautamente non si coprono bene ” ( 45 ) e quelle cose, chiacchiere che si depongono nell’ aria piena di fessure, cioè argomenti di poco conto. Per tutto il tempo dell’ amicizia con Mecenate di giorno in giorno e di ora in ora ero sempre più oggetto d’ invidia. Qualora avessi assistito insieme a lui agli spettacoli teatrali e del Circo o avessi con lui giocato a palla nel Campo di Marzio: ” O figlio fortunato! “, tutti ad esclamare. Dal foro si diffonde per i crocicchi una notizia agghiacciante ( 50 ): chiunque mi venga incontro mi chiede : ” O caro mio ( infatti è naturale che tu sia informato giacché tu sei a contatto con i potenti ) non hai sentito parlare dei Daci? ” ” niente affatto” ” Il solito burlone! ” ” Mi puniscano gli dei se dovessi sapere qualcosa!” ” Cesare assegnerà ai soldati ( 55 ) le terre promesse in Sicilia o in Italia?” E quando dichiaro di non saperne niente, come è in realtà, mi guardano con meraviglia come un uomo che sa mantenere i segreti. Vado perdendo in questo modo le mie giornate, non senza questi desideri.

O felice vita di campagna quando potrò goderti e quando mi sarà lecito ( 60 ) ora con i testi degli antichi autori ora con il sonno, il pisolino, il riposo gustare il soave oblìo di una vita affannosa, agitata? O quando saranno servite le fave parenti di Pitagora e nello stesso tempo le erbette condite a sufficienza con il pingue lardo? O notti, o cene degli dei durante le quali insieme agli amici ( 65 ) dinnanzi al Lare domestico mangio e permetto che i servi ciarlieri si alimentino con le vivande che ho appena assaggiato!

Ciascuno a suo piacere esonerato dall’ osservare il cerimoniale asciuga gli ineguali bicchieri, per quantità e qualità, sia che qualcuno resistente prenda, beva vino puro sia che qualcuno si inumidisca la gola con vino annacquato. (70 ) Indi si inzia a conversare non delle case degli altri e né se Lepore danzi bene, ma discutiamo di ciò che ci interessa e che è un male ignorare, non conoscere: se gli uomini sono felici se ricchi oppure se virtuosi; e di ciò che ci spinge ad essere amici se l’utilità o la rettitudine ( 75 ) e quale sia la natura del sommo bene e in che cosa consista. Cervio che mi sta vicino fra questi discorsi seri e importanti intercala piacevolmente delle favole da vecchiette, ma molto opportune. Infatti se qualcuno, ignaro, non conoscendo la realtà, loda le ricchezze di Arellio piene di affanni così inizia a raccontare: ” Si narra che una volta un topo di campagna abbia invitato nella sua umile tana ( 80 ) un topo di città, sia l’ uno sia l’altro avanzati negli anni. Il topo di campagna rude ed attento alle sue riserve, a ciò che si era procacciato, tuttavia tale da sciogliere, aprire il suo animo ristretto ai doveri dell’ospitalità. A che pro fare molte parole? Il topo di campagna non negò all’ ospite i ceci che aveva messo da parte né la lunga avena e portando con la bocca offrì un acino di uva passa e pezzetti rosicchiati di lardo, ( 85) speranzoso che con la varietà delle vivande che offriva vincesse la schifiltosità di colui che appena toccava con il superbo dente i vari cibi, mentre esso, padrone di casa, disteso sulla paglia fresca dell’anno rosicchiava farro e loglio, lasciando all’amico le vivande migliori. Finalmente il topo di città rivolto a quello di campagna disse: ” Amico mio, ( 90 ), che cosa ti giova vivere su un crinale di un bosco scosceso? Vuoi preferire gli uomini e la città alle aspre selve? Avanti, mettiti in cammino, affidati a me; poiché gli esseri terrestri avendo avuto in sorte anime mortali né al potente né all’umile è consentito sfuggire alla morte, perciò, o mio caro ( 95 ) finché è lecito, è possibile vivi beato in mezzo ai piaceri memore di quanto sia breve la tua vita.”

Appena fu convinto da questo discorso, il topo di campagna agilmente saltò fuori dal suo covo; indi tutti e due si avviarono per la strada proposta desiderando di penetrare di nascosto nelle mura della città di notte, per non essere visti e non correre pericoli. Già la notte calava ( 100 ), quando l’uno e l’ altro proiettano le loro ombre, pongono piede nella sontuosa casa, tanto sontuosa che in essa brillava sui triclini di avorio un tappeto tinto di rosso scarlatto e vi erano gli avanzi, le portate di una ricca cena che rimasti dal giorno precedente in disparte erano deposti in canestri colmi colmi. ( 105 )

Allora appena fece sì che il topo di campagna si stendesse sul tappeto scarlatto, alla guisa di uno schiavo con il vestito succinto, tirato su per essere più libero nei movimenti, l’ ospite, il topo di città, si dà a correre di qua e di là per la stanza e serve l’ una dopo l’altra le pietanze, assaggiando tutto ciò che offre e mette in atto i modi manierosi e cerimoniosi di un servo di casa. Il topo di campagna stando sdraiato gode della mutata condizione e in mezzo a tutte quelle cose buone agisce, si comporta da lieto convitato, quando all’ improvviso un assordante rumore di battenti fa saltare dai triclini l’ uno e l’ altro. Impauriti a correre qua e là per la stanza chiusa a chiave e più che morti per lo spavento, nello stesso tempo la sontuosa stanza risuonare dell’ abbaiare di cani Molossi dell’Epiro. Allora il topo di campagna: ” Questa vita, questo modo di vivere a me non piace ” disse ( 110 ) ” addio, me ne vado: La tana sicura nella selva con la povera veccia mi consolerà, mi preserverà dalle insidie.”

Note ed annotazioni

Daci, popolazione stanziatasi lungo la riva sinistra del Danubio, all’ incirca l’ odierna Bulgaria: Nel 31 a. C. avevano fatto causa comune con Antonio e si temeva una loro invasione in Italia.

Ercole, presiedeva ai guadagni inaspettati. A lui era attribuita la scoperta dei tesori e di questi, in segno di gratitudine, gli si offriva la decima parte.

Esquilino, uno dei sette colli di Roma e prima che Mecenate vi costruisse la sua casa e i suoi giardini era una zona occupata da cimiteri ed alcune tombe vi erano ancora rimaste.

Gallina, gladiatore.

Giano, Giano era il dio di ogni principio e di ogni fine. Era, quindi, invocato prima di dare inizio a qualunque faccenda. Anche oggi è buona norma per il cristiano praticante recitare mattina e sera le apposite preghiere e segnarsi al principio e alla fine di qualsiasi attività intrapresa e svolta.

Itala Tellure, nel continente italico. Anche oggi i Siciliani, attraversando lo Stretto di Messina, dicono di passare in continente.

Inaequalis calices…legibus insanis ( 68-69 ), differenti per capacità, per numero, per qualità di vino e dosatura d’ acqua: Nei conviti ufficiali dell’ epoca classica vi era il simpiosarca che regolava la maniera con la quale si doveva bere. Il simpiosarca, il direttore di mensa è presente in un convito d’ eccezione, alle ” Nozze di Cana Gv II, 1.” A queste figure conviviali sono da riferire i ” cerimonieri ” a cui si ricorreva anni addietro quando i ricevimenti nuziali avvenivano per lo più in casa della sposa.

Lare, la statuetta del Lare domestico era sistemata in cucina accanto al focolare.

Lepos, pantonimo e ballerino caro ad Augusto.

Libitina ( Venus Libitina ), la dea della morte e dei funerali. Nel suo tempio avevano sede gli impresari delle pompe funebri.

Mallevadore ( garante ), chi, a richiesta di amici, garantiva nei tribunali.

Mercurio, figlio di Maia, dio del commercio e dei guadagni e protettore dei poeti.

Molossi ( cani ), grossi cani da guardia dell’ Epiro, regione della Grecia antica ai confini con l’ odierna Albania.

Pitagora, filosofo greco, professava la dottrina della metempsicosi o trasmigrazione delle anime. Vietava ai suoi discepoli di mangiare carne poiché negli animali poteva essersi incarnata qualche anima umana. Proibiva pure di cibarsi di fave. Di tale divieto furono date interpretazioni discordi: secondo Cicerone il divieto era dovuto al fatto che le fave essendo un cibo flautolento nuocevano alla tranquillità della mente. Orazio, invece, ironicamente lega il divieto alla metempsicosi e, quindi, l’anima di qualche parente poteva essere passata nelle fave. Le fave dormono a lungo sotto terra dalla quale spuntano non prima dei quaranta giorni da quando sono state sotterrate e di tanto in tanto, in modo faceto dicono i nostri contadini, si affacciano per vedere se è morto il padrone! Quella di servire nello stesso tempo pietanze di fave ed erbe condite con lardo è una buona usanza che si è protratta sino ai nostri giorni.

quidve ad amicitias, usus rectumne, trahat nos…( 75 ), se l’utilità o la rettitudine ci spinge ad essere amici. La prima tesi era sostenuta dagli epicurei, la seconda dagli stoici.

Scribae, erano gli scrivani agli ordini dei questori, i quali amministravano l’erario.

…super lectos… ( 103 ), sui letti tricliniari. Il triclinio era un complesso di tre letti a tre posti sistemati lungo tre lati della tavola, sui quali si disponevano i commensali per mangiare.

Trace, gladiatore.

Triqueta/Trinacria, la Sicilia detta così per la sua forma triangolare.

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A

Abaggiur ( francese abat-jour ) s. m., paralume, coprilume, la lampadina del comodino a lato del letto.

Abbaddhara ( latino ad vallem ) v., avvallarsi, incurvarsi, piegarsi, cedere sotto un peso.

Abbisara ( latino ad-viso ) v., avvertire, minacciare; impegnare, per esempio, operai per l’indomani o per altra data.

Abbiverara ( latino ad-bibere ) v., irrigare, inaffiare; condurre gli animali all’abbeveratoio.

Abbiveratizzu agg., terreno irriguo.

Abbonare v., rinunciare alla restituzione di un credito; annacquare gli orciuoli, i barili e le botti perché si chiudano gli interstizi tra le doghe.

Abbonicunti !? avv., insomma.

Abbrazzara ( spagnolo abrazar ) v., abbracciare.

Abbuzzara ( latino bucca ) v., attaccarsi con la bocca ad una bottiglia o brocca e bere smodatamente.

Abbuscara v., procacciare, procurare; essere picchiato.

Abbuttara v., saziarsi a crepapelle, gonfiarsi, riferito sia a persone sia a cose, pieno come una botte.

Accattara ( francese acheter ) v., comprare, acquistare; partorire.

Accett a s.f., scure.

Accia ( latino apium; francese ache) s. f., sedano.

Accijatura s. m., rudimentale utensìle di legno sul quale vengono sminuzzati generi alimentari come carne, accia, verdura in genere.

Accianza ( francese chance ) s. f., occasione, opportunità, destro, affare. Fr.: Appi n’accianza e mmi l’accattai, mi si è presentata l’occasione e me la sono comprata.

Accombara ( latino accumbo, sdraiarsi, prendere posto a tavola ; greco kombos, combos, nodo) v., nella fattispecie non riuscire a mandare giù il boccone. Fr.: M’accombau, non riesco a mandare giù il boccone.

Acconzarsi v., acconciarsi, aggiustarsi.

Accucchiara v., accoppiare, accostare le coppie, riunire, raggranellare, avvicinare, avvicinarsi. Fr.: Accucchiu li piadi!, accosto i piedi!, agli ordini vostri!; A sordu a sordu accucchiau nu milione!, a soldo a soldo raggranellò, mise da parte un milione!

Acquazzina s.f., rugiada.

Addemurara ( latino demoror ; francese demeurer ; spagnolo demorar ) v., trattenersi, tardare, indugiare, fare tardi; riferito anche a generi alimentari che hanno perso la freschezza.

Addhucira ( latino ad lucem...) v., illuminare, fare luce.

Addhumara ( francese allumer ) v., accendere il fuoco, far luce, illuminare.

Addhunarsi ( catalano Adonarse ) v., accorgersi, recarsi in un luogo per informarsi, avere notizie, passare da qualcuno, fare un salto da…

Affruntara ( latino ire ad frontem ) v., incontrare, rimproverare, assalire.

Affruntata s. f., incontro; in particolare, a Girifalco, l’ incontro di Gesù Risorto con la Madonna, manifestazione religiosa che si svolge mattina di Pasqua.

Agghiu ( latino alium ) s. m., aglio.

Aggrippare ( francese gripper ) v., aggrinzire, incresparsi; abbruciacchiare.

Aggrugnara/si ( latino grundio/grunnio ) v., l’attaccarsi dei maialini alle poppe della scrofa; accostare i tizzoni per ravvivare il fuoco; addossarsi ad altri.

Aliare e alijara (latino halidiare e halare) v., sbadigliare.

Allampanatu agg., macilento, magro, trasparente come la luce di una lampada ( donde il termine ).

Allumara ( francese Allumer ) v., scorgere, avvistare.

Allustrare ( latino lustro ) v., lucidare, lustrare, voltolarsi nel fango. Fr.: I maiali si “allustrano” nel fango, i maiali si avvoltolano nel fango .

Ammagara ( latino magus ) v., ammaliare, incantare, irretire.

Ammagistrara ( latino magister ) v., ammaestrare, insegnare, dirigere, intromettersi in ogni faccenda con la presunzione di saper fare tutto.

Ammasunara ( francese à la maison ) v., far rientrare le galline nel pollaio.

Ammogghiara ( francese mouiller ) v., inumidire, bagnare; accelerare con regalie l’iter di una pratica …

Ammucciara ( greco mucos mu’hòs; francese mucher/musser ) v., nascondere.

Ammucciateddha s.f., gioco a nascondino, a rimpiattino.

Ammucciuni avv., di nascosto.

Ammunzzeddhara ( francese amonceler ) v., ammucchiare, ammassare, accatastare.

Amprara ( latino ampliare ) v., stendere il bucato al sole.

Ampressa-ampressa ( francese s’empresser ) modo di dire, invito ad affrettarsi, suvvia!

Anastasio ( greco anastasis anastasis ) n. pr., resurrezione; risorto. Cognome diffuso in Calabria.

Anchianara v., andare al piano di sopra, salire. Usato pure in modo equivoco riferendolo all’atto sessuale.

Annacarsi ( greco nakh, nake ) v., dondolarsi.

Annigrumara ( latino niger/nigrescere ) v., diventare nero, il cielo si copre di nuvoloni neri, sta per piovere.

Aparìra ( latino aperio ) v., aprire.

Appalorara v., prenotare, impegnare.

Appicciara v., accendere il fuoco, aizzare. Fr.: Appicciai u ‘huacu, ho acceso il fuoco. Appicciau na lita, promosse/accese un litigio.

Appiccicara v., accendere, incendiare, mettere/dare fuoco; affibbiare, appioppare, attaccare; suscitare una lite, un diverbio.

Appoiara ( francese appuyer ) v., appoggiare; termine usato in modo…equivoco.

Apprettare v., stuzzicare, provocare.

Appricara/rsi v., applicare/arsi, affibbiare; darsi pensiero, interessarsi, amareggiarsi.

Arciuamu s. m., Ecce Homo!

Argasìa ( greco ergasia , ergasia ) s. f., terreno lavorato.

Aria ( latino area ) s. f., aia, piazzale.

Arrabbattarsi v., arranciarsi, darsi da fare.

Arrancara ( rimanda ai saltelli della rana ) v., saltare; affacciarsi, fare un salto da…

Arrasara ( arabo arrada ) v., allontanare/si, scostare/si.

Arrasu avv., lontano, alla larga. F.: Arrasu sia! Alla larga! Teniti arrasu de chista gente, tieniti lontano da queste persone!

Arrestara ( latino restis ) v., fare trecce di cipolle.

Arribbeddhare/rsi ( latino re+bello ) v., mettere, portare il disordine, protestare, impensierirsi, preoccuparsi, allammarsi.

Arriedi ( francese arrière ) avv., dietro, indietro.

Arriggettara/rsi ( latino recepto ) v., mettere in ordine la casa, accudire la famiglia, prepararsi, mettersi l’animo in pace.

Arrittare ( latino arrectum pp di arrigo ) v., ergersi; l’alzarsi, il drizzarsi del pene.

Arrumbulara ( greco rombos , ròmbos trottola ) v., arrotolare, ravvolgere più volte.

Artietica ( greco arqriticos, artriticòs ) s. f., irrequietezza.

Assettarsi ( latino assedito/assideo/assido ) v., sedersi.

Assijara v., aizzare. Fr.: L’assijau lu cana, gli aizzò il cane.

Astrucu ( greco ostrakon ostracon ) s. m., pavimento di calce o di mattoni di argilla.

Astutara ( latino aestuo/uro ) v., spegnere. Nell’accezione originaria bruciare, ardere, ribollire.La vocale iniziale della voce dialettale è da intendersi quale “ alfa privativo” e quindi il significato di spegnere.

Attaccia ( francese attache e tache ) s.f., chiodo da scarpa con la testa larga.

Attroppicara ( spagnolo tropezar ) v., inciampare.

Atturrara ( latino torreo ) v., abbrustolire, tostare il caffè.

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B

Baddhalora s. f., padella dal fondo bucherellato usata per fare le ballotte.

Bagagghiu s. m., asino; stupido, deficiente, idiota.

Basile ( greco basileios basileios ) n. pr., regale, reale.Cognome diffuso in Calabria.

Bàtteri ( greco bakthrion bacterion ) s. m., bastoncelli, verghette, fiammiferi.

Bbaddhari s. m., castagne arrostite oppure pop korn.

Bballatura ( latino bellatorium ) s. f., ballatoio, pianerottolo.

Bbeddhissima/bbeddhissimieddhu av., meno male, abbastanza.

Birloccu ( francese berloque e breloque ) s. m., ciondolo, catenina d’oro, oggetti preziosi.

Bisiculu ( latino bi-secula, secare ) s. m., arnese del calzolaio, lisciapiante, bisecolo.

Biviari ( francese vivier – vivaio di pesci ) s.m., abbeveratoio.

Bocala ( latino bucca ), caraffa di vetro

Bottigghia ( francese bouteille ) s. f., bottiglia.

Bottijara ( voce onomatopeica ) v., bussare.

Brocca ( francese broche e brochette ) s. f., spiedo, fermaglio, spillone, forchetta.

Bruvera ( francese bruyére ) s.f., erica.

Buatta ( francese boite ) s. f., scatola, scatola di latta.

Buffa ( latino bufo) s. f., rospo.

Buffetta/buffettino ( francese buffet ) s. m/f., tavola, tavolinetto, desco.

Buffettuna ( spagnolo bofetòn ) s. m., cazzotto, schiaffo, percossa.

Bùggia ( francese bouge ) s. f., tasca interna della giacca.

Bussula s. f., porta interna.

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C

Cacamaruggiu s. m., reattino, scricciolo, persona di poco conto.

Cacentaru/casentaru ( greco ghs enteron, ghes enteron ) s. m., lombrico.

Caddhipu ( greco kalluntron calluntron, kallopizv callopizo ) s. m., il palo alla cui estremità veniva attaccato uno straccio bagnato per ripulire il forno, tirare la bracia, prima che venisse infornato il pane.

Caggia ( latino cavea; francese cage ) s. f., gabbia.

Ca’hisu ( arabo cafiz ) s. m., cafiso, antica misura di capacità per l’olio equivalente a 18 litri.

Ca’huna ( greco efagon - efagon, aor. di esqiv – estio ) s. m., profonda fossa dove va a finire ogni cosa inservibile; divoratore insaziabile.

Caja ( latino plaga ) s. f., piaga, ferita, dolore, dispiacere.

Calandriaddhi ( latino calandra? ) s. m., piccole allodole; sandali a strisce di pelle che portavano i nostri contadini. Per analogia ricordiamo le ciocie dei contadini della provincia di Frosinone, la Ciociaria.

Caliò ( greco kalos kalòs ) n. pr., bello. Cognome diffuso in Calabria.

Caloma ( cfr italiano calumare, calare a mare adagio funi, gomene; greco kalummia calummia;

spagnolo calomar ) s. f., fune dei pescatori; fame eccessiva, avidità, desiderio di qualcosa. Fr.:Mentra l’atri mangiavanu iddhu stacìa a la caloma, mentre gli altri mangiavano egli aspettava che gliene dessero.

Calostra ( latino colostra ) s. f., il latte subito dopo il parto.

Cambriccu ( inglese cambric ) s. m., Cambrì, tela finissima di cotone bianco detta pure pelle d’uovo. Cambric forma inglese della città francese di Cambray dove si fabbricava il tessuto.

Cammarara ( greco kammaronv , cammarono) v., mangiare carne nei giorni di digiuno prescritti dalla Chiesa. Fr.. Oia non mi cammaru, oggi osservo il digiuno, mi astengo dal mangiare carne.

Cammisa ( francese chemise ) s. f., camicia.

Canduscia/iu s. f/m, veste o abito mal cuciti e troppo larghi. Persona sgraziata e di poco conto.

Canigghi ( latino canicae ) s. m., crusca. Alimento che si dava ai cani.

Canigghiola ( latino canicae ) s. f., la forfora che per la sua squamosità somiglia alla crusca.

Cannamieli ( greco kanna + meli, canna+meli; latino canna mellis ) s. m., canna da zucchero. Vecchio toponimo del IX Vico di Corso Garibaldi di Girifalco.

Cannataru ( greco kaneon kaneon/kanat a / kanata ) s. m., canestro di canne intrecciate, vaso di metallo o di terra; nella fattispecie piccolo vaso di terracotta nel quale veniva conservato il lievito.

Cannarutu ( latino cannae, le canne della gola ), goloso.

Cannavù ( greco kanna kanna ) n.pr., ctr di Girifalco ai confini con il comune di Borgia.

Cannistra ( latino canistrum; greco kanastron kanastron ) s. f., canestro.

Cannizzi s.m., canniccio o stuoia fatti con canne spaccate e intrecciate.

Cantàru ( greco kantaros kàntaros; latino cantharus; arabo qintar ) s. m., antica misura di peso equivalente a 90 kg.

Càntaru ( greco kantaros, kàntaros; latino cantharus ) s.m., vaso con larghe anse, vaso da notte, pitale, pop. orinale.

Capadirtu ( latino caput per erectum ) locuz., tirare innanzi per diritto.

Capizza ( latino capistrum/capitia ) s. f., cavezza, guinzaglio, capestro; apertura superiore della tunica per cui passa la testa.

Cappucciu ( latino caput ) s. m., cappuccio, copricapo, varietà di cavolo.

Carapucciulu ( latino caput ) s. m., cappuccetto, piccolo copricapo dei bambini, cuffia.

Carcara v., calcare, premere, pressare.

Carcara ( latino calcaria ) s. f., cava di calce, fornace dove si cuoce la pietra calcare.

Carcarazza ( greco karakaxia karakaxia ) s. f., gazza.

Cardiddhu ( latino cardinulum/cardillus/cardo ) s. m., piccolo cardine, perno, lucchetto.

Carìa ( greco karua karùa, albero di noce ) n. pr., ctr. di Girifalco.

Carminu ( latino carmen ) s.m., il presunto incantesimo dei serpenti del sampavularu.

Carpinieddhu ( latino carpinus, albero ) n. pr., contrada nel comune di Girifalco.

Carpitieddhu ( francese carpette ) s. m., pannolano rustico che scendeva dalla testa ai fianchi e veniva indossato dalle donne in costume.

Carratiaddhu s. m., piccola botte per vini pregiati e liquori. Botte che veniva trasportata con i carri, donde il nome.

Carrera ( spagnolo carrera ) s. f., carriera, corsa, strada petrosa, acciottolata.

Carusara ( latino ca(put)+rasura; greco karhnon, carenon ) v., rapare, tosare.

Carusieddhu (napoletano carusiello) s.m., palla di creta, salvadanaio. Il carosello in origine era un gioco in cui i cavalieri vestiti alla moresca lanciavano agli avversari palle di creta piene di cenere.

Cascetta ( francese caissette ) s.f., cassetta.

Cascettuna s. m., chi non riesce a tenere un segreto, delatore, spia.

Casciuna ( francese caisson ) s. m., cassone, grande cassa.

Casu ( latino casèus ) s. m., cacio, formaggio.

Catanannu ( greco kata + anno, katà + anno) agg., oltre gli anni, molto anziano, vecchio.

Catarrattu ( greco katarractos catarractos, katarrev catarreo ) s. m., imposta ribaltabile che mette in comunicazione due piani, botola.

Catarru ( latino catarrhus; greco catarrev catarreo.) s. m., catarro, raffreddore, gronda il naso.

Catricalà ( katorux katorux ) n. pr., sotterrato, nascosto ; costruttore di trappole. Cognome diffuso in Calabria.

Cattivo/a ( latino captivus ) agg., prigioniero. Nell’accezione dialettale vedovo cioè preso/a dal dolore per la morte del coniuge.

Catu ( latino cadus; greco kados -cados ) s.m., orcio, giara, urna; secchio.

Catuaiu ( greco katoikia catoichia ) s. m., sotto l’abitazione, sotterraneo, stalla.

Catusu ( arabo qadus ) s.m., tombino per la raccolta delle acque piovane, fosso di scolo.

Cazi s. m., calzoni, pantaloni.

Ccippieddhu ( latino cippus ) s. m., grosso ceppo di legno adibito a sedile.

Ceddharu ( latino cellarium ) s. m., dispensa, cantina.

Ce’haleddha ( greco kefalh kefalè ) n. pr., testa, capo. Ctr. di Girifalco

Cefaly ( greco kefalh kefalè ) n. pr., capo, testa. Cognome diffuso in Calabria.

Cerasaru ( francese cerisier ) s. m., la pianta di ciliegio.

Cerasu ( latino cerasum/cerasus; greco kerasion kerasion; francese cerise ) s. m., ciliegio, ciliegia.

Cerasi maiatichi s. m., ciliegie che maturano a maggio ( Maius ).

Ceravolo ( greco keraulhs keraules ) n. pr., suonatore di corno, incantatore di serpenti. Cognome diffuso in Calabria.

Cernìra ( latino cernere ) v., vagliare, separare, setacciare.

Cervieddhu ( francese chevrette) s. f., capretto.

Chiantara v., piantare, mettere a dimora una pianta.

Chiancatus ( latino vl. palanca/planca ) s. m., soffitta, palco fatto di tavole.

Chiatara v., mormorare, sparlare, criticare.

Chiatu (latino placitum; francese plait) s. m., critica, maldicenza, mormorazione, sussurro. F.: Chiatu e richiatu uattu juarni dura, la critica, il mormorìo dura non più di otto giorni.

Chicàra ( greco kicanv kai kichmi, chichano e chichemi; latino applicare ) v., approdare, arrivare, raggiungere.

Chippu ( greci epiploos epiploos e hpar hepar) s. m., pancia.

Ciaramidu ( greco keramis keramìs ) s. m., embrice, tegola.

Cicculatera s. f., vecchio utensìle di cucina che serviva per preparare il caffè.

Ciculijara ( francese chatouller ) v., solleticare.

Ciebba ( arabo gabiyah ) s. f., cisterna, serbatoio d’acqua, vasca per l’irrigazione.

Cinanaru ( latino cellularius ) s. m., nell’accezione dialettale colui che lavora la terra altrui.

Cirmieddhu ( greco kirba kirba ) s. m., piccolo sacco.

Cirriti s.m., funghi.

Cista ( latino cista ) s. f., cesta.

Cisteddha ( latino cestella ) s. f., cestella.

Ciucciu ( da ciocciare, poppare ) s. m., asino, animale che cioccia, poppa; persona stupida.

Coddàra ( latino caldarium/caldaria ) s. f., caldaia.

Coddhàru ( latino collare ) s. m., collare.

Cogghira ( francese cueillir ) v., cogliere, raccogliere; colpire, fare bersaglio. F.: Mi cogghìu ntra l’uacchiu, mi ha colpito nell’occhio.

Cognitu ( latino cognosco ) voce verb/agg., conosciuto, noto. F.: No llaju cognitu, non lo conosco.

Colaierni ( greco Ieros + kalos, ieros + kalos ) n. pr., forti, magnifici e sacri sacerdoti.Ctr di Girifalco.

Colèo ( greco kkalev, kalèo ) v., gridare, vociare.

Colèrcia s.f., tasca interna della giacca.

Colìra ( latino colère ) v., giovare, curare.

Combustibila ( latino comburo ) s. m., il necessario per vivere, cibaria, vettovaglie, provvista di generi commestibili.

Conaci ( greco eikvn eikon ) n. pr., icona, immagine sacra.Cognome presente in Calabria.

Coraddhi s. f., varicella, malattia ensematica caratterizzata dalla comparsa di papule vescicolari donde la voce dialettale.

Coratulu ( latino curator ) s. m., curatore, il capo degli operai di un frantoio e che ha la cura dell’opificio.

Corazzuna ( spagnolo corazon ) s. m., persona molto buona e generosa, dal cuore grande.

Cotraru/a ( latino quadratus/quadrarius, nel senso di robusto ) s.f., uomo giovane e forte, giovane, ragazzo..

Cotto (inglese coat) s. m., cotto, cappotto.

Cotulijara v., abbacchiare.

Cozzala ( da cuazzu, nuca ) s. m., villano, uomo rozzo, testardo.

Cramugghiera ( greco cremannumi – cremannumi ) s.f., catena che sosteneva la caldaia sul fuoco.

Crisara ( greco krhsera, cresera ) s. f., vaglio fine, utensìle d’uso domestico per separare la crusca dalla farina.

Criscè ( francese crochet ) s. m., uncinetto.

Crista ( latino crista ) s. f., cresta.

Cristofaro ( latino Christifer ) s. m., che porta il Cristo. Cognome presente in Calabria.

Crivu ( latino cribum ) s. m., crivello, setaccio sia di vimini sia di metallo.

Crocchetto ( francese crochet ) s. m., gancio ( per affibbiare i vestiti ) .

Cruaccu (francese croc; germanico krokr ) s. m., gancio, uncino, in modo specifico pertica adunca per tirare a sé i rami degli alberi.

Crucijara ( latino crucio ) v., tormentare, angustiare. Nell’ accezione dialettale ha acquisito anche l’ idea di movimento con riferimento alla “ Via Crucis “ e quindi farsi vedere, apparire, spuntare… da lontano. F.: Ancora non si vida nuddhu cruciàra, ancora non si vede nessuno arrivare/apparire.

Crustuli ( latino crustulum ) s. m., dolci fatti in casa.

Cuacciu ( greco kokkos coccos; latino coccum ) s. m., chicco, granello, seme; forunculo, pustola maligna, carbonchio.

Cuaddhu s.m., collo.

Cuazzu s. m., nuca.

Cucchia s. f., coppia.

Cuccuma ( latino cuccuma, cuccumella ) s. f., brocca, tazza arrotondata.

Cucùddhu ( latino cucullio ) s. m., cappuccio, bozzolo.

Cucuzza (latino cucutia) s. f., zucca.

Cudiespina ( greco oikodespoina oicodespoina ) s. f., padrona della casa, donna che ha cura della casa, buona amministratrice della casa, laboriosa.

Cugnata ( francese cognèe) s. f., scure. F:: A darvuru cadutu ognunu curra cu la sua cugnata…ad albero caduto ognuno corre con la sua scure.

Cumbijara ( latino…ire ) v., intimare, mandare, inviare qualcuno verso/a: Frs:: Lu cumbijau a la scola, lo fece andare a scuola.

Cumparira ( latino comparere ) v., apparire, fare bella/buona figura.

Cundima ( latino condimentum ) s. f., condimento, condire, olio, qualsiasi genere di condimento.

Cunfrunta ( latino cum fronte) s. f., incontro. Vedi pure affruntata .

Cunzulu ( latino consolor ) s.m., consolazione, conforto; pranzo che i vicini di casa a sera portano ai familiari di un defunto.

Cuofina ( greco kofinos cofinos; latino cophinus ) s. f., corba, corbello; contenitore di fibra vegetale usato nei vecchi frantoi nell’operazione di spremitura delle olive.

Cuoppu s. m., antica misura corrispondente alla 32.ma parte di un tomolo.

Cupara ( francese couper ) v., cavare, scavare; eliminare, ammazzare.

Cupeta ( arabo qubbaita ) s. f., dolciume preparato con miele e noccioline.

Curciu/i ( latino curtus ) agg., accorciato, monco; frutto del castagno selvatico, quindi, non innestato.

Curnazza ( latino corona ) s. f., strofinaccio che, raccolto a mo’ di corona, veniva sistemato sulla testa per attutire il peso delle cose che venivano trasportate.

Curramara ( latino ramus ) v., abbacchiare le ulive, le noci.

Currija ( latino corrigia; francese courroie ) s.f., correggia, cinta.

Curtagghia ( greco cortos cortos, cortazv cortazo; latino cohortalis) s. f., letame; della corte, che appartiene alla corte e da qui l’etimo di Cortale (R. Barillà).

Curupu ( greco kouroupion kouroupion; kvrukos korucos ) s. m., piccolo vaso di creta ; appellativo dispregiativo.

Custura ( francese couture; spagnolo costura ) s. f., cucitura, cucito. F.: De custura mi siervu de…, per farmi cucire i vestiti vado da…

Custuriari ( francese couturier ) s.m., sarto.

Cutuleo ( greco kotillo kotillo ) s. m., chiacchierìo, parlottìo.

Cuturni ( greco kotornos cotornos ) s. m., cotorno, gambaletti di lana grezza che portavano i contadini. Ricordiamo i cuturnati Achei.

Cuverira ( latino cooperire; francese couvrir ) v., coprire, nascondere; se riferito agli animali: accoppiarsi, ingravidare.

Cuzzica ( latino cuticula, cutis ) s. f., crosta della pelle.

Cuzzupa ( greco volgare koutsoupon koutsoupon ) s.f., dolce pasquale ornato di uova sode.

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D

Ddramma ( greco dracmh dracmè; latino dracma ) s. f., moneta greca; una piccola quantità di…Fr.: Dammi na ddramma d’acqua, dammi una goccia d’acqua.

Dècatu ( latino decem ) s. m., gruppo di dieci fili del telaio; nell’accezione dialettale il bandolo della matassa.

Decucchia avv., di corsa, di fretta, subito.

Deiunu ( latino ieiunum; francese à jeun/ jeune ) agg., digiuno.

Depeda ( latino pes pedis ) av., daccapo, nuovamemte, dall’inizio.

Deprattu av., all’improvviso, imbattersi/scontrarsi con qualcosa o qualcuno non scorti in tempo.

Deprescia ( francese depecher ) avv., in fretta.

Derriedi ( francese derrière ) avv., dietro, a tergo, alle spalle.

Dibbusciatu ( francese debauché ) s. m., dissoluto, scioperato, libertino, vizioso.

Doravanti/Doranavanti ( francese dorenavant ) avv., da ora in avanti.

Drincara/drink ( inglese to drink ) v., bere, fare un brindisi, bere alla salute di..

Dubriettu ( francese doubler ) s. m., la tipica ampia gonna delle donne in costume che dopo averla piegata e ripiegata la mandavano indietro a mò di coda.

Duvavieddhi/Duvavua ( latino ad ubi velles ) lcz. avv. , in nessun luogo/dovunque tu voglia.

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E

Eiati! ( dal latino eatis, 2^ pers. pl. del cong. prs. del verbo eo ? Livio, Virgilio ed altri poeti usano questa voce verbale nel significato di invitare qualcuno, o stimolarlo ad affrettarsi ) v . , sbrigati!, alzati!, fai presto!, affrettati!

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F

Faga ( greco efagon efagon aor. di esqiv estio ) n. pr., cognome diffuso in Calabria.

Fasceddha ( latino fiscella ) s. f., contenitore cilindrico intessuto di giunchi usato dai pastori per alcuni prodotti caseari freschi, formaggio e ricotta.

Fermatura ( francese fermeture ) s. f., serratura, chiusura.

Forfè ( francese forfait ) , cottimo, qualcosa di imprecisato. Tipico contratto che una volta veniva stipulato tra utente e la società erogatrice di energia per l’illuminazione. Nella parlata corrente ha acquisito il significato di percossa, di cazzotto. Fr. Ti dau nu forfait ! Ti dò… un cazzotto !

Forgiaro ( francese forgeron ) s. m., fabbro.

Fraia ( latino fragor? ) s. f., imprecazione, bestemmia.

Framonia s.f., sussulto.

Franciscu ( latino Franciscu<s>) s. m., Francesco.

Fratamma ( latino frater + il possessivo ma ) s. m., mio fratello.

Friscatularu s. m., persona frettolosa

Friscatuli ( latino frixura ) n.dif., polenta cioè impasto di farina di mais,acqua sale e condimenti, amalgamato in padella (fressura).

Friscanzana ( latino frigor ) s. f., vento forte e freddo.

Fressura ( latino frixura, frixorium ) s. f., padella usata per le fritture.

Frunda ( latino frons, frondis ) s. f., le foglie del gelso che vengono date in pasto al filugello.

Frusta s. f., il mettersi in evidenza in modo indecente, farsi notare per incompostezza.

Frustara ( latino frustro ) v., sparlare, criticare, dire maldicenze nei confronti degli altri.

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G

Galipu ( arabo qalib ) s. m., garbo, maestria, destrezza.

Ganga ( germanico wango ) s. f., guancia.

Gangularu s. m., mascella inferiore, mento.

Gargia ( latino gurges ) s. f., bocca grande, in senso dispregiativo.

Garzu ( francese garz ) s. m., amante, mantenuto.

Garzuna ( francese garçon ) s. m., giovane di bottega, servo, a servizio di qualcuno.

Gghella ( inglese girl ) s. f., ragazza, signorina, fidanzata.

Gghenga ( inglese gang ) s. f., banda di malviventi, combriccola.

Gghiommari ( latino glomus, glomeris ) s. m., gomitoli. Fr.: Mu ‘hili no ffili, mu tiassi no ttiassi sti gghiommari de duva ti venanu?, non fili, non tessi ( non lavori ) come fai ad avere questi gomitoli ( a vivere )?

Gileppu ( arabo gulab ) s. m., giulebbe, soluzione acquosa densamente zuccherata che serve per annaspare alcuni tipi di dolci.

Giobba ( inglese job ) s. f., lavoro, impiego, impresa.

Giugniettu ( francese iuliet ) s. m., il mese di Luglio.

Gnirru ( rimanda al grugnito del suino e, quindi, onomatopeica ) s. m., maialino, porcellino.

Gorgia ( francese gorge ) s. f., gola, gozzo; vano del mulino ad acqua dove è sistemata la grande ruota.

Gramuna ( greco dermonion dermonion ) s. m., vaglio con la graticola larga formata sia con fili metallici sia con fili fibra vegetale. Un tempo la graticola veniva fatta con fili di pelle donde l’etimo greco.

Granatu ( latino malum granatum ) s. m., melagrana.

Graniscu ( greco Ouranos Ouranòs ) s. m., volta celeste, il cielo della bocca, palato.

Grattà ( greco grafo grafo ) n. pr., scrivano. Cognome diffuso in Calabria.

Gregna ( latino gremium ) s. f., fascio di spighe.

Guaddhara ( arabo adara ) s. f., ernia.

Grasta ( greco gastra gastra ) s. f., vaso panciuto, secchia.

Grippa ( francese grippé ) s. f., increspatura, crespa, grinza, ruga.

Grupu ( greco truph trupe ) s. m., buco, foro.

Gugghia ( francese aiguille ) s. f., ago. F.: Vò mmu trova a gugghia ntro pagghiaru, vuole trovare l’ago nel pagliaio!

Gurna ( greco gourna gurna ) s. f., pozzanghera, deposito d’acqua, vasca d’acqua adibita all’irrigazione.

Gurnala s. m., l’incavo o la fossa piena d’acqua all’estremità di un canale d’irrigazione.

Guttaru ( latino gutta; francese ègoutture ) s. m., gocciolìo, stillicidio. In particolare il gocciolìo intermittente che scende da una fessura apertasi nel tetto. Fr.: Gutta cavat lapidem,la goccia scava la pietra!

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‘H

‘Hagu ( latino fagus ) s. m., faggio.

Hamampuli ( greco klhmampelon, clemampelon; klhmatis, clematis ) s. m., raspo d’uva.

‘Hamazza ( greco khamai khamai; latino favacea residui di fave ) s. f., rifiuti, residuati/avanzi di vegetali.

‘Hàmicia ( latino famex ) s. m., la parte più stretta della scarpa.

‘Harafhuli s.m., favole.

‘Hialona ( greco chlone ‘helone ) s. f., tartaruga.

‘Hiannacca ( arabo hannaka ) s. f., la tipica collana di coralli che un tempo portavano le donne.

‘Hìcatu ( latino ficatum ) s. m., fegato; in particolare fegato d’oca ingrassato con fichi.

‘Higghiumma s.m., figlio mio.

‘Hilici ( latino filix, filicis ) s.m., felce.

’Hinò ( greco fanos fanòs e faino faino ) s. m., lucernario rudimentale praticato nel tetto spotando una tegola.

‘Hiocca ( greco kokla cocla ) s. f., chioccia.

‘Hocigghiu ( latino falcicula ) s. m., falce.

Hoddhala/’Hoddhalicchia ( antico provenzale faudal ) s. m., grembiule.

‘Holèa ( greco foleos foleos ) s. f., tana, giaciglio, nido.

‘Hora ( latino foras fuori ) avv., fuori, nella fattispecie in campagna. F.: Jimma ‘hora, siamo andati in campagna.

‘Horchia ( latino furcula ) s. f., tana della volpe.

‘Horgia ( francese forge ) s. f., fucina.

‘Horgiaru ( francese forgeron ) s. m., fabbro ferraio.

‘Hundìra ( latino fundere ) v., versare, spargere, spandere, lasciare andare; in particolare di un contenitore che perde, non trattiene i liquidi.

Hundacu ( arabo funduq ) s. m., fondaco, deposito di merci destinate al commercio.

‘Hundu ( latino fundus ) s. m., fondo rustico, podere, tenuta.

‘Hurca ( latino furca ) s. f., forca.

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I

Iacina ( latino iaceo ) s. m., giaciglio, letto degli animali, un letto disadorno.

Iamuninda ! voce verbale, andiamocene!

Ianea ( greco genea gheneà ) s. f., progenie, famiglia, stirpe. La “ Pietra de la Ianea “ in ctr Bosco Farnoso di Sotto in agro di Girifalco sulla quale vi è l’iscrizione greca gnai ghenai.

Inchira ( latino implere ) v., empire, riempire, colmare; aizzare, incitare contro qualcuno.

Intrallandi ( inter+ il tedesco land? ) s. m., i punti che danno i sarti nella fase di cucitura di una giacca.

Ioculano/a ( latino iocularis, iocosus ) agg., giocoso, scherzevole.

Iuncu ( latino iuncus ) s. m., giunco.

Iungira ( latino iungo ) v., unire, congiungere, attaccare.

Iuppuna ( francese jupon ) s. f., corpetto.

Iuvu ( latino iugum ) s. m., giogo.

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J

Jenca ( latino iuvenca ) s. f., giovenca.

Jervasili ( greco ieros+basileus, ieròs+basileus ) n. pr., fiume nel comune di Girifalco.

Jettara ( francese jeter ) v., gettare, buttare; riprodursi ( riferito alle piante ), rigenerarsi.

Jijitu ( latino digitus ) s. m., dito.

Jira ( latino ire ) v., andare.

Juacu ( latino iocus ) s. m., scherzo, burla, celia, gioco.

Juavi ( latino Iovis ) s. m., giovedì, giorno della settimana.

Jumenta ( latino iumentum ) s. f., giumenta.

Jungiuta ( latino iungo ) v. pp., unita, contigua, riattaccata, adiacente; chi convive more uxorio, senza alcun legame sia di cattere civile sia di carattere religioso.

Junta ( latino iunctus ) s. f.,quantità contenuta nel concavo delle mani congiunte.

Jussu ( latino ius ) s. m., diritto, giustizia; consuetudine, complesso di usi e costumi.

Jusu ( latino iusum ) avv., in giù, in basso, a terra, sotto.

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L

Laccu ( greco lakkos laccos; latino lacus ) n. pr., ctr. di Girifalco, morfologicamente in depressione e ricca di acqua.

Lanceddha ( latino lanx, lancella, lancicula ) s.f., anfora, brocca di terracotta.

Lapparu ( greco laparos laparos ) s. m., carne floscia.

Lattuca ( latino lattuca ) s. f., lattuga.

Levara ( latino levo, levare ) v., levare, cacciare, togliere, alzare. Nell’ accezione dialettale ha acquisito i significati di portare, di condurre e di condurre all’altare cioè sposare. F.: Tizio levau a Caia, Tizio sposò Gaia.

Levatricia ( latino levo, levare ) s. f., che leva, toglie, solleva…nella fattispecie ostetrica.

Lignaru ( latino lignarius, a, um ) s. m., deposito di legna, legnaia.

Limba ( greco limnh limne e limpa limpa ) s. f., grande vaso slabbrato, scodella.

Lindina ( latino lens lendis ) s.f., lendine, ovo di pidocchio.

Lippusu ( greco lipos lipos ) agg., limoso, mucoso; lippi, materia verde in sospensione sulle acque stagnanti.

Lissìa ( latino lix/lixa/lixius/lixiva; greco luo -luo ) s.f., acqua bollente e cenere che veniva versata sul bucato; ranno.

Litra ( greco litra litra ) s. f., misura locale per liquidi, in particolare per l’olio, corrispondente a cinque quarti di litro.

Litu ( greco litos lithos ) s. m., la caratteristica renella trasportata dall’acqua, fango, melma.

Locommondo ( latino locus+immondus ) s. m., latrina, cesso, gabinetto.

Lorca ( latino lurco, onis ) s. f., ingorda, avida, insaziabile.

Lumera ( francese lumiére ) s. f., lume, lucerna, rudimentale ed antica lampada ad olio.

Luntruna s. m., vagabondo, uomo ozioso; uomo sporco, sudicione, schifoso.

Lupareddha ( greco luph kai luphma , lupe e lupema ) s. f., afflizione, dolore.

Lupieddhu ( greco luph lupe ) s. m., pustola maligna, carbonchio del bestiame.

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