Domenica 25 Aprile 2010 alle prime luci dell’alba il carissimo ed amatissimo dottore Salvatore Pacileo ci ha lasciati! Una malattia, che sin dall’inizio del suo apparire si mostrò ribelle a tutti i ritrovati della Scienza andando manifestandosi giorno dopo giorno nella sua implacabile recrudescenza, da un quinquennio lo aveva inchiodato a letto. Tutte le volte che ci siamo trovati in Piazza Umberto I° ed abbiamo alzato gli occhi a quel balcone abbiamo provato una forte fitta al cuore pensando al dramma umano che andava svolgendosi dietro quelle imposte socchiuse!Le sofferenze chiamato a sopportare gli valgano dinnanzi al Buon Dio quale catarsi redentrice dell’umana fragilità di cui ciascuno di noi è portatore! In paese, anche se il triste evento era più che temuto, la sua dipartita è stata motivo di profonda commozione e perchè ciascuno è andato con il pensiero alle sofferenze patite e per il personaggio in se stesso. Che il dott.Pacileo sia stato una persona rispettabilissima e molto stimata si è avuta la prova alla celebrazione delle sue esequie, una folla di estimatori, conoscenti ed amici sia del luogo sia accorsi dai paesi viciniori gremiva Piazza Umberto I° in attesa che avessero termine le esequie in chiesa e potesse porgere, quindi, l’estremo saluto alla salma ed esprimere alla famiglia – sorelle, fratello, cognati, nipoti e parenti tutti – le più sentite condoglianze.

Durante la difficile e dolorosa ultima fase della sua esistenza innumerevoli sono stati coloro che si sono portati da lui per manifestargli la loro vicinanza. E lui accoglieva tutti con la sua abituale e nota serenità, bonarietà, cordialità! Le volte – poche in verità e sinceramente ce ne rammarichiamo- che siamo andati a manifestargli la nostra premura, non solo quella nostra, i nostri occhi fissandosi a vicenda brillavano e i nostri cuori si inondavano di vaga tristezza!

Quanto e come avremmo desiderato essere dotati dell’estro poetico e quindi far sì che la nostra Musa si sciogliesse in un canto inneggiante alla signorilità, alla cordialità, alla bontà, alla dirittura morale, chi più ne ha ne metta!, tutte qualità personali che il dott. Pacileo assommava in sé! Pura retorica la nostra? Niente affatto! Di certo non la ritengono tale tutti coloro che l’hanno conosciuto ed hanno avuto modo di apprezzare le sue squisite ed ottime qualità morali.

Il dottore Pacileo era un vero signore, dotato di modi gentili con i quali si poneva con tutti, senza alcuna distinzione. Il suo modo di agire, di fare non era esteriorità, o apparenza, era il suo modus vivendi ed era spontaneo e sincero. Era una persona di parola e per questo ispirava fiducia e simpatia. In paese godeva della massima considerazione, prova ne siano i molti e molti giovani che lo hanno scelto quale loro padrino nel ricevere il Sacramento della Cresima e ancora i molti neonati tenuti da lui al Fonte battesimale. Nel dottore Pacileo si vedeva un modello di dirittura morale! L’occasionale visitatore del nostro sito nel leggerci potrebbe essere indotto ad immaginare un personaggio su di un piedistallo intorno al quale ci si girava, niente di tutto questo! Il dottore Pacileo era una persona socievole e…democratica. Persiste dinnanzi ai nostri occhi la sua gioviale figura, sempre di buon umore. Si accompagnava con tutti, fossero giovani o non, titolati o illetterati, professionisti o artigiani, trattava tutti con la medesima cordialità. Sembra di vederlo nel bar, luogo d’incontro d’altri tempi, a farsi la partita a briscola, passatempi di una volta, con il primo avventore che trovava o che sopraggiungeva nel locale.

Si era specializzato in Psichiatria ed aveva conseguito il Diploma Universitario di Direzione Tecnica-ospedaliera. Svolse per circa un quarantennio la sua attività professionale di psichiatra nell’ex OPP( Ospedale Psichiatrico Provinciale) di Girifalco e percorse tutti gli stadi della carriera sino ad essere incaricato della direzione del nosocomio. Le teorie di Basaglia sfociate nella “180″ non lo colsero di sorpresa. Sin dal suo ingresso nell’ex Psichiatrico aveva instaurato con i ricoverati a lui affidati un rapporto di cordialità, di amicizia e soprattutto di fiducia. Le sue apparizioni nei reparti dell’ospedale venivano accolte dai degenti con evidenti manifestazioni di gioia. Il dottore Pacileo si intratteneva in mezzo a loro, amico fra amici, li ascoltava, dialogava e nel frattempo condivideva con loro il piacere di una sigaretta che lui stesso offriva, ma ogni tanto non disdegnava di sfilarla dal pacchetto che il ricoverato con insistenza gli porgeva.

Fu un professionista che tenne alto il nome di Girifalco. La fama di bravo psichiatra ben presto si diffuse. Il suo studio di Girifalco era meta di pazienti provenienti da paesi anche molto lontani. Ebbe un’attività professionale molto intensa con il suo studio a Crotone, le consulenze a Villa Puca e all’ ex Sanatorio di Chiaravalle Centrale.

Sino a quando le disposizioni legislative vigenti glielo consentirono esercitò la professione libera quale medico di base riscuotendo consensi, stima e fiducia. Il suo studio privato, infatti, era meta di pazienti che si portavano da lui come se andassero dallo specialista. E svolse tale attività, di medico generico, all’insegna del servizio, infatti, non è stata mai notata in lui ombra di venalità, anzi spesso, principalmente nei casi di bisogno, forniva ai pazienti i farmaci necessari.

Da queste colonne rinnoviamo a tutti i familiari le nostre più vive e sentite condoglianze facendo presente che il loro amatissimo congiunto, della cui amicizia ci siamo sentiti sempre onorati da contrarre con il Sacramento della Confermazione la parentela spirituale, continuerà ad essere nel nostro cuore, nella nostra memoria, nelle nostre preghiere.

Domenica 25 Aprile 2010 alle prime luci dell’alba il carissimo ed amatissimo dottore Salvatore Pacileo ci ha lasciati! Una malattia, che sin dall’inizio del suo apparire si mostrò ribelle a tutti i ritrovati della Scienza andando manifestandosi giorno dopo giorno nella sua implacabile recrudescenza, da un quinquennio lo aveva inchiodato a letto. Tutte le volte che ci siamo trovati in Piazza Umberto I° ed abbiamo alzato gli occhi a quel balcone abbiamo provato una forte fitta al cuore pensando al dramma umano che andava svolgendosi dietro quelle imposte socchiuse!Le sofferenze chiamato a sopportare gli valgano dinnanzi al Buon Dio quale catarsi redentrice dell’umana fragilità di cui ciascuno di noi è portatore! In paese, anche se il triste evento era più che temuto, la sua dipartita è stata motivo di profonda commozione e perchè ciascuno è andato con il pensiero alle sofferenze patite e per il personaggio in se stesso. Che il dott.Pacileo sia stato una persona rispettabilissima e molto stimata si è avuta la prova alla celebrazione delle sue esequie, una folla di estimatori, conoscenti ed amici sia del luogo sia accorsi dai paesi viciniori gremiva Piazza Umberto I° in attesa che avessero termine le esequie in chiesa e potesse porgere, quindi, l’estremo saluto alla salma ed esprimere alla famiglia – sorelle, fratello, cognati, nipoti e parenti tutti – le più sentite condoglianze.

Durante la difficile e dolorosa ultima fase della sua esistenza innumerevoli sono stati coloro che si sono portati da lui per manifestargli la loro vicinanza. E lui accoglieva tutti con la sua abituale e nota serenità, bonarietà, cordialità! Le volte – poche in verità e sinceramente ce ne rammarichiamo- che siamo andati a manifestargli la nostra premura, non solo quella nostra, i nostri occhi fissandosi a vicenda brillavano e i nostri cuori si inondavano di vaga tristezza!

Quanto e come avremmo desiderato essere dotati dell’estro poetico e quindi far sì che la nostra Musa si sciogliesse in un canto inneggiante alla signorilità, alla cordialità, alla bontà, alla dirittura morale, chi più ne ha ne metta!, tutte qualità personali che il dott. Pacileo assommava in sé! Pura retorica la nostra? Niente affatto! Di certo non la ritengono tale tutti coloro che l’hanno conosciuto ed hanno avuto modo di apprezzare le sue squisite ed ottime qualità morali.

Il dottore Pacileo era un vero signore, dotato di modi gentili con i quali si poneva con tutti, senza alcuna distinzione. Il suo modo di agire, di fare non era esteriorità, o apparenza, era il suo modus vivendi ed era spontaneo e sincero. Era una persona di parola e per questo ispirava fiducia e simpatia. In paese godeva della massima considerazione, prova ne siano i molti e molti giovani che lo hanno scelto quale loro padrino nel ricevere il Sacramento della Cresima e ancora i molti neonati tenuti da lui al Fonte battesimale. Nel dottore Pacileo si vedeva un modello di dirittura morale! L’occasionale visitatore del nostro sito nel leggerci potrebbe essere indotto ad immaginare un personaggio su di un piedistallo intorno al quale ci si girava, niente di tutto questo! Il dottore Pacileo era una persona socievole e…democratica. Persiste dinnanzi ai nostri occhi la sua gioviale figura, sempre di buon umore. Si accompagnava con tutti, fossero giovani o non, titolati o illetterati, professionisti o artigiani, trattava tutti con la medesima cordialità. Sembra di vederlo nel bar, luogo d’incontro d’altri tempi, a farsi la partita a briscola, passatempi di una volta, con il primo avventore che trovava o che sopraggiungeva nel locale.

Si era specializzato in Psichiatria ed aveva conseguito il Diploma Universitario di Direzione Tecnica-ospedaliera. Svolse per circa un quarantennio la sua attività professionale di psichiatra nell’ex OPP( Ospedale Psichiatrico Provinciale) di Girifalco e percorse tutti gli stadi della carriera sino ad essere incaricato della direzione del nosocomio. Le teorie di Basaglia sfociate nella “180″ non lo colsero di sorpresa. Sin dal suo ingresso nell’ex Psichiatrico aveva instaurato con i ricoverati a lui affidati un rapporto di cordialità, di amicizia e soprattutto di fiducia. Le sue apparizioni nei reparti dell’ospedale venivano accolte dai degenti con evidenti manifestazioni di gioia. Il dottore Pacileo si intratteneva in mezzo a loro, amico fra amici, li ascoltava, dialogava e nel frattempo condivideva con loro il piacere di una sigaretta che lui stesso offriva, ma ogni tanto non disdegnava di sfilarla dal pacchetto che il ricoverato con insistenza gli porgeva.

Fu un professionista che tenne alto il nome di Girifalco. La fama di bravo psichiatra ben presto si diffuse. Il suo studio di Girifalco era meta di pazienti provenienti da paesi anche molto lontani. Ebbe un’attività professionale molto intensa con il suo studio a Crotone, le consulenze a Villa Puca e all’ ex Sanatorio di Chiaravalle Centrale.

Sino a quando le disposizioni legislative vigenti glielo consentirono esercitò la professione libera quale medico di base riscuotendo consensi, stima e fiducia. Il suo studio privato, infatti, era meta di pazienti che si portavano da lui come se andassero dallo specialista. E svolse tale attività, di medico generico, all’insegna del servizio, infatti, non è stata mai notata in lui ombra di venalità, anzi spesso, principalmente nei casi di bisogno, forniva ai pazienti i farmaci necessari.

Da queste colonne rinnoviamo a tutti i familiari le nostre più vive e sentite condoglianze facendo presente che il loro amatissimo congiunto, della cui amicizia ci siamo sentiti sempre onorati da contrarre con il Sacramento della Confermazione la parentela spirituale, continuerà ad essere nel nostro cuore, nella nostra memoria, nelle nostre preghiere.

Doveroso ed affettuoso omaggio alla memoria di un amico

Larga eco ha avuto la scomparsa di Pietro Defilippo avvenuta il 17 Febbraio 2010, prova n’è stata sia la partecipazione corale della popolazione sia la presenza alle esequie degli innumerevoli estimatori, conoscenti ed amici accorsi da ogni parte della regione. Nei due giorni di veglia della salma in casa fu un continuo affluire di gente senza distinzione di sesso, di età e di condizioni sociali, tutti a tributare un doveroso omaggio alla memoria dell’estinto e ad esprimere, ciascuno, i segni di affettuosità e di solidarietà alla famiglia. Di Pietro Defilippo non facilmente si traccia, anche a grandi linee, un profilo-ricordo. Dinnanzi ad una vita così intensamente vissuta, dinnanzi ad un personaggio che per un quarantennio da primo attore dominò la scena politico-amministrativa della cittadina, particolarmente sotto l’emozione del momento, sentiamo la nostra inadeguatezza a farne una sintesi! E nè siamo del parere secondo il quale quanto più sia noto un personaggio tanto più con facilità se ne possa parlare, scrivere! Lasciamo ad altri questo compito, allo storiografo del domani che nello stendere gli “Annali” della nostra cittadina non può prescindere dalla figura di Pietro Defilippo!

Pietro Defilippo si affacciò alla vita politico-amministrativa nel Novembre del 1960, si rinnovava il Consiglio Comunale. Eravamo su posizioni contrapposte, Lui guidava la lista di centro-destra, contrassegnata con lo “Scudo Crociato”, mentre noi eravamo schierati a sinistra con una lista di concentrazione democratica e popolare nella quale erano confluiti socialisti, comunisti e indipendenti di sinistra, contrassegnata con il simbolo di una “Tromba”, ai tempi assunta a simbolo di riscossa e di rinnovamento del Mezzogiorno d’Italia. La Lista dello”Scudo Crociato” prevalse su quella della “Tromba” e Pietro Defilippo fu eletto Sindaco, carica che salvo qualche interruzione mantenne sino alle soglie del Terzo Millennio.

All’epoca la lotta politica era aspra, dialetticamente dura, forte. Nonostante tutto Pietro Defilippo non si lasciò prendere la mano, inorgoglire dai successi elettorali, non cercò mai, anzi evitò sempre lo scontro fine a se stesso. Fu sempre per il dialogo e si mostrò aperto, disponibile ad esaminare, accogliere i suggerimenti, le proposte da qualunque parte provenissero.

Non esageriamo se diciamo che Pietro Defilippo era una persona carismatica. Nell’arco di un quarantennio godette della simpatia popolare e nelle consultazioni che nel tempo si sono susseguite il corpo elettorale della cittadina gli fu sempre più generoso di consensi. Il suo carisma era in dipendenza della sua ampia e sollecita disponibilità verso tutti, senza distinzione di colore politico. Era pronto a rendersi utile in qualsiasi situazione che gli venisse prospettata o che della quale fosse venuto a conoscenza per vie indirette. Si faceva in quattro per rendersi utile ricorrendo alle sue aderenze, alle sue conoscenze, alla sua esperienza sia di uomo politico sia di amministratore e a mettere spesso qualcosa di suo, di proprio, anche quando questo gli poteva costare sacrificio personale!

Svolse a pieno la parte che la sorte gli aveva assegnato. Figlio del suo tempo e come tale interpretò i bisogni, le esigenze della comunità, la cui soluzione, soddisfazione al tempo avevano un alto valore e costituivano una importante conquista sulla via del progresso e del riscatto sociale delle popolazioni!

All’epoca, al pari di quasi tutte le comunità del Mezzogiorno d’Italia, la nostra cittadina esprimeva, ancora nel XX° secolo!, esigenze che ai nostri giorni non sono ritenute tali in quanto all’oggi facenti parte di una problematica di ordinaria amministrazione! Erano i servizi sociali di cui le comunità delle regioni meridionali andavano carenti. E i vari governi nazionali che si sono avvicendati cercarono di affrontare questi problemi sociali con provvedimenti legislativi ad hoc quali l’Ente Sila, la Cassa per il Mezzogiorno, la Legge Speciale per la Calabria, gli Interventi Straordinari, ecc. A fronte, però, vi era una pressione di richieste che spesso vanificavano la consistenza dei predetti strumenti legislativi. E Pietro Defilippo seppe destreggiarsi nei meandri della burocrazia, comportarsi con abilità ed accortezza nel groviglio degli articoli delle Leggi vigenti, arrivare nella stanza…dei bottoni. Ed ecco l’ammodernamento ed estensione sia della rete idrica urbana sia della rete fognaria, la realizzazione degli acquedotti rurali, la pavimentazione delle strade interne ed esterne, gli edifici scolastici per tutte le scuole allora funzionanti nel centro abitato e nelle contrade rurali, il Piano di Fabbricazione e la Caserma dei Carabinieri.

Con Pietro Defilippo non siamo stati sempre su posizioni politiche contrapposte. Negli anni ’80, Lui Sindaco, sedemmo nella stessa Giunta Comunale di coalizione di centro-sinistra. Abbiamo avuto modo di sperimentare e fare tesoro della sua lunga esperienza amministrativa, della sua profonda conoscenza delle disposizioni legislative, della sua oculatezza nell’operare. E queste sue particolari capacità costituivano – perchè non riconoscerlo? – garanzia per tutti noi! Per quanto ne possiamo sapere, non un solo suo atto amministrativo risultò inficiatio! Non un solo suo atto deliberativo fu respinto dagli organi regionali di controllo! Collaborare con Pietro Defilippo, all’interno di una Giunta Comunale, era veramente un piacere! Non vi era ombra di prevaricazione, o fuga in avanti. Il Sindaco Defilippo stimolava, apprezzava le capacità dei singoli, promuoveva la collaborazione.

Ebbe un optimus cursus honorum, svolse attività politico-amministrative ai vari livelli. Infatti, oltre a ricoprire per decenni la carica di Sindaco di Girifalco presiedette la Comunità Montana “Fossa del Lupo”, fece parte della Commissione Regionale per l’applicazione della Legge”285″, rappresentò nell’UNCEM le Comunità Montane della Calabria e fece parte degli organi provinciali dell’ex D.C.

Ma Pietro Defilippo non fu solamente l’uomo politico, o l’amministratore!

Da Priore resse la Confraternita del SS.mo Rosario. Era anche un professionista, il farmacista del paese! Era anche l’amico, l’uomo della quotidianità!

Con la Confraternita del SS.mo Rosario, come istituzione, Pietro Defilippo aveva un rapporto particolare. La Congrega, così come comunemente viene denominata la Chiesa del Rosario, ce l’aveva nel sangue! Un suo prozio di parte paterna, Don Michele, nel Secolo XIX° fu Padre Spirituale del Sodalizio Religioso e lo stesso Pietro Defilippo negli anni ’80, in seguito al rinnovo delle cariche sociali, subentrò quale Priore al suocero, don Michele Catuogno, che per molto tempo aveva retto la Confraternita. Il Priorato del farmacista Defilippo si pose sempre all’attenzione delle Autorità Diocesane. Alcuni anni or sono, infatti, alla Confraternita del SS.mo Rosario fu demandato il compito di organizzare in Girifalco il raduno di tutte le Confraternite della Diocesi. Il Priorato di Pietro Defilippo va ricordato per aver restituito alla comunità di Girifalco, dopo i lavori di restauro e di consolidamento protrattisi per oltre un decennio, una Chiesa che alla sua riapertura destò e continua a destare tuttora l’ammirazione della popolazione.

Pietro Defilippo, quale farmacista, godeva di particolare reputazione nell’ambito della categoria e costituiva un punto di riferimento per l’ Ordine Provinciale dei Farmacisti. Tanto è che quando andò in pensione l’Ordine lo insignì della Medaglia d’oro.

Il farmacista Defilippo svolse la sua attività professionale all’insegna del servizio sociale. Sempre pronto, sollecito a soddisfare ogni richiesta. Il cartello-orario esposto alla vetrata della farmacia era una pura e semplice formalità, in pratica per Lui non vi erano limiti di orario nè questione di turnazione notturna. Per quanto noi sappiamo in nessun caso, specialmente in quelli d’urgenza, sono stati notati disappunto, malumore in Pietro Defilippo, il cui campanello di casa, sia di giorno sia di notte, si poteva far squillare con fiducia ed in assoluta tranquillità!

E la popolazione gli fu sempre grata e riconoscente!

Pietro Defilippo era l’uomo della quotidianità, delle abitudini semplici e viveva in mezzo ai concittadini che vantava, ed era vero!, di conoscerli uno per uno. Attaccava, come si suol dire, bottone con tutti.Aveva un modo particolare di mantenere ed instaurare rapporti amicali con chicchessia proponendosi con un approccio simpatico, cordiale, tutto suo. Passando dalla farmacia ci mancherà per molto, fino a quando l’inesorabile scorrere del tempo non ci abituerà allla sua scomparsa, l’affabile, bonaria, simpatica figura del farmacista Defilippo. Seduto alla solita sedia, al di là della vetrata, sia che entrassero in farmacia sia che li vedesse passare non ne lasciava uno senza che non lo avesse salutato, amichevolmente apostrofato, o che in alcuni casi non gli avesse chiesto notizie della famiglia……………………………………………………

Da queste colonne nel porre termine al sentito ed affettuoso omaggio alla memoria dell’ amico rinnoviamo alla famiglia i nostri profondi sentimenti di vicinanza rassicurandola che il suo congiunto continuerà ad essere presente nella nostra mente, nel nostro cuore, nelle nostre preghiere.

TeresinaEra un freddo pomeriggio di fine gennaio, per la cronaca il 22 gennaio 2010, un corteo, che andava infittendosi man mano che avanzava, si snodava per il Corso principale di Jacurso e mestamente si dirigeva verso la Chiesa Parrocchiale di San Sebastiano.

L’ ignaro automobilista che a quell’ora si è trovato a transitare per la SP, che in quel punto coincide con l’arteria della cittadina, subito dopo il disappunto iniziale per l’imprevisto e obbligato rallentamento nel suo andare provò meraviglia per quell’ assembramento di folla che gli si parava dinnanzi. Certamente ha dovuto pensare che si trattasse di un funerale, di esequie – si fa per dire – delle grandi occasioni! “Sarà stata una persona titolata, addottorata, una persona che godette in vita di autorevolezza presso i suoi concittadini!?!”

Si accompagnava all’estrema dimora Teresina Soverati. In vita non ebbe la fortuna di vantare titoli accademici. Ai suoi tempi non facilmente si andava avanti negli studi. A Iacurso, all’epoca, non vi erano tutte le classi della Scuola Elementare, che si concludeva con la frequenza della terza classe. Per conseguire la Licenza Elementare si dovevano frequentare le Scuole di Maida. Forte, però, era in lei il desiderio di apprendere e ciò che le era stato vietato, impedito in età scolare lo conseguì da adulta. Frequentò con encomiabile profitto tutti i Corsi che negli anni ’60 e ’70 furono istituiti a Jacurso, Corso di Scuola Popolare, Corso di Richiamo Scolastico, Corso di Cultura Popolare.

Se autorevolezza vuol dire credito e stima, Teresina Soverati era, sì, una persona autorevole presso i suoi compaesani. Era, infatti, un’artigiana stimata e come tale era tenuta in considerazione.

Era la primogenita di quattro sorelle e un fratello – la stessa Teresina, Giovanna, Elia Angela e Maria – rimaste nel tempo in tre sorelle, essendo Elia e Maria scomparsi rispettivamente nel 1954 e nel 1989. Abitavano con i genitori a la “Citatella” , al Timpone, la parte più alta dell’abitato, da dove, come da un balcone, il paesetto si affaccia sull’Istmo di Catanzaro.

La casa di mastro Peppa d’ Elia, il papà, alla “Citatella“, era un …porto di mare: le giovani sorelle Soverati cucivano, tessevano, impartivano lezioni private; mastro Peppa normalmente esercitava il mestiere di calzolaio, però, un giorno la settimana assumeva le vesti del barbiere, alla bisogna faceva il conciapelli e all’occorrenza non disdegnava di recarsi nei poderi di sua proprietà per i consueti lavori agricoli. Dalla casa delle sorelle Soverati era un andirivieni di gente. Questo era e fu il contesto nel quale la Nostra passò la giovinezza, tenore di vita che mantenne anche da sposata. Al matrimonio pervenne piuttosto tardi che presto, non perchè le mancarono le buone occasioni. Anzi. Teresina per la sua serietà e la sua laboriosità era un “partito” appetibile e molti furono i pretetendenti. Era molto difficile nella scelta. Infine la condusse all’altare l’ottimo Micuzzo Giliberti, al pari di Teresina laborioso, leale e sincero. La loro unione all’inizio sembrò che venisse allietata dal sorriso di bimbi, ma fu un sogno, una vana speranza ben presto concretizzatisi nella fugace apparizione di un angioletto desioso di tornare là da dove era venuto!

In paese era molto stimata ed era conosciuta quale ” la maìstra ” per antonomasia. E sì, a ragione. Teresina Soverati, o come pure era indicata con il patronimico Teresina de mastro Peppa d’ Elia, a ragione era detta la maìstra, cuciva perfino vestiti da sposa e la mattina della cerimonia nuziale aggiustava le spose. All’epoca i ricevimenti nuziali avvenivano in casa e a Teresina ricorrevano per la confezione dei dolci e dei liquori. A lei per la sua esperienza in merito si rivolgevano i genitori delle ragazze che stavano per sposarsi perchè fossero consigliati nella scelta e nella compera di tutto ciò che occorresse per la celebrazione del matrimonio, anche nella compera e nella scelta degli “ori”! Con Teresina Soverati è scomparsa una delle ultime rapprtesentanti di un’ epoca!

Sintomatico quanto in chiave anedottica si raccontava di Teresina: mamma e papà una mattina di inizio Luglio andarono alla “Trebbia” non senza aver prima raccomandato a Teresina, al tempo appena dodicenne, di non portare fuori la sorellina nata da giorni e perchè ancora non si era provveduto a farle una vestina. A la Cona, punto d’incontro e di riferimento del piccolo centro, si festeggiava e Teresina voleva andarci, ma non poteva lasciare incustodita in casa la sorellina. Cosa fa Teresina? Prende una sua veste e trovate un paio di forbici taglia e ritaglia, scuce, appunta e cuce, modella e rimodella e alla fine ne tira fuori una bella vestina e tutta giuliva e soddisfatta con la sorellina in braccio parte alla volta della Cona.

Cosa dire, cosa ricordare! Quante immagini, quante vicende di vita vissuta si squadernano nella nostra mente a mo’ di filmato! Tutte tacite testimonianze, che teniamo segrete nei nostri cuori e fisse nelle nostre menti, delle sue qualità di donna intelligente, operosa e sempre disponibile a rendersi utile con tutti.

Nei due giorni di veglia della sua salma fu un continuo viavai di estimatori e non vi fu persona che non avesse qualcosa da ricordare!

Una funzione religiosa d’altri tempi

Sul numero del mese di Aprile 2007 della Rivista National Geografic Italia abbiamo letto un articolo sui riti che si celebrano durante la Settimana Santa a Sessa Aurunca in provincia di Caserta e del quale riportiamo un passo, quello iniziale:

” E’ la sera del Mercoledì Santo. Nella Chiesa di San Giovanni a Villa, a Sessa Aurunca, i membri dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso sono riuniti per uno dei riti più importanti della Settimana Santa. Vestiti dell’abito rituale, un saio nero, i confratelli recitano brani tratti dalle Lamentazioni di Geremia e da San Paolo, intervallati con il Mattutino e diverse Laudi. Di fronte all’altare è posta la Saetta, un candelabro dalla forma simile ad una freccia, su cui brillano quindici candele. Dopo ogni cantico, accompagnato dal suono dell’harmonium, viene spenta una candela. Quando ne rimane accesa una sola, l’officiante prende la Saetta e la nasconde dietro l’altare. La chiesa rimane nel buio più completo, ed è allora che inizia il “terremoto” : tutti i presenti iniziano a battere piedi e mani sui banchi. Le tenebre e il frastuono simboleggiano il caos e il dolore scesi sulla Terra dopo la morte di Gesù. Ma ecco che la candela riappare da dietro l’altare, e il terremoto cessa: è la luce del Cristo, che non si spegnerà mai…”.

Proponiamo agli occasionali visitatori del sito lo stralcio del predetto articolo perchè analoga funzione religiosa veniva svolta anche nella nostra Chiesa Matrice. Come si sa, in forza delle disposizioni del Concilio Vaticano II molti riti sono stati depennati dalla liturgia ecclesiastica. Il rito di Sessa Aurunca veniva, sì, celebrato anche da noi, però, con delle varianti e con alcune connotazioni, diciamo, folcloristiche.”Le Tenebre”, così come era detta la funzione religiosa, venivano celebrate nelle ore vespertine dei primi tre giorni della Settimana Santa, lunedì, martedì e mercoledì. Sul presbiterio e di fronte all’altare veniva sistemato un grande candelabro di legno a forma di triangolo con quindici candele accese, di cui una, quella posta al centro, era bianca. A sinistra sedevano gli officianti, ricordiamo l’Arciprete Don Ciccio Palaia, Don Peppino Palaia e Don Bonaventura Autelitano, a destra vi era l’harmonium al quale nel tempo si avvicendarono gli organisti Rocco Palaia, Ciccio Chiera e Peppino Loprete. Sui banchi del coro, sistemato lungo i lati dell’abside, sedevano i cantori tra i quali il Chierico Don Ciccio Palaia, che pur non ordinato sacerdote, perchè costretto a lasciare gli studi essendo improvvisamente divenuto non vedente, non aveva dismesso l’abito talare ed era accolto dai sacerdoti della Parrocchia nella  loro colleggiata, infatti, anche se non poteva concelebrare, partecipava a tutte le funzioni quale “confratello religioso” . Iniziavano i canti e ad ogni fase della funzione  veniva spenta una candela sino a quando non fosse rimasta quella centrale, la bianca, che veniva portata in sagrestia, ubicata, allora, dietro l’altare, che in seguito demolito fu sostituito dall’attuale “mensa”. A questo punto veniva intonato il Miserere. Al termine del canto del Salmo di David l’Arciprete dava dei colpetti sul libro dei canti che teneva in mano. Era il segnale al sacrista o a chi per lui perchè si facesse sulla porta della sagrestia con in mano la candela accesa, quella bianca. Con quell’atto veniva fatta memoria di quanto avvenne quando Gesù spirò sulla Croce.L’Evangelista Matteo ci tramanda: “…dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio sulla Terra…il velo del tempio di Gerusalemme si squarciò da cima a fondo, la terra tremò, e le rocce si spaccarono…(Mt 27,47-51)”.Quello che avveniva nella Chiesa Matrice era tutt’ altro da una finzione simbolica ordinata, composta, contenuta entro i limiti della decenza. Sembrava che non tutti avessero coscienza del “mistero” a cui la funzione e la finzione erano riferite. Appena da dietro la sagrestia appariva la candela accesa, si scatenava…il finimondo. Ciascuno dei presenti, come poteva e a suo modo, si adoperava a fare rumore. Il frastuono, però,  proveniva dal  fondo della Chiesa. Nella parte dove di solito stazionavano gli uomini, al di qua delle transenne che delimitavano lo spazio occupato dalle donne, in fondo alla navata, infatti, venivano escogitati modi e mezzi per fare rumore. Il grande portale interno per i colpi ricevuti si spalancava di botto con assordante fragore e stridore dei saliscendi, si batteva sulle suppellettili e dall’alto della vecchia scala di legno per il campanile non di rado si lasciavano rotolare grossi massi di pietra. Terminava, così, la funzione delle “Tenebre”. Invano l’Arciprete Palaia richiamava i più scalmanati alla valenza della funzione religiosa e del conseguente atto simbolico e raccomamdava moderazione e decenza. A noi giovani di una volta gli anziani raccontavano che il predecessore di Don Ciccio Palaia, l’Arciprete Don Raffaele Lentini, prima che venisse dato il via alla finzione simbolica, munito di un nodoso virgulto, scendeva dall’altare e si portava in fondo alla Chiesa per tenere a bada i più scalmanati.

rocco_fragolaProfonda commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Rocco Fragòla, avvenuta il 27-12-07. Aveva da mesi lasciato il servizio attivo per il meritato riposo, dopo circa un quarantennio di encomiabile attività alle dipendenze del Comune nei settori dell’Ufficio Tecnico Comunale, prima, ed, in seguito, Responsabile dell’Ufficio di Economato. Era nato a Girifalco il 6 gennao 1947.

Chi per motivi inerenti alle cariche pubbliche ricoperte lo ebbe collaboratore non può non serbare di Rocco Fragòla un bel ricordo . Era un impiegato modello, ligio ai suoi doveri, dotato di spirito di collaborazione con gli amministratori e disponibile con il pubblico, nei confronti del quale sempre pronto e sollecito. Era un dipendente che aveva radicato in sé il senso dell’istituzione. Non era, infatti, partigiano di questa o quell’altra amministrazione comunale. Era, però, un fanatico del Comune di Girifalco e, per quanto potesse dipendere dal suo impegno, si adoperava perchè le cose andassero per il giusto verso, a prescindere da chi fosse ai vertici comunali. Rocco Fragòla si identificava, si immedesimava nell’istituzione ed operava di conseguenza ed in assoluta lealtà.

Le nostre non sono espressioni dettate dall’emozione del momento o convenevoli d’occasione. Che Rocco Fragòla fosse una persona stimata lo si è visto nella triste occasione della celebrazione del suo funerale. Vi è stata, infatti, una partecipazione corale  della popolazione, intervenuta in massa a rendere omaggio alla sua memoria e ad esprimere solidarietà alla famiglia.

Noi che scriviamo e che abbiamo avuto il piacere di averlo al nostro fianco durante la nostra esperienza amministrativa ed in situazioni molto delicate non lo abbiamo mai sentito dire, anche quando avrebbe potuto defilarsi, non è di mia competenza!

Aveva, inoltre,  il culto dell’amicizia ed era stimato per la sua sincerità, la sua onestà, per il suo modo di agire di persona seria ed equilibrata, lo si leggeva, nel giorno delle esequie,  nei volti tesi di amici e di conoscenti, ognuno  aveva una buona parola da dire, un commento da fare, un ricordo da evidenziare.

Al diffondersi della notizia del suo grave stato di salute, i nostri sentimenti furono di meraviglia e incredulità. Di proposito non volevamo pensare a funesti eventi che purtroppo si annunciavano. E ogniqualvolta ci siamo incontrati ci siamo comportati come se fossimo ignari di tutto sia per la segreta speranza che alla fine ce l’avrebbe fatta sia perchè ci illudevamo che la nostra apparente noncuranza lo avrebbe in certo qual modo rassicurato! E non abbiamo avuto parole che gli potessero esprimere la nostra vicinanza! E di questo portiamo un grande rimorso.

Da queste colonne con profonda commozione esprimiamo alla madre, chiamata alla sua veneranda età a tale amaro calice, alle sorelle che lo ebbero tanto caro, alla Signora Maria, nella cui vita il suo Rocco è passato quale struggente meteora e ai parenti tutti la nostra più sentita solidarietà.

(Modesto omaggio alla memoria di un amico sincero che nell’immediatezza del triste evento sarebbe apparso su di un’ annunciata, ma poi non avvenuta,  ripresa della pubblicazione di PagineBianche e che noi doverosamente ed affettuosamente solo adesso possiamo esternare.)

Profonda commozione ha suscitato nella popolazione l’improvvisa scomparsa di Rocco Fragòla, avvenuta il 27-12-07. Aveva da mesi lasciato il servizio attivo per il meritato riposo, dopo circa un quarantennio di encomiabile attività alle dipendenze del Comune nei settori dell’Ufficio Tecnico Comunale, prima, ed, in seguito, Responsabile dell’Ufficio di Economato. Era nato a Girifalco il 6 gennao 1947.

Chi per motivi inerenti alle cariche pubbliche ricoperte lo ebbe collaboratore non può non serbare di Rocco Fragòla un bel ricordo . Era un impiegato modello, ligio ai suoi doveri, dotato di spirito di collaborazione con gli amministratori ed era disponibile con il pubblico, nei confronti del quale sempre pronto e disponibile. Era un dipendente che aveva radicato in sé il senso dell’istituzione. Non era, infatti, partigiano di questa o quell’altra amministrazione comunale. Era, però, un fanatico del Comune di Girifalco e, per quanto potesse dipendere dal suo impegno, si adoperava perchè le cose andassero per il giusto verso, a prescindere da chi fosse ai vertici comunali. Rocco Fragòla si identificava, si immedesimava nell’istituzione ed operava di conseguenza ed in assoluta lealtà.

Le nostre non sono espressioni dettate dall’emozione del momento o convenevoli d’occasione. Che Rocco Fragòla fosse una persona stimata lo si è visto nella triste occasione della celebrazione del suo funerale. Vi è stata, infatti, una partecipazione corale  della popolazione, intervenuta in massa a rendere omaggio alla sua memoria e ad esprimere solidarietà alla famiglia.

Noi che scriviamo e che abbiamo avuto il piacere di averlo al nostro fianco durante la nostra esperienza amministrativa ed in situazioni molto delicate non lo abbiamo mai sentito dire, anche quando avrebbe potuto defilarsi, non è di mia competenza!

Aveva, inoltre,  il culto dell’amicizia ed era stimato per la sua sincerità, la sua onestà, per il suo modo di agire di persona seria ed equilibrata, lo si leggeva, nel giorno delle esequie,  nei volti tesi di amici e di conoscenti, ognuno  aveva una buona parola da dire, un commento da fare, un ricordo da evidenziare.

Al diffondersi della notizia del suo grave stato di salute, i nostri sentimenti furono di meraviglia e incredulità. Di proposito non volevamo pensare a funesti eventi che purtroppo si annunciavano. E ogniqualvolta ci siamo incontrati ci siamo comportati come se fossimo ignari di tutto sia per la segreta speranza che alla fine ce l’avrebbe fatta sia perchè ci illudevamo che la nostra apparente noncuranza lo avrebbe in certo qual modo rassicurato! E non abbiamo avuto parole che gli potessero esprimere la nostra vicinanza! E di questo portiamo un grande rimorso.

Da queste colonne con profonda commozione esprimiamo alla madre, chiamata alla sua veneranda età a tale amaro calice, alle sorelle che lo ebbero tanto caro, alla Signora Maria, nella cui vita il suo Rocco è passato quale struggente meteora e ai parenti tutti la nostra più sentita solidarietà.

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Dalla Elegia

IN MORTE DEL POETA ALBIO TIBULLO

( Amores, III, 9 )

Publius_Ovidius_NasoSe l’ Aurora pianse Memnone, se Teti pianse Achille e i crudeli fati arrecano dolore alle grandi dee, sciogli, o lacrimosa Elegia, le neglette chiome.

Ahimè, come è consono alla realtà il tuo nome!

Quel tuo Vate,Tibullo, che ti procurò tanta fama, arde, morto, disteso sulla elevata pira.

Eppure dicono che i poeti siano sacri e siano sotto la protezione degli dei, e vi sono, pure, quelli che ritengono che noi abbiamo qualcosa di divino: evidentemente la morte devastatrice profana anche tutto ciò che è sacro e con la sua mano fa cadere tutti nelle tenebre. Anche lui il giorno supremo, la morte sommerse nel tetro Averno.

Per opera dei poeti permane il ricordo dell’ eccidio di Troia e il ricordo della tardiva tela stessuta, disfatta con inganno notturno.

Così i nomi di Nemesi e di Delia saranno tramandati nel tempo, l’una ultimo amore, l’altra primo amore.

Tuttavia se di noi rimane qualcosa oltre al nome e all’ombra, Tibullo sarà nei Campi Elisi. ( 60 )

O dotto Catullo, cinte di edera le tue giovani tempia, con Calvo gli andrai incontro.

Anche tu, o Gallo, prodigo del tuo sangue e della tua vita, se falsa è l’ accusa del disonerato amico. A queste ombre si accompagna la tua.

Se l’ombra del corpo è qualcosa di reale, o colto Tibullo, hai aumentato il numero dei pii nei Campi Elisi.

Prego che le tua ossa riposino tranquille e sicure e che la terra non sia pesante sulle tue ceneri.

Note e annotazioni

Achille, figlio di Teti, perì nella guerra di Troia. Lo uccise Paride che lo colpì nel tallone, l’ unica parte del corpo in cui Achille era vulnerabile.

Campi Elisi, sede dei beati nel regno dei morti. Secondo la mitologia greca sono situati sottoterra. I beati hanno il privilegio di conservare le loro spoglie mortali e di dedicarsi alle occupazioni più gradite in vita.

Calvo ( C. Licinio ), poeta amico di Catullo.

Catullo ( C. Valerio ), celebre poeta lirico, elegiaco ed epigrammatico, nato nell’ 87 a. C.

Gallo ( Cornelio ), poeta elegiaco. Fu preposto da Augusto al governo dell’Egitto. Caduto in disgrazia del principe, per gravi errori commessi, fu spinto alla disperazione e si diede volontaria morte.

Memnone, figlio di Titone e dell’ Aurora, perì nella guerra di Troia.

Nemesi e Delia, le donne amate da Tibullo.

…tardaque nocturno tela retexta dolo…, Penelope, la fedele sposa del lontano Ulisse, era assediata dalle richieste di matrimonio ripetute quotidianamente dai Proci. Per ingannare la loro aspettativa ella diceva che avrebbe fatto la sua scelta quando avesse condotto a termine il tessuto d’un drappo, di cui nascostamente e di notte stesseva la porzione tessuta di giorno.

Tibullo ( Albio ), poeta elegiaco del circolo letterario di Messalla Corvino. Morì giovanissimo, a 25 anni circa nel 19 a. C., l’anno stesso in cui morì Virgilio.

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LODI DELLA VITA AGRESTE

Meglio una vita tranquilla e modesta che ricchezze acquistate con travaglio e pericolo.

( Elegie, I,1)

TibulloAltri accumuli per sé ricchezze di biondo oro e possegga molti iugeri di terreno coltivato, a patto che lo atterrisca una continua ansia per l’ avvicinarsi del nemico e le squillanti trombe di guerra gli disturbino i sonni.

Le mie modeste condizioni mi accompagnino con una vita tranquilla ( 5 ), purché il mio focolare brilli, arda di fuoco continuo.

Io stesso divenuto contadino pianterò nella stagione propizia le tenere viti e con mano esperta i grandi alberi da frutta.

La Speranza non mi abbandoni, ma mi fornisca sempre messi abbondanti e tinozze piene, colme di pingue mosto. ( 10 ) Infatti soglio onorare con coriandoli di fiori il simulacro di legno, Priapo, posto nei campi solitari e la pietra sacra piantata nei crocicchi. E qualunque frutto che il nuovo anno mi porti sarà prima offerto al dio agreste.

O bionda Cerere a te una corona di spighe del nostro campo ( 15 ) che sarà appesa alla porta del Tempio. E Priapo, il rosso custode, sia posto fra gli alberi da frutta perché con la terribile falce atterisca gli uccelli.

Anche voi, o Lari, custodi del campo una volta dovizioso ora, invece, meschino avrete i vostri doni. ( 20 ) Allora una vitella immolata purificava innumerevoli giovenchi ora un’agnella è la piccola vittima di un modesto podere. Sarà immolata un’agnella intorno alla quale i giovani contadini andranno gridando: Evviva !, concedete messi e buoni vini. In quanto a me , che io possa vivere contento di ciò che possiedo ( 25 ) e non essere esposto a lunghi viaggi, ma evitare il calore del periodo canicolare sotto l’ ombra di un albero nei pressi di ruscelli di acqua corrente. Non mi sia motivo di vergogna aver tenuto, adoperato talvolta il raschio o aver stimolato con il pungolo i buoi. ( 30 ) Non mi sia motivo di rincrescimento portare in braccio a casa il nato di una capretta abbandonato dalla madre smemorata. Ma voi, ladri e lupi, risparmiate, rispettate il mio minusculo gregge, cercatevi la preda altrove, in un grande gregge.

Qui ogni anno io sono solito purificare il mio pastore ( 35 ) e aspergere di latte la dea Pale.

Orsù, o dei, venite!, non disprezzate, accettate i doni che provengono da una piccola mensa e da tersi bicchieri d’argilla. L’antico contadino in principio fece per sé vasi di terracotta e li plasmò con molle argilla.

Io non desidero le ricchezze dei miei padri e i frutti che una ricca messe produsse al mio antico avo. Mi basta, mi è sufficiente un modesto campo coltivato; mi è sufficiente se è lecito riposare nel letto e ristorare le membra sul solito giaciglio.

Come mi è piacevole sentire i venti impetuosi mentre sono a letto ( 45 )

……………………………………………………………………………………………………………………

o sicuro, senza affanni, con il favore della pioggia, prolungare il sonno, continuare a dormire mentre il vento di mezzodì rovescia acque invernali!

Ciò mi sia concesso: sia ricco a giusta ragione chi affronta i pericoli sul mare e può sopportare le piogge maceranti.

Note e annotazioni

…agricolae deo…, i principali numi agresti erano Cerere, Priapo, Silvano, e anticamente, Mavors, detto anche Mars, o Marmar, che in seguito divenne deità guerriera, assumendo i caratteri del greco Ares.

Auster, Austro, Ostro, vento di mezzodì o del Sud.

Canis aestivos ortus ( 27 ), il sorgere estivo della Costellazione del Cane ovvero della Canicola.

Iugerum, iugero: porzione di terra arabile in un giorno da due buoi aggiogati.

Pales, Pale, dea italica dei pastori e del bestiame. I Romani il 21 marzo, Natalis Romae, celebravano le feste di Pale, dette Palilia. In tale ricorrenza si solevano fare le lustrazioni, ossia purificazioni delle greggi e dei pastori. La consuetutdine nel mondo rurale di mettere il bestiame sotto la protezione della divinità, mutatis mutandis, è resistita sino ai nostri giorni. Sant’ Antonio Abate, San Rocco e San Sebastiano erano, infatti, detti santi pastorali. E non di rado, in segno di devozione e per impetrarne la protezione, capi di bestiame fregiati di ex voto venivano condotti in chiesa e fatti inginocchiare dinnanzi alla statua del Santo protettore.

Priapus, lo spaventapasseri che i nostri contadini innalzono in mezzo ai campi. Era rappresentato con un enorme membro genitale, come simbolo della potenza generatrice e fecondatrice della natura.

Spes, la dea Speranza alla quale i Romani dedicarono molti Templi e celebravano la festa il primo d’ agosto.

…stipes desertus… vetus lapis, le edicole votive dei nostri giorni situate anche oggi in punti strategici delle contrade rurali.

Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri ( 19 ), Tibullo, Virgilio e molti altri, nella distribuzione delle terre ai veterani, che Augusto fece dopo la battaglia di Filippi, erano stati espropriati di gran parte degli aviti poderi.

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Hoc erat in votis

( Satire II, 6 )

QUINTO ORAZIO FLACCOQuesto era nei miei desideri, queste erano le mie aspirazioni: un campo di modeste dimensioni dove vi fosse un orto e vicino alla casa una sorgente di acqua perenne e al disopra un boschetto. Gli dei hanno concesso ad altri di più e di meglio! A me sta bene, sono contento di quanto possiedo. Non chiedo di più, o Mercurio, figlio di Maia, che tu faccia miei, stabili e duraturi questi doni. ( 5 )

Se non ho reso più grande il patrimonio con mezzi illeciti e non lo renderò più piccolo con le dissipazioni o la negligenza ovvero la cattiva amministrazione, se stolto, ahimè!, ingenuo non chiedo agli dei nessuna delle cose che seguono: ” O se si aggiungesse al mio terreno quell’ angolo accanto che, così come è , rende asimmetrico il mio campicello! O se qualche caso fortuito mi mostrasse, mi facesse trovare un’ urna d’argento, come quegli ( 10 ) che mercenario, lavorando a giornate, trovato un tesoro, arò da padrone, dopo averlo comprato, quello stesso campo, divenne ricco con il favore di Ercole. Se ciò che possiedo mi rende grato, riconoscente verso gli dei, ti rivolgo questa preghiera: ” Concedi al padrone un bestiame pingue oltre ad altre cose, tu, mio custode, mio protettore, così come suoli, rendimi l’ ingegno grande grande! ( 15 )

Dal momento che mi sono trasferito dalla città ai monti e su in alto nella mia rocca, la mia villetta di campagna, con le satire e la poesia familiare cosa per prima devo illustrare?

Non mi affligge una cattiva ambizione né il piovoso Australe, il vento di scirocco, né l’ uggioso autunno fruttuoso per la crudele Libitina.

O dio del mattino, o Giano, se così preferisci essere chiamato, ( 20 ) dal quale gli uomini stabiliscono che abbiano inizio le opere e le fatiche della vita, così piacque agli dei, sii tu l’inizio, il principio del mio canto.

Mi trascìni a Roma quale mallevadore, garante: ” Suvvìa, affrettati perché nessun altro risponda prima di te a questo ufficio, perché nessun altro sia più sollecito di te. Sia che Aquilone, il vento di settentrione, spazzi la terra sia che la bruma, l’ inverno, trascìni il nevoso giorno ( 25 ) nel giro interiore, più breve, si deve andare.

E subito dopo, pronunciata a chiare note la formula prescritta, a lottare in mezzo alla folla e per andare avanti fare violenza con spintoni contro coloro che si attardano.

” Cosa vuoi, folle, e cosa fai? ” Un impudente mi investe con aspre imprecazioni: ” Tu spingi, rovesci tutto ciò che ti è d’ ostacolo nell’andare avanti, ( 30 ) se con la mente memore vai a Mecenate! Ciò mi giova, mi solletica, per me è un vero piacere, mi è dolce come il miele, non mente, infatti, non dice la bugia, dice il vero. Ma appena si è giunti alle tetre zone dell’ Esquilino cento affari altrui mi balzano nella mente e tanti che mi pressano attorno . ” Roscio pregava che l’ indomani fossi per lui presente nel tribunale perché lo assistessi come suo avvocato.” ( 35 ) ” Gli scribi mi pregavano che mi ricordassi di ritornare in giornata per trattare affari di utilità pubblica e nuovi.” ” Fai che Mecenate apponga il suo sigillo su questi documenti.” Avrei risposto ” proverò “: ” se vuoi, puoi ” incalza e insiste. Già sono passati sette anni da quando Mecenate mi accolse fra i suoi ( 40 ) al solo scopo di avermi in carrozza andando a…spasso e confidarmi inezie di questo genere; ” Che ora è? Il Trace è pari al siriaco Gallina? ” ” Il freddo del mattino morde, punge coloro che incautamente non si coprono bene ” ( 45 ) e quelle cose, chiacchiere che si depongono nell’ aria piena di fessure, cioè argomenti di poco conto. Per tutto il tempo dell’ amicizia con Mecenate di giorno in giorno e di ora in ora ero sempre più oggetto d’ invidia. Qualora avessi assistito insieme a lui agli spettacoli teatrali e del Circo o avessi con lui giocato a palla nel Campo di Marzio: ” O figlio fortunato! “, tutti ad esclamare. Dal foro si diffonde per i crocicchi una notizia agghiacciante ( 50 ): chiunque mi venga incontro mi chiede : ” O caro mio ( infatti è naturale che tu sia informato giacché tu sei a contatto con i potenti ) non hai sentito parlare dei Daci? ” ” niente affatto” ” Il solito burlone! ” ” Mi puniscano gli dei se dovessi sapere qualcosa!” ” Cesare assegnerà ai soldati ( 55 ) le terre promesse in Sicilia o in Italia?” E quando dichiaro di non saperne niente, come è in realtà, mi guardano con meraviglia come un uomo che sa mantenere i segreti. Vado perdendo in questo modo le mie giornate, non senza questi desideri.

O felice vita di campagna quando potrò goderti e quando mi sarà lecito ( 60 ) ora con i testi degli antichi autori ora con il sonno, il pisolino, il riposo gustare il soave oblìo di una vita affannosa, agitata? O quando saranno servite le fave parenti di Pitagora e nello stesso tempo le erbette condite a sufficienza con il pingue lardo? O notti, o cene degli dei durante le quali insieme agli amici ( 65 ) dinnanzi al Lare domestico mangio e permetto che i servi ciarlieri si alimentino con le vivande che ho appena assaggiato!

Ciascuno a suo piacere esonerato dall’ osservare il cerimoniale asciuga gli ineguali bicchieri, per quantità e qualità, sia che qualcuno resistente prenda, beva vino puro sia che qualcuno si inumidisca la gola con vino annacquato. (70 ) Indi si inzia a conversare non delle case degli altri e né se Lepore danzi bene, ma discutiamo di ciò che ci interessa e che è un male ignorare, non conoscere: se gli uomini sono felici se ricchi oppure se virtuosi; e di ciò che ci spinge ad essere amici se l’utilità o la rettitudine ( 75 ) e quale sia la natura del sommo bene e in che cosa consista. Cervio che mi sta vicino fra questi discorsi seri e importanti intercala piacevolmente delle favole da vecchiette, ma molto opportune. Infatti se qualcuno, ignaro, non conoscendo la realtà, loda le ricchezze di Arellio piene di affanni così inizia a raccontare: ” Si narra che una volta un topo di campagna abbia invitato nella sua umile tana ( 80 ) un topo di città, sia l’ uno sia l’altro avanzati negli anni. Il topo di campagna rude ed attento alle sue riserve, a ciò che si era procacciato, tuttavia tale da sciogliere, aprire il suo animo ristretto ai doveri dell’ospitalità. A che pro fare molte parole? Il topo di campagna non negò all’ ospite i ceci che aveva messo da parte né la lunga avena e portando con la bocca offrì un acino di uva passa e pezzetti rosicchiati di lardo, ( 85) speranzoso che con la varietà delle vivande che offriva vincesse la schifiltosità di colui che appena toccava con il superbo dente i vari cibi, mentre esso, padrone di casa, disteso sulla paglia fresca dell’anno rosicchiava farro e loglio, lasciando all’amico le vivande migliori. Finalmente il topo di città rivolto a quello di campagna disse: ” Amico mio, ( 90 ), che cosa ti giova vivere su un crinale di un bosco scosceso? Vuoi preferire gli uomini e la città alle aspre selve? Avanti, mettiti in cammino, affidati a me; poiché gli esseri terrestri avendo avuto in sorte anime mortali né al potente né all’umile è consentito sfuggire alla morte, perciò, o mio caro ( 95 ) finché è lecito, è possibile vivi beato in mezzo ai piaceri memore di quanto sia breve la tua vita.”

Appena fu convinto da questo discorso, il topo di campagna agilmente saltò fuori dal suo covo; indi tutti e due si avviarono per la strada proposta desiderando di penetrare di nascosto nelle mura della città di notte, per non essere visti e non correre pericoli. Già la notte calava ( 100 ), quando l’uno e l’ altro proiettano le loro ombre, pongono piede nella sontuosa casa, tanto sontuosa che in essa brillava sui triclini di avorio un tappeto tinto di rosso scarlatto e vi erano gli avanzi, le portate di una ricca cena che rimasti dal giorno precedente in disparte erano deposti in canestri colmi colmi. ( 105 )

Allora appena fece sì che il topo di campagna si stendesse sul tappeto scarlatto, alla guisa di uno schiavo con il vestito succinto, tirato su per essere più libero nei movimenti, l’ ospite, il topo di città, si dà a correre di qua e di là per la stanza e serve l’ una dopo l’altra le pietanze, assaggiando tutto ciò che offre e mette in atto i modi manierosi e cerimoniosi di un servo di casa. Il topo di campagna stando sdraiato gode della mutata condizione e in mezzo a tutte quelle cose buone agisce, si comporta da lieto convitato, quando all’ improvviso un assordante rumore di battenti fa saltare dai triclini l’ uno e l’ altro. Impauriti a correre qua e là per la stanza chiusa a chiave e più che morti per lo spavento, nello stesso tempo la sontuosa stanza risuonare dell’ abbaiare di cani Molossi dell’Epiro. Allora il topo di campagna: ” Questa vita, questo modo di vivere a me non piace ” disse ( 110 ) ” addio, me ne vado: La tana sicura nella selva con la povera veccia mi consolerà, mi preserverà dalle insidie.”

Note ed annotazioni

Daci, popolazione stanziatasi lungo la riva sinistra del Danubio, all’ incirca l’ odierna Bulgaria: Nel 31 a. C. avevano fatto causa comune con Antonio e si temeva una loro invasione in Italia.

Ercole, presiedeva ai guadagni inaspettati. A lui era attribuita la scoperta dei tesori e di questi, in segno di gratitudine, gli si offriva la decima parte.

Esquilino, uno dei sette colli di Roma e prima che Mecenate vi costruisse la sua casa e i suoi giardini era una zona occupata da cimiteri ed alcune tombe vi erano ancora rimaste.

Gallina, gladiatore.

Giano, Giano era il dio di ogni principio e di ogni fine. Era, quindi, invocato prima di dare inizio a qualunque faccenda. Anche oggi è buona norma per il cristiano praticante recitare mattina e sera le apposite preghiere e segnarsi al principio e alla fine di qualsiasi attività intrapresa e svolta.

Itala Tellure, nel continente italico. Anche oggi i Siciliani, attraversando lo Stretto di Messina, dicono di passare in continente.

Inaequalis calices…legibus insanis ( 68-69 ), differenti per capacità, per numero, per qualità di vino e dosatura d’ acqua: Nei conviti ufficiali dell’ epoca classica vi era il simpiosarca che regolava la maniera con la quale si doveva bere. Il simpiosarca, il direttore di mensa è presente in un convito d’ eccezione, alle ” Nozze di Cana Gv II, 1.” A queste figure conviviali sono da riferire i ” cerimonieri ” a cui si ricorreva anni addietro quando i ricevimenti nuziali avvenivano per lo più in casa della sposa.

Lare, la statuetta del Lare domestico era sistemata in cucina accanto al focolare.

Lepos, pantonimo e ballerino caro ad Augusto.

Libitina ( Venus Libitina ), la dea della morte e dei funerali. Nel suo tempio avevano sede gli impresari delle pompe funebri.

Mallevadore ( garante ), chi, a richiesta di amici, garantiva nei tribunali.

Mercurio, figlio di Maia, dio del commercio e dei guadagni e protettore dei poeti.

Molossi ( cani ), grossi cani da guardia dell’ Epiro, regione della Grecia antica ai confini con l’ odierna Albania.

Pitagora, filosofo greco, professava la dottrina della metempsicosi o trasmigrazione delle anime. Vietava ai suoi discepoli di mangiare carne poiché negli animali poteva essersi incarnata qualche anima umana. Proibiva pure di cibarsi di fave. Di tale divieto furono date interpretazioni discordi: secondo Cicerone il divieto era dovuto al fatto che le fave essendo un cibo flautolento nuocevano alla tranquillità della mente. Orazio, invece, ironicamente lega il divieto alla metempsicosi e, quindi, l’anima di qualche parente poteva essere passata nelle fave. Le fave dormono a lungo sotto terra dalla quale spuntano non prima dei quaranta giorni da quando sono state sotterrate e di tanto in tanto, in modo faceto dicono i nostri contadini, si affacciano per vedere se è morto il padrone! Quella di servire nello stesso tempo pietanze di fave ed erbe condite con lardo è una buona usanza che si è protratta sino ai nostri giorni.

quidve ad amicitias, usus rectumne, trahat nos…( 75 ), se l’utilità o la rettitudine ci spinge ad essere amici. La prima tesi era sostenuta dagli epicurei, la seconda dagli stoici.

Scribae, erano gli scrivani agli ordini dei questori, i quali amministravano l’erario.

…super lectos… ( 103 ), sui letti tricliniari. Il triclinio era un complesso di tre letti a tre posti sistemati lungo tre lati della tavola, sui quali si disponevano i commensali per mangiare.

Trace, gladiatore.

Triqueta/Trinacria, la Sicilia detta così per la sua forma triangolare.

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A

Abaggiur ( francese abat-jour ) s. m., paralume, coprilume, la lampadina del comodino a lato del letto.

Abbaddhara ( latino ad vallem ) v., avvallarsi, incurvarsi, piegarsi, cedere sotto un peso.

Abbisara ( latino ad-viso ) v., avvertire, minacciare; impegnare, per esempio, operai per l’indomani o per altra data.

Abbiverara ( latino ad-bibere ) v., irrigare, inaffiare; condurre gli animali all’abbeveratoio.

Abbiveratizzu agg., terreno irriguo.

Abbonare v., rinunciare alla restituzione di un credito; annacquare gli orciuoli, i barili e le botti perché si chiudano gli interstizi tra le doghe.

Abbonicunti !? avv., insomma.

Abbrazzara ( spagnolo abrazar ) v., abbracciare.

Abbuzzara ( latino bucca ) v., attaccarsi con la bocca ad una bottiglia o brocca e bere smodatamente.

Abbuscara v., procacciare, procurare; essere picchiato.

Abbuttara v., saziarsi a crepapelle, gonfiarsi, riferito sia a persone sia a cose, pieno come una botte.

Accattara ( francese acheter ) v., comprare, acquistare; partorire.

Accett a s.f., scure.

Accia ( latino apium; francese ache) s. f., sedano.

Accijatura s. m., rudimentale utensìle di legno sul quale vengono sminuzzati generi alimentari come carne, accia, verdura in genere.

Accianza ( francese chance ) s. f., occasione, opportunità, destro, affare. Fr.: Appi n’accianza e mmi l’accattai, mi si è presentata l’occasione e me la sono comprata.

Accombara ( latino accumbo, sdraiarsi, prendere posto a tavola ; greco kombos, combos, nodo) v., nella fattispecie non riuscire a mandare giù il boccone. Fr.: M’accombau, non riesco a mandare giù il boccone.

Acconzarsi v., acconciarsi, aggiustarsi.

Accucchiara v., accoppiare, accostare le coppie, riunire, raggranellare, avvicinare, avvicinarsi. Fr.: Accucchiu li piadi!, accosto i piedi!, agli ordini vostri!; A sordu a sordu accucchiau nu milione!, a soldo a soldo raggranellò, mise da parte un milione!

Acquazzina s.f., rugiada.

Addemurara ( latino demoror ; francese demeurer ; spagnolo demorar ) v., trattenersi, tardare, indugiare, fare tardi; riferito anche a generi alimentari che hanno perso la freschezza.

Addhucira ( latino ad lucem...) v., illuminare, fare luce.

Addhumara ( francese allumer ) v., accendere il fuoco, far luce, illuminare.

Addhunarsi ( catalano Adonarse ) v., accorgersi, recarsi in un luogo per informarsi, avere notizie, passare da qualcuno, fare un salto da…

Affruntara ( latino ire ad frontem ) v., incontrare, rimproverare, assalire.

Affruntata s. f., incontro; in particolare, a Girifalco, l’ incontro di Gesù Risorto con la Madonna, manifestazione religiosa che si svolge mattina di Pasqua.

Agghiu ( latino alium ) s. m., aglio.

Aggrippare ( francese gripper ) v., aggrinzire, incresparsi; abbruciacchiare.

Aggrugnara/si ( latino grundio/grunnio ) v., l’attaccarsi dei maialini alle poppe della scrofa; accostare i tizzoni per ravvivare il fuoco; addossarsi ad altri.

Aliare e alijara (latino halidiare e halare) v., sbadigliare.

Allampanatu agg., macilento, magro, trasparente come la luce di una lampada ( donde il termine ).

Allumara ( francese Allumer ) v., scorgere, avvistare.

Allustrare ( latino lustro ) v., lucidare, lustrare, voltolarsi nel fango. Fr.: I maiali si “allustrano” nel fango, i maiali si avvoltolano nel fango .

Ammagara ( latino magus ) v., ammaliare, incantare, irretire.

Ammagistrara ( latino magister ) v., ammaestrare, insegnare, dirigere, intromettersi in ogni faccenda con la presunzione di saper fare tutto.

Ammasunara ( francese à la maison ) v., far rientrare le galline nel pollaio.

Ammogghiara ( francese mouiller ) v., inumidire, bagnare; accelerare con regalie l’iter di una pratica …

Ammucciara ( greco mucos mu’hòs; francese mucher/musser ) v., nascondere.

Ammucciateddha s.f., gioco a nascondino, a rimpiattino.

Ammucciuni avv., di nascosto.

Ammunzzeddhara ( francese amonceler ) v., ammucchiare, ammassare, accatastare.

Amprara ( latino ampliare ) v., stendere il bucato al sole.

Ampressa-ampressa ( francese s’empresser ) modo di dire, invito ad affrettarsi, suvvia!

Anastasio ( greco anastasis anastasis ) n. pr., resurrezione; risorto. Cognome diffuso in Calabria.

Anchianara v., andare al piano di sopra, salire. Usato pure in modo equivoco riferendolo all’atto sessuale.

Annacarsi ( greco nakh, nake ) v., dondolarsi.

Annigrumara ( latino niger/nigrescere ) v., diventare nero, il cielo si copre di nuvoloni neri, sta per piovere.

Aparìra ( latino aperio ) v., aprire.

Appalorara v., prenotare, impegnare.

Appicciara v., accendere il fuoco, aizzare. Fr.: Appicciai u ‘huacu, ho acceso il fuoco. Appicciau na lita, promosse/accese un litigio.

Appiccicara v., accendere, incendiare, mettere/dare fuoco; affibbiare, appioppare, attaccare; suscitare una lite, un diverbio.

Appoiara ( francese appuyer ) v., appoggiare; termine usato in modo…equivoco.

Apprettare v., stuzzicare, provocare.

Appricara/rsi v., applicare/arsi, affibbiare; darsi pensiero, interessarsi, amareggiarsi.

Arciuamu s. m., Ecce Homo!

Argasìa ( greco ergasia , ergasia ) s. f., terreno lavorato.

Aria ( latino area ) s. f., aia, piazzale.

Arrabbattarsi v., arranciarsi, darsi da fare.

Arrancara ( rimanda ai saltelli della rana ) v., saltare; affacciarsi, fare un salto da…

Arrasara ( arabo arrada ) v., allontanare/si, scostare/si.

Arrasu avv., lontano, alla larga. F.: Arrasu sia! Alla larga! Teniti arrasu de chista gente, tieniti lontano da queste persone!

Arrestara ( latino restis ) v., fare trecce di cipolle.

Arribbeddhare/rsi ( latino re+bello ) v., mettere, portare il disordine, protestare, impensierirsi, preoccuparsi, allammarsi.

Arriedi ( francese arrière ) avv., dietro, indietro.

Arriggettara/rsi ( latino recepto ) v., mettere in ordine la casa, accudire la famiglia, prepararsi, mettersi l’animo in pace.

Arrittare ( latino arrectum pp di arrigo ) v., ergersi; l’alzarsi, il drizzarsi del pene.

Arrumbulara ( greco rombos , ròmbos trottola ) v., arrotolare, ravvolgere più volte.

Artietica ( greco arqriticos, artriticòs ) s. f., irrequietezza.

Assettarsi ( latino assedito/assideo/assido ) v., sedersi.

Assijara v., aizzare. Fr.: L’assijau lu cana, gli aizzò il cane.

Astrucu ( greco ostrakon ostracon ) s. m., pavimento di calce o di mattoni di argilla.

Astutara ( latino aestuo/uro ) v., spegnere. Nell’accezione originaria bruciare, ardere, ribollire.La vocale iniziale della voce dialettale è da intendersi quale “ alfa privativo” e quindi il significato di spegnere.

Attaccia ( francese attache e tache ) s.f., chiodo da scarpa con la testa larga.

Attroppicara ( spagnolo tropezar ) v., inciampare.

Atturrara ( latino torreo ) v., abbrustolire, tostare il caffè.

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B

Baddhalora s. f., padella dal fondo bucherellato usata per fare le ballotte.

Bagagghiu s. m., asino; stupido, deficiente, idiota.

Basile ( greco basileios basileios ) n. pr., regale, reale.Cognome diffuso in Calabria.

Bàtteri ( greco bakthrion bacterion ) s. m., bastoncelli, verghette, fiammiferi.

Bbaddhari s. m., castagne arrostite oppure pop korn.

Bballatura ( latino bellatorium ) s. f., ballatoio, pianerottolo.

Bbeddhissima/bbeddhissimieddhu av., meno male, abbastanza.

Birloccu ( francese berloque e breloque ) s. m., ciondolo, catenina d’oro, oggetti preziosi.

Bisiculu ( latino bi-secula, secare ) s. m., arnese del calzolaio, lisciapiante, bisecolo.

Biviari ( francese vivier – vivaio di pesci ) s.m., abbeveratoio.

Bocala ( latino bucca ), caraffa di vetro

Bottigghia ( francese bouteille ) s. f., bottiglia.

Bottijara ( voce onomatopeica ) v., bussare.

Brocca ( francese broche e brochette ) s. f., spiedo, fermaglio, spillone, forchetta.

Bruvera ( francese bruyére ) s.f., erica.

Buatta ( francese boite ) s. f., scatola, scatola di latta.

Buffa ( latino bufo) s. f., rospo.

Buffetta/buffettino ( francese buffet ) s. m/f., tavola, tavolinetto, desco.

Buffettuna ( spagnolo bofetòn ) s. m., cazzotto, schiaffo, percossa.

Bùggia ( francese bouge ) s. f., tasca interna della giacca.

Bussula s. f., porta interna.

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C

Cacamaruggiu s. m., reattino, scricciolo, persona di poco conto.

Cacentaru/casentaru ( greco ghs enteron, ghes enteron ) s. m., lombrico.

Caddhipu ( greco kalluntron calluntron, kallopizv callopizo ) s. m., il palo alla cui estremità veniva attaccato uno straccio bagnato per ripulire il forno, tirare la bracia, prima che venisse infornato il pane.

Caggia ( latino cavea; francese cage ) s. f., gabbia.

Ca’hisu ( arabo cafiz ) s. m., cafiso, antica misura di capacità per l’olio equivalente a 18 litri.

Ca’huna ( greco efagon - efagon, aor. di esqiv – estio ) s. m., profonda fossa dove va a finire ogni cosa inservibile; divoratore insaziabile.

Caja ( latino plaga ) s. f., piaga, ferita, dolore, dispiacere.

Calandriaddhi ( latino calandra? ) s. m., piccole allodole; sandali a strisce di pelle che portavano i nostri contadini. Per analogia ricordiamo le ciocie dei contadini della provincia di Frosinone, la Ciociaria.

Caliò ( greco kalos kalòs ) n. pr., bello. Cognome diffuso in Calabria.

Caloma ( cfr italiano calumare, calare a mare adagio funi, gomene; greco kalummia calummia;

spagnolo calomar ) s. f., fune dei pescatori; fame eccessiva, avidità, desiderio di qualcosa. Fr.:Mentra l’atri mangiavanu iddhu stacìa a la caloma, mentre gli altri mangiavano egli aspettava che gliene dessero.

Calostra ( latino colostra ) s. f., il latte subito dopo il parto.

Cambriccu ( inglese cambric ) s. m., Cambrì, tela finissima di cotone bianco detta pure pelle d’uovo. Cambric forma inglese della città francese di Cambray dove si fabbricava il tessuto.

Cammarara ( greco kammaronv , cammarono) v., mangiare carne nei giorni di digiuno prescritti dalla Chiesa. Fr.. Oia non mi cammaru, oggi osservo il digiuno, mi astengo dal mangiare carne.

Cammisa ( francese chemise ) s. f., camicia.

Canduscia/iu s. f/m, veste o abito mal cuciti e troppo larghi. Persona sgraziata e di poco conto.

Canigghi ( latino canicae ) s. m., crusca. Alimento che si dava ai cani.

Canigghiola ( latino canicae ) s. f., la forfora che per la sua squamosità somiglia alla crusca.

Cannamieli ( greco kanna + meli, canna+meli; latino canna mellis ) s. m., canna da zucchero. Vecchio toponimo del IX Vico di Corso Garibaldi di Girifalco.

Cannataru ( greco kaneon kaneon/kanat a / kanata ) s. m., canestro di canne intrecciate, vaso di metallo o di terra; nella fattispecie piccolo vaso di terracotta nel quale veniva conservato il lievito.

Cannarutu ( latino cannae, le canne della gola ), goloso.

Cannavù ( greco kanna kanna ) n.pr., ctr di Girifalco ai confini con il comune di Borgia.

Cannistra ( latino canistrum; greco kanastron kanastron ) s. f., canestro.

Cannizzi s.m., canniccio o stuoia fatti con canne spaccate e intrecciate.

Cantàru ( greco kantaros kàntaros; latino cantharus; arabo qintar ) s. m., antica misura di peso equivalente a 90 kg.

Càntaru ( greco kantaros, kàntaros; latino cantharus ) s.m., vaso con larghe anse, vaso da notte, pitale, pop. orinale.

Capadirtu ( latino caput per erectum ) locuz., tirare innanzi per diritto.

Capizza ( latino capistrum/capitia ) s. f., cavezza, guinzaglio, capestro; apertura superiore della tunica per cui passa la testa.

Cappucciu ( latino caput ) s. m., cappuccio, copricapo, varietà di cavolo.

Carapucciulu ( latino caput ) s. m., cappuccetto, piccolo copricapo dei bambini, cuffia.

Carcara v., calcare, premere, pressare.

Carcara ( latino calcaria ) s. f., cava di calce, fornace dove si cuoce la pietra calcare.

Carcarazza ( greco karakaxia karakaxia ) s. f., gazza.

Cardiddhu ( latino cardinulum/cardillus/cardo ) s. m., piccolo cardine, perno, lucchetto.

Carìa ( greco karua karùa, albero di noce ) n. pr., ctr. di Girifalco.

Carminu ( latino carmen ) s.m., il presunto incantesimo dei serpenti del sampavularu.

Carpinieddhu ( latino carpinus, albero ) n. pr., contrada nel comune di Girifalco.

Carpitieddhu ( francese carpette ) s. m., pannolano rustico che scendeva dalla testa ai fianchi e veniva indossato dalle donne in costume.

Carratiaddhu s. m., piccola botte per vini pregiati e liquori. Botte che veniva trasportata con i carri, donde il nome.

Carrera ( spagnolo carrera ) s. f., carriera, corsa, strada petrosa, acciottolata.

Carusara ( latino ca(put)+rasura; greco karhnon, carenon ) v., rapare, tosare.

Carusieddhu (napoletano carusiello) s.m., palla di creta, salvadanaio. Il carosello in origine era un gioco in cui i cavalieri vestiti alla moresca lanciavano agli avversari palle di creta piene di cenere.

Cascetta ( francese caissette ) s.f., cassetta.

Cascettuna s. m., chi non riesce a tenere un segreto, delatore, spia.

Casciuna ( francese caisson ) s. m., cassone, grande cassa.

Casu ( latino casèus ) s. m., cacio, formaggio.

Catanannu ( greco kata + anno, katà + anno) agg., oltre gli anni, molto anziano, vecchio.

Catarrattu ( greco katarractos catarractos, katarrev catarreo ) s. m., imposta ribaltabile che mette in comunicazione due piani, botola.

Catarru ( latino catarrhus; greco catarrev catarreo.) s. m., catarro, raffreddore, gronda il naso.

Catricalà ( katorux katorux ) n. pr., sotterrato, nascosto ; costruttore di trappole. Cognome diffuso in Calabria.

Cattivo/a ( latino captivus ) agg., prigioniero. Nell’accezione dialettale vedovo cioè preso/a dal dolore per la morte del coniuge.

Catu ( latino cadus; greco kados -cados ) s.m., orcio, giara, urna; secchio.

Catuaiu ( greco katoikia catoichia ) s. m., sotto l’abitazione, sotterraneo, stalla.

Catusu ( arabo qadus ) s.m., tombino per la raccolta delle acque piovane, fosso di scolo.

Cazi s. m., calzoni, pantaloni.

Ccippieddhu ( latino cippus ) s. m., grosso ceppo di legno adibito a sedile.

Ceddharu ( latino cellarium ) s. m., dispensa, cantina.

Ce’haleddha ( greco kefalh kefalè ) n. pr., testa, capo. Ctr. di Girifalco

Cefaly ( greco kefalh kefalè ) n. pr., capo, testa. Cognome diffuso in Calabria.

Cerasaru ( francese cerisier ) s. m., la pianta di ciliegio.

Cerasu ( latino cerasum/cerasus; greco kerasion kerasion; francese cerise ) s. m., ciliegio, ciliegia.

Cerasi maiatichi s. m., ciliegie che maturano a maggio ( Maius ).

Ceravolo ( greco keraulhs keraules ) n. pr., suonatore di corno, incantatore di serpenti. Cognome diffuso in Calabria.

Cernìra ( latino cernere ) v., vagliare, separare, setacciare.

Cervieddhu ( francese chevrette) s. f., capretto.

Chiantara v., piantare, mettere a dimora una pianta.

Chiancatus ( latino vl. palanca/planca ) s. m., soffitta, palco fatto di tavole.

Chiatara v., mormorare, sparlare, criticare.

Chiatu (latino placitum; francese plait) s. m., critica, maldicenza, mormorazione, sussurro. F.: Chiatu e richiatu uattu juarni dura, la critica, il mormorìo dura non più di otto giorni.

Chicàra ( greco kicanv kai kichmi, chichano e chichemi; latino applicare ) v., approdare, arrivare, raggiungere.

Chippu ( greci epiploos epiploos e hpar hepar) s. m., pancia.

Ciaramidu ( greco keramis keramìs ) s. m., embrice, tegola.

Cicculatera s. f., vecchio utensìle di cucina che serviva per preparare il caffè.

Ciculijara ( francese chatouller ) v., solleticare.

Ciebba ( arabo gabiyah ) s. f., cisterna, serbatoio d’acqua, vasca per l’irrigazione.

Cinanaru ( latino cellularius ) s. m., nell’accezione dialettale colui che lavora la terra altrui.

Cirmieddhu ( greco kirba kirba ) s. m., piccolo sacco.

Cirriti s.m., funghi.

Cista ( latino cista ) s. f., cesta.

Cisteddha ( latino cestella ) s. f., cestella.

Ciucciu ( da ciocciare, poppare ) s. m., asino, animale che cioccia, poppa; persona stupida.

Coddàra ( latino caldarium/caldaria ) s. f., caldaia.

Coddhàru ( latino collare ) s. m., collare.

Cogghira ( francese cueillir ) v., cogliere, raccogliere; colpire, fare bersaglio. F.: Mi cogghìu ntra l’uacchiu, mi ha colpito nell’occhio.

Cognitu ( latino cognosco ) voce verb/agg., conosciuto, noto. F.: No llaju cognitu, non lo conosco.

Colaierni ( greco Ieros + kalos, ieros + kalos ) n. pr., forti, magnifici e sacri sacerdoti.Ctr di Girifalco.

Colèo ( greco kkalev, kalèo ) v., gridare, vociare.

Colèrcia s.f., tasca interna della giacca.

Colìra ( latino colère ) v., giovare, curare.

Combustibila ( latino comburo ) s. m., il necessario per vivere, cibaria, vettovaglie, provvista di generi commestibili.

Conaci ( greco eikvn eikon ) n. pr., icona, immagine sacra.Cognome presente in Calabria.

Coraddhi s. f., varicella, malattia ensematica caratterizzata dalla comparsa di papule vescicolari donde la voce dialettale.

Coratulu ( latino curator ) s. m., curatore, il capo degli operai di un frantoio e che ha la cura dell’opificio.

Corazzuna ( spagnolo corazon ) s. m., persona molto buona e generosa, dal cuore grande.

Cotraru/a ( latino quadratus/quadrarius, nel senso di robusto ) s.f., uomo giovane e forte, giovane, ragazzo..

Cotto (inglese coat) s. m., cotto, cappotto.

Cotulijara v., abbacchiare.

Cozzala ( da cuazzu, nuca ) s. m., villano, uomo rozzo, testardo.

Cramugghiera ( greco cremannumi – cremannumi ) s.f., catena che sosteneva la caldaia sul fuoco.

Crisara ( greco krhsera, cresera ) s. f., vaglio fine, utensìle d’uso domestico per separare la crusca dalla farina.

Criscè ( francese crochet ) s. m., uncinetto.

Crista ( latino crista ) s. f., cresta.

Cristofaro ( latino Christifer ) s. m., che porta il Cristo. Cognome presente in Calabria.

Crivu ( latino cribum ) s. m., crivello, setaccio sia di vimini sia di metallo.

Crocchetto ( francese crochet ) s. m., gancio ( per affibbiare i vestiti ) .

Cruaccu (francese croc; germanico krokr ) s. m., gancio, uncino, in modo specifico pertica adunca per tirare a sé i rami degli alberi.

Crucijara ( latino crucio ) v., tormentare, angustiare. Nell’ accezione dialettale ha acquisito anche l’ idea di movimento con riferimento alla “ Via Crucis “ e quindi farsi vedere, apparire, spuntare… da lontano. F.: Ancora non si vida nuddhu cruciàra, ancora non si vede nessuno arrivare/apparire.

Crustuli ( latino crustulum ) s. m., dolci fatti in casa.

Cuacciu ( greco kokkos coccos; latino coccum ) s. m., chicco, granello, seme; forunculo, pustola maligna, carbonchio.

Cuaddhu s.m., collo.

Cuazzu s. m., nuca.

Cucchia s. f., coppia.

Cuccuma ( latino cuccuma, cuccumella ) s. f., brocca, tazza arrotondata.

Cucùddhu ( latino cucullio ) s. m., cappuccio, bozzolo.

Cucuzza (latino cucutia) s. f., zucca.

Cudiespina ( greco oikodespoina oicodespoina ) s. f., padrona della casa, donna che ha cura della casa, buona amministratrice della casa, laboriosa.

Cugnata ( francese cognèe) s. f., scure. F:: A darvuru cadutu ognunu curra cu la sua cugnata…ad albero caduto ognuno corre con la sua scure.

Cumbijara ( latino…ire ) v., intimare, mandare, inviare qualcuno verso/a: Frs:: Lu cumbijau a la scola, lo fece andare a scuola.

Cumparira ( latino comparere ) v., apparire, fare bella/buona figura.

Cundima ( latino condimentum ) s. f., condimento, condire, olio, qualsiasi genere di condimento.

Cunfrunta ( latino cum fronte) s. f., incontro. Vedi pure affruntata .

Cunzulu ( latino consolor ) s.m., consolazione, conforto; pranzo che i vicini di casa a sera portano ai familiari di un defunto.

Cuofina ( greco kofinos cofinos; latino cophinus ) s. f., corba, corbello; contenitore di fibra vegetale usato nei vecchi frantoi nell’operazione di spremitura delle olive.

Cuoppu s. m., antica misura corrispondente alla 32.ma parte di un tomolo.

Cupara ( francese couper ) v., cavare, scavare; eliminare, ammazzare.

Cupeta ( arabo qubbaita ) s. f., dolciume preparato con miele e noccioline.

Curciu/i ( latino curtus ) agg., accorciato, monco; frutto del castagno selvatico, quindi, non innestato.

Curnazza ( latino corona ) s. f., strofinaccio che, raccolto a mo’ di corona, veniva sistemato sulla testa per attutire il peso delle cose che venivano trasportate.

Curramara ( latino ramus ) v., abbacchiare le ulive, le noci.

Currija ( latino corrigia; francese courroie ) s.f., correggia, cinta.

Curtagghia ( greco cortos cortos, cortazv cortazo; latino cohortalis) s. f., letame; della corte, che appartiene alla corte e da qui l’etimo di Cortale (R. Barillà).

Curupu ( greco kouroupion kouroupion; kvrukos korucos ) s. m., piccolo vaso di creta ; appellativo dispregiativo.

Custura ( francese couture; spagnolo costura ) s. f., cucitura, cucito. F.: De custura mi siervu de…, per farmi cucire i vestiti vado da…

Custuriari ( francese couturier ) s.m., sarto.

Cutuleo ( greco kotillo kotillo ) s. m., chiacchierìo, parlottìo.

Cuturni ( greco kotornos cotornos ) s. m., cotorno, gambaletti di lana grezza che portavano i contadini. Ricordiamo i cuturnati Achei.

Cuverira ( latino cooperire; francese couvrir ) v., coprire, nascondere; se riferito agli animali: accoppiarsi, ingravidare.

Cuzzica ( latino cuticula, cutis ) s. f., crosta della pelle.

Cuzzupa ( greco volgare koutsoupon koutsoupon ) s.f., dolce pasquale ornato di uova sode.

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D

Ddramma ( greco dracmh dracmè; latino dracma ) s. f., moneta greca; una piccola quantità di…Fr.: Dammi na ddramma d’acqua, dammi una goccia d’acqua.

Dècatu ( latino decem ) s. m., gruppo di dieci fili del telaio; nell’accezione dialettale il bandolo della matassa.

Decucchia avv., di corsa, di fretta, subito.

Deiunu ( latino ieiunum; francese à jeun/ jeune ) agg., digiuno.

Depeda ( latino pes pedis ) av., daccapo, nuovamemte, dall’inizio.

Deprattu av., all’improvviso, imbattersi/scontrarsi con qualcosa o qualcuno non scorti in tempo.

Deprescia ( francese depecher ) avv., in fretta.

Derriedi ( francese derrière ) avv., dietro, a tergo, alle spalle.

Dibbusciatu ( francese debauché ) s. m., dissoluto, scioperato, libertino, vizioso.

Doravanti/Doranavanti ( francese dorenavant ) avv., da ora in avanti.

Drincara/drink ( inglese to drink ) v., bere, fare un brindisi, bere alla salute di..

Dubriettu ( francese doubler ) s. m., la tipica ampia gonna delle donne in costume che dopo averla piegata e ripiegata la mandavano indietro a mò di coda.

Duvavieddhi/Duvavua ( latino ad ubi velles ) lcz. avv. , in nessun luogo/dovunque tu voglia.

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E

Eiati! ( dal latino eatis, 2^ pers. pl. del cong. prs. del verbo eo ? Livio, Virgilio ed altri poeti usano questa voce verbale nel significato di invitare qualcuno, o stimolarlo ad affrettarsi ) v . , sbrigati!, alzati!, fai presto!, affrettati!

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F

Faga ( greco efagon efagon aor. di esqiv estio ) n. pr., cognome diffuso in Calabria.

Fasceddha ( latino fiscella ) s. f., contenitore cilindrico intessuto di giunchi usato dai pastori per alcuni prodotti caseari freschi, formaggio e ricotta.

Fermatura ( francese fermeture ) s. f., serratura, chiusura.

Forfè ( francese forfait ) , cottimo, qualcosa di imprecisato. Tipico contratto che una volta veniva stipulato tra utente e la società erogatrice di energia per l’illuminazione. Nella parlata corrente ha acquisito il significato di percossa, di cazzotto. Fr. Ti dau nu forfait ! Ti dò… un cazzotto !

Forgiaro ( francese forgeron ) s. m., fabbro.

Fraia ( latino fragor? ) s. f., imprecazione, bestemmia.

Framonia s.f., sussulto.

Franciscu ( latino Franciscu<s>) s. m., Francesco.

Fratamma ( latino frater + il possessivo ma ) s. m., mio fratello.

Friscatularu s. m., persona frettolosa

Friscatuli ( latino frixura ) n.dif., polenta cioè impasto di farina di mais,acqua sale e condimenti, amalgamato in padella (fressura).

Friscanzana ( latino frigor ) s. f., vento forte e freddo.

Fressura ( latino frixura, frixorium ) s. f., padella usata per le fritture.

Frunda ( latino frons, frondis ) s. f., le foglie del gelso che vengono date in pasto al filugello.

Frusta s. f., il mettersi in evidenza in modo indecente, farsi notare per incompostezza.

Frustara ( latino frustro ) v., sparlare, criticare, dire maldicenze nei confronti degli altri.

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G

Galipu ( arabo qalib ) s. m., garbo, maestria, destrezza.

Ganga ( germanico wango ) s. f., guancia.

Gangularu s. m., mascella inferiore, mento.

Gargia ( latino gurges ) s. f., bocca grande, in senso dispregiativo.

Garzu ( francese garz ) s. m., amante, mantenuto.

Garzuna ( francese garçon ) s. m., giovane di bottega, servo, a servizio di qualcuno.

Gghella ( inglese girl ) s. f., ragazza, signorina, fidanzata.

Gghenga ( inglese gang ) s. f., banda di malviventi, combriccola.

Gghiommari ( latino glomus, glomeris ) s. m., gomitoli. Fr.: Mu ‘hili no ffili, mu tiassi no ttiassi sti gghiommari de duva ti venanu?, non fili, non tessi ( non lavori ) come fai ad avere questi gomitoli ( a vivere )?

Gileppu ( arabo gulab ) s. m., giulebbe, soluzione acquosa densamente zuccherata che serve per annaspare alcuni tipi di dolci.

Giobba ( inglese job ) s. f., lavoro, impiego, impresa.

Giugniettu ( francese iuliet ) s. m., il mese di Luglio.

Gnirru ( rimanda al grugnito del suino e, quindi, onomatopeica ) s. m., maialino, porcellino.

Gorgia ( francese gorge ) s. f., gola, gozzo; vano del mulino ad acqua dove è sistemata la grande ruota.

Gramuna ( greco dermonion dermonion ) s. m., vaglio con la graticola larga formata sia con fili metallici sia con fili fibra vegetale. Un tempo la graticola veniva fatta con fili di pelle donde l’etimo greco.

Granatu ( latino malum granatum ) s. m., melagrana.

Graniscu ( greco Ouranos Ouranòs ) s. m., volta celeste, il cielo della bocca, palato.

Grattà ( greco grafo grafo ) n. pr., scrivano. Cognome diffuso in Calabria.

Gregna ( latino gremium ) s. f., fascio di spighe.

Guaddhara ( arabo adara ) s. f., ernia.

Grasta ( greco gastra gastra ) s. f., vaso panciuto, secchia.

Grippa ( francese grippé ) s. f., increspatura, crespa, grinza, ruga.

Grupu ( greco truph trupe ) s. m., buco, foro.

Gugghia ( francese aiguille ) s. f., ago. F.: Vò mmu trova a gugghia ntro pagghiaru, vuole trovare l’ago nel pagliaio!

Gurna ( greco gourna gurna ) s. f., pozzanghera, deposito d’acqua, vasca d’acqua adibita all’irrigazione.

Gurnala s. m., l’incavo o la fossa piena d’acqua all’estremità di un canale d’irrigazione.

Guttaru ( latino gutta; francese ègoutture ) s. m., gocciolìo, stillicidio. In particolare il gocciolìo intermittente che scende da una fessura apertasi nel tetto. Fr.: Gutta cavat lapidem,la goccia scava la pietra!

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‘H

‘Hagu ( latino fagus ) s. m., faggio.

Hamampuli ( greco klhmampelon, clemampelon; klhmatis, clematis ) s. m., raspo d’uva.

‘Hamazza ( greco khamai khamai; latino favacea residui di fave ) s. f., rifiuti, residuati/avanzi di vegetali.

‘Hàmicia ( latino famex ) s. m., la parte più stretta della scarpa.

‘Harafhuli s.m., favole.

‘Hialona ( greco chlone ‘helone ) s. f., tartaruga.

‘Hiannacca ( arabo hannaka ) s. f., la tipica collana di coralli che un tempo portavano le donne.

‘Hìcatu ( latino ficatum ) s. m., fegato; in particolare fegato d’oca ingrassato con fichi.

‘Higghiumma s.m., figlio mio.

‘Hilici ( latino filix, filicis ) s.m., felce.

’Hinò ( greco fanos fanòs e faino faino ) s. m., lucernario rudimentale praticato nel tetto spotando una tegola.

‘Hiocca ( greco kokla cocla ) s. f., chioccia.

‘Hocigghiu ( latino falcicula ) s. m., falce.

Hoddhala/’Hoddhalicchia ( antico provenzale faudal ) s. m., grembiule.

‘Holèa ( greco foleos foleos ) s. f., tana, giaciglio, nido.

‘Hora ( latino foras fuori ) avv., fuori, nella fattispecie in campagna. F.: Jimma ‘hora, siamo andati in campagna.

‘Horchia ( latino furcula ) s. f., tana della volpe.

‘Horgia ( francese forge ) s. f., fucina.

‘Horgiaru ( francese forgeron ) s. m., fabbro ferraio.

‘Hundìra ( latino fundere ) v., versare, spargere, spandere, lasciare andare; in particolare di un contenitore che perde, non trattiene i liquidi.

Hundacu ( arabo funduq ) s. m., fondaco, deposito di merci destinate al commercio.

‘Hundu ( latino fundus ) s. m., fondo rustico, podere, tenuta.

‘Hurca ( latino furca ) s. f., forca.

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I

Iacina ( latino iaceo ) s. m., giaciglio, letto degli animali, un letto disadorno.

Iamuninda ! voce verbale, andiamocene!

Ianea ( greco genea gheneà ) s. f., progenie, famiglia, stirpe. La “ Pietra de la Ianea “ in ctr Bosco Farnoso di Sotto in agro di Girifalco sulla quale vi è l’iscrizione greca gnai ghenai.

Inchira ( latino implere ) v., empire, riempire, colmare; aizzare, incitare contro qualcuno.

Intrallandi ( inter+ il tedesco land? ) s. m., i punti che danno i sarti nella fase di cucitura di una giacca.

Ioculano/a ( latino iocularis, iocosus ) agg., giocoso, scherzevole.

Iuncu ( latino iuncus ) s. m., giunco.

Iungira ( latino iungo ) v., unire, congiungere, attaccare.

Iuppuna ( francese jupon ) s. f., corpetto.

Iuvu ( latino iugum ) s. m., giogo.

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J

Jenca ( latino iuvenca ) s. f., giovenca.

Jervasili ( greco ieros+basileus, ieròs+basileus ) n. pr., fiume nel comune di Girifalco.

Jettara ( francese jeter ) v., gettare, buttare; riprodursi ( riferito alle piante ), rigenerarsi.

Jijitu ( latino digitus ) s. m., dito.

Jira ( latino ire ) v., andare.

Juacu ( latino iocus ) s. m., scherzo, burla, celia, gioco.

Juavi ( latino Iovis ) s. m., giovedì, giorno della settimana.

Jumenta ( latino iumentum ) s. f., giumenta.

Jungiuta ( latino iungo ) v. pp., unita, contigua, riattaccata, adiacente; chi convive more uxorio, senza alcun legame sia di cattere civile sia di carattere religioso.

Junta ( latino iunctus ) s. f.,quantità contenuta nel concavo delle mani congiunte.

Jussu ( latino ius ) s. m., diritto, giustizia; consuetudine, complesso di usi e costumi.

Jusu ( latino iusum ) avv., in giù, in basso, a terra, sotto.

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L

Laccu ( greco lakkos laccos; latino lacus ) n. pr., ctr. di Girifalco, morfologicamente in depressione e ricca di acqua.

Lanceddha ( latino lanx, lancella, lancicula ) s.f., anfora, brocca di terracotta.

Lapparu ( greco laparos laparos ) s. m., carne floscia.

Lattuca ( latino lattuca ) s. f., lattuga.

Levara ( latino levo, levare ) v., levare, cacciare, togliere, alzare. Nell’ accezione dialettale ha acquisito i significati di portare, di condurre e di condurre all’altare cioè sposare. F.: Tizio levau a Caia, Tizio sposò Gaia.

Levatricia ( latino levo, levare ) s. f., che leva, toglie, solleva…nella fattispecie ostetrica.

Lignaru ( latino lignarius, a, um ) s. m., deposito di legna, legnaia.

Limba ( greco limnh limne e limpa limpa ) s. f., grande vaso slabbrato, scodella.

Lindina ( latino lens lendis ) s.f., lendine, ovo di pidocchio.

Lippusu ( greco lipos lipos ) agg., limoso, mucoso; lippi, materia verde in sospensione sulle acque stagnanti.

Lissìa ( latino lix/lixa/lixius/lixiva; greco luo -luo ) s.f., acqua bollente e cenere che veniva versata sul bucato; ranno.

Litra ( greco litra litra ) s. f., misura locale per liquidi, in particolare per l’olio, corrispondente a cinque quarti di litro.

Litu ( greco litos lithos ) s. m., la caratteristica renella trasportata dall’acqua, fango, melma.

Locommondo ( latino locus+immondus ) s. m., latrina, cesso, gabinetto.

Lorca ( latino lurco, onis ) s. f., ingorda, avida, insaziabile.

Lumera ( francese lumiére ) s. f., lume, lucerna, rudimentale ed antica lampada ad olio.

Luntruna s. m., vagabondo, uomo ozioso; uomo sporco, sudicione, schifoso.

Lupareddha ( greco luph kai luphma , lupe e lupema ) s. f., afflizione, dolore.

Lupieddhu ( greco luph lupe ) s. m., pustola maligna, carbonchio del bestiame.

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M

Maccarrunaru s. m., utensìle di cucina adoperato per fare la pasta in casa,mattarello.

Maccatura ( francese mouchoir ) s. m., fazzoletto.

Maiu ( latino Maius ) s. m., il mese di maggio.

Magularu ( latino magulus; greco magoulon màgoulon ) s. m., insaccato costituito dalla pelle del collo del maiale.

Maiatico ( latino Maius ) agg., di maggio.

Malogna ( latino meles e melis; melo melonis ) s. f., martora, tasso.

Malu ( latino malus ) agg., cattivo.

Maluna ( latino melo, onis ) s. m., popone, mellone, mellone d’acqua, cocomero; testa rasata, calva.

Majiddha ( latino magis ) s. f., madia.

Majisa ( latino maius ) s.f., terreno lavorato e pronto per le coltivazioni.

Mammina s. f., ostetrica.

Manchia s. f., parte non soleggiata.

Mancu agg. e avv., lato sinistro, non soleggiato; nemmeno.

Mandalieddhu ( latino mando ) s. m., chiavistello.

Mangiasuna ( francese ant. mangeoison ) s. m., prurito, voglia.

Mangraviti ( greco biz. Manklabites manclabites – ufficiale bizantino; dal tedesco markgraf ) n. p., ctr ai piedi di Monte Covello.

Manijara ( latino manus ) v., maneggiare, frugare, toccare e ritoccare, rovistare, cercare con insistenza.Fr.: No mmanijara cchiu! Non rovistare, non frugare ancora! No mmi manijara! No mmi toccara!

Manipula ( latino manus ) s. f., attrezzo manuale del muratore, cazzuola.

Manzu ( latino mansuetus ) s. m./agg., bove vecchio ed ingrassato; mansueto, docile, calmo. Fr.: Cornutu manzu! epiteteto offensivo.

Mappina ( latino mappa ) s. f., salvietta, tovagliolo.

Margiu ( arabo marg ) s. m., terreno incolto.

Marò ( greco mhros meròs ) s. m., adenite, infiammazione delle ghiandole linfatiche nell’ascella e all’inguine.

Marpiuna s. m., furbacchione, persona astuta, scaltra.

Marràma s. m., strame per la lettiera del bestiame, immondizie.

Maruggiu ( latino marra ) s. m., manico della zappa.

Masceddha ( latino maxilla; greco mascilh, maschile ) s. f., ascella.

Mastazzola s. f., mostacciolo, dolce di farina impastata con miele o mosto donde il nome.

Mastraccu/mistraccu s. m., pezzetto di legno con il quale si stringe la legatura di un fascio di…legna.

Matassaru ( latino metaxa ) s. m., utensìle con il quale vengono raccolti i filati.

Màzzara ( arabo mi’sarah ) s.f., la pietra che fa pressione sugli ortaggi conservati in salamoia; pendolo dell’orologio.

Mazzicana/u s. m. e f., grosso ciottolo.

Mazzuna/i ( latino mansuetus ) s. m., bove vecchio ed ingrassato. Fr.: Jisti a la ‘hera pemmu ti vindi li mazzuni?,sei andato alla fiera per venderti i buoi?, detto in modo ironico al nullatenente che si è recato alla fiera.

Mbijara ( latino in viam …ire ) v., andare verso, avviare/arsi, guidare/avviare gli animali, ordire la tela sul telaio.

Mbischiare/si v., mischiare, mescolare (le carte da giuoco); ingerirsi, intromettersi. Rifl. convivere, convivere more uxorio. Fr.: Tizio si mbischiau cu Tizia, Tizio convive con Gaia.

Mbordicara ( francese deborder ) v., uscire dai bordi, oltrepassare i limiti, mangiare smodatamente, oltre misura.

Mbra’hatu ( greco bragcos bran’cos oppure brekhos brekhòs ) agg., rauco.

Mbruasi ( latino Ambrosius ) s. m., Ambrogio.

Mbrus’hiara ( latino amburo ) v., abbruciacchiare.

Mbuddhagghiu s. m., tappo.

Mbuddhare ( latino im+bulla <are> ) v., bollare, apporre il sigillo; ostruire, otturare, tappare.

Mbulicara ( latino involvere ) v., avvolgere, avvoltolare, voltolare, avviluppare.

Meduddha ( latino medulla ) s. f., midollo, cervello.

Mentugara ( latino habere in mente ) v., nominare.

Merira ( latino mereo ) v., meritarsi, addirsi, confarsi, essere adatto. F.: Stu vestitu ti mera, questo vestito ti si addice, ti sta bene.

Micu ( dal latino DoMIniCUs ) n. pr., diminuitivo del dialettale Dominicu, Domenico

Minara ( latino minor ) v.,minacciare, menare, picchiare; dirigersi, dirigere.

Mingra s. f., capriccio, lamento, irrequietezza dei bambini.

Mìruaddhu ( latino merula ) s. m., merlo.

Misaluari/Misatari s. m.e f., mesaioli, nella fattispecie raccoglitori/trici di ulive.

Misconì ( greco misogunhs misogunes ) n. pr., da misogino, che odia le donne. Ctr di Girifalco.

Missermma ( francese monsieur+ma ) s. m., mio suocero.

Morzieddhu ( francese morceau ) s. m., colazione, panino farcito con interiora di vitello.

Mpacciara/si ( latino impaculare ) v., fare tardi, ritardare; preoccuparsi, assumere un fastidio.

Mpasciu, locz., catta mpasciu, cadde come corpo morto cade; se si cade fasciati si è impossibiltati a proteggersi.

Mpimparu ( greco pimprhmi pimpremi ) n. pr., scoscendimento argilloso in zona “ Ponte” di Girifalco.

Mpizzarsi v., accendersi, adirarsi, bruciacchiarsi le vesti.

Mpranzu/mpranzu ( latino pransus-prandeo ) modo di dire, colazione, pasto, pranzo. F.: Mpranzu mpranzu ni nda iamu, mangiato e bevuto ce ne andiamo, riprendiamo il cammino.

Mpresciara ( latino pressare ) v., sollecitare.

Mprescia ( latino parl. Pressiam ) av., in fretta.

Muaccu ( latino mucus, muccus; francese mouchoire ) s. m., muco, moccio.

Muarzu ( francese morceau ) s. m., morso, un po’, pezzetto, piccola quantità. F.: Dammi nu muarzu de pana, dammi un po’ di pane.

Mucatu ( latino mucidus, muctus ) agg., ammuffito.

Mundara ( latino mundare ) v., mondare, nettàre, pulire, sbucciare.

Mundizza ( latino immunditia ) s. f., sudiceria, sporcizia.

Mungipieddhu ( latino mons + arabo gebel =monte ) n. pr., il Mongibello cioè il vulcano Etna. Nell’accezione dialettale locale sta per il diavolo.

Munzieddhu ( latino monticellus; francese ant. moncel ) s. m., mucchio.

Mura ( francese mure ) s. f., mora sia del gelso sia del rovo.

Muraru ( francese murier ) s. m., sia la pianta di gelso sia un roveto.

Murghi ( greco amorgh amorghe ) s. f., morchia, la feccia/il residuo dell’olio.

Muscula ( latino muscula ) s. f., uncino, gancetto in cima al fuso.Uncino che viene messo al grugno del maiale per impedirgli di scavare.

Mustazzu ( greco moustakion moustachion ) s. m., mustacchio.

Mutaraiazzu ( greco metoikizo metoichizo ) locuzione., trasferirsi, cambiare casa, andare altrove.

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N

Naca ( greco nakh, nake ) s. f., culla, altalena, dondolo.

Nappa s. f., nappo, coppa, tazza, bicchiere e, in senso dispregiativo sta per naso

Nas’hia, nasca ( latino nasica ) s. f., naso, narice.

Ncajara ( vedi caja ) v., aprire una piaga, una ferita; rinnovare un dolore.

‘Ncamatu ( latino camus ) agg., meravigliato, attonito, desideroso, in attesa di…, morto di fame.

Ncannara ( latino canna ) v., ordire.

Nchimara ( greco fimov, fimòo; latino inflimare/infimulare ) v., imbastire, allacciare.

Ncignagghia s.f., inizio, punto d’inizio, cimosa di un tessuto, inizio dell’ordito; punto d’inizio della coscia, inguine.

Ncignara ( latino encaeniare (Rohlfs), incipere?gignere? ) v., avere inizio, cominciare, dare inizio; indossare per la prima volta un vestito nuovo; cominciare qualcosa…una forma di cacio, sturare una botte, una damigiana di vino, ecc.

Ncucchiarsi v., fare coppia e, se riferito agli animali, accoppiarsi.

Ncuiara ( latino (in)cogere ) v., sforzare/si., premere, spremere, pigiare; sforzarsi per defecare. Fr.: No tti ncuiara tantu! Non ti sforzare tanto!

Ncutta s. f. , fretta, pressione. Fr.: Hai na ncutta! Hai una fretta!

Ncuttu agg., fitto, stretto, pressato. Fr.: Stamu ncutti ncutti! Stiamo stretti stretti, vicini vicini!

Ndianu s. m., granturco, mais, granone. Introdotto in Europa dall’America e, quindi, il nome da quelle popolazioni che da Colombo furono chiamate indiane avendo creduto di essere arrivato nelle Indie.

Ndrillu ( inglese drill ) s. m., trapano, perforatrice, trivella.

Nducira v.( latino inducere e dulcem reddere ), inghiottire, mandare giù, sopportare; addolcire, rendere dolce.

Nduddha ( francese anduille ) s. f., caratteristico insaccato confezionato con interiora di maiale.

Nescira ( latino exire; nascor ) v., nascere, uscire, spuntare, sorgere.

Nettijara ( francese nettoyer ) v., nettare, pulire.

Ngalipatu ( arabo qalib ) agg., garbato, galante, gentile, che agisce con destrezza.

Ngonagghia ( greco gonu, gonu, ginocchio, oppure gonia, gonìa, angolo ) s, f., inguine, la parte bassa dell’addome che fa angolo con la parte interna della coscia.

Nguantera s.f., antico vassoio sul quale venivano deposti i guanti; vassoio.

Nicatula ( greco nakha, nakha ) s. f., dolce nostrano che si prepara nella ricorrenza di alcune festività.

Nigru ( latino niger, nigra, nigrum ) agg., nero.

Nimeddha s. f., bottone di osso, bottoncino; piccola anima, pusillanime, persona o cosa di poco conto.

Nipotulu ( latino nepotulus ) s. m., nipotino, tra il canzonatorio e il diminutivo.

Ntorchiara ( latino intorquere ) v., fare fasci di fieno.

Ntostare ( latino torrere ) v., tostare, indurire, seccare (a proposito delle piante); essiccare i fichi.

Ntra ( latino intra e inter ) prep., dentro, all’interno, in.

Ntrasattu ( latino in transactum – trans+actutum ) avv., all’improvviso , inaspettatamente.

Nuddhu ( latino nullus ) agg. e pr., nessuno.

Nzardara ( vedi nzertara ) v., infilare, introdurre.

Nzertara ( latino insero, inserto) v., introdurre, innestare.

Nzilarsi ( latino insilio ) v., intromettersi, addentrarsi, lanciarsi in, gettarsi in, infilarsi.

Nzinare v., aizzare.

Nzonnigghiata agg., appena sveglia.

Nzurarsi ( latino in-uxorare/uxorem ducere ) v., prendere moglie, sposarsi.

Nzurtare ( latino insulto ) v., insultare, recare oltraggio, infastidire, provocare. F.: Mi nzurtau, mi ha provocato, offeso.

Nzurtu ( latino insultus ) s. m., insulto, attacco-colpo apoplettico, apoplessia, paralasi. F.: Morìu de nsurtu, è morto per un colpo apoplettico.

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O

Oia ( latino hodie ) avv., oggi.

Oliru s. m., arcobaleno

Orditura ( latino ordior ) s. f., ordito. Apparecchiatura che serve a preparare la trama per il telaio.

Organaru ( latino organarius ) s. m., organista, suonatore d’organo.

Orvicara ( latino obruere ) v., nascondere, collocare sottoterra, seppellire.

Orva ( latino orbus, a, um )s. f., parte dell’intestino.

Orvu ( latino orbus ) agg., orbo, cieco.

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P

Pagghiaru s. m., capanna di paglia, misero rifugio; i falò in occasione delle festività del Corpus Domini e di Sant’Antonio.

Palaia ( greco palaios palaiòs ) n. pr., vecchio, antico.Cognome molto diffuso a Girifalco.

Paleddha ( latino pala ) s.f., scapola.

Palettò ( inglese paletot; francese paltò, paletò ) s.m., pastrano, cappotto.

Pampini ( latino pampinus ) s. m., foglie in genere. Le foglie secche del castagno venivano raccolte per lettiere degli animali.

Paniculu ( latino panicula; francese panicule ) s. m., granturco, mais, granone.

Pannizzi s.m., fasce di tela usate per avvolgere i neonati.

Papatulu ( greco biz. Papàs papas , prete di rito ortodosso ) s. m., dolce votivo che in segno di devozione si porta in chiesa per essere benedetto.

Papellu ( spagnolo papel; inglese paper ) s. m., carta scritta, scartafaccio, lungo e prolisso documento.

Parrasia ( greco parrhsia parresia ) s. f., libertà di parola, schiettezza nel parlare, fare un gran parlare.

Parrera ( francese perrière ) s. f., pietraia, falda-vena di pietra, cava di pietra.

Partugallu ( spagnolo portugal ) s. m., arancia.

Passuli ( latino passus part. di pando ) s. m., uva passa.

Pastiddha ( latino pastillus ; spagnolo pastilla ) s. f., pastiglia, pillola; cisti, ghiandola linfatica; castagne infornate.

Pastranu ( spagnolo Pastrana, città della Spagna ) s. m., cappotto militare.

Patramma, patrassa, patratta ( latino pater+il possessivo usato come enclitica ) s. m., mio padre, suo padre, tuo padre.

Patraterculu! ( latino pater + Hercules ) escl., per padre Ercole! Per Ercole!

Peda ( latino pes, pedis ) s. m., piede. Oltre ad indicare una parte anatomica del corpo umano è presente nella terminologia agreste riferito a qualsiasi pianta di ortaggi. F.: Chiantai na decina de peda de pipi, ho piantato dieci piantine di peperoni.

Pellaru ( latino pello ) s. m., percossa, colpo, schiaffo. Frs.: Ti dau nu pellaru, ti dò uno schiaffo!

Pendina avv., verso sotto, verso la pianura.

Percia ( francese perche ) s.f., pertica.

Perciara ( francese percer ) v., forare, bucare, traforare, capire.

Perciato ( latino percisus ) , capito.

Pertusu ( latino pertusum sup. di pertundo opp. da aperto ) s. m., pertugio, foro; nell’accezione dialettale indica l’ano.

Petrata ( spagnolo pedrada ) s. f., sassata.

Petrusinu ( latino petroselinum ) s. m., sedano. F.: Petrusinu d’ ogni minestra, per dire di persona ficcanaso, impiccione…….

Piarzicu ( latino persicus/persica ) s. m., pesco/pesca. Il pesco è originario della Cina, ma in Europa giunse dalla Persia, donde il nome, e i Romani ne diffusero la coltivazione.

Pica ( latino pica ) s. f., gazza.

Picula ( latino picula ) s. f., il defecare del morente. F.: Lu malatu jiu la picula. L’ammalato/il morente ha defecato a letto!

Pidituazzualu ( latino pedes, peditis, pedone ) s. m., calpestìo, lieve rumore di passi.

Piespu ( nome preellenico ) n. pr., il fiume Pesipe, tra Girifalco e Cortale.

Pigghiara v., prendere, rubare, prendere in sposo/a; attecchire.

Pignata ( latino pinea ) s. f., pentola di terracotta a forma di pigna. F.: Li guai de la pignata li sa la cucchiara chi li vota, i guai della pentola li conosce il cucchiaio….

Pilaccu/cchi ( greco pelos pelòs ; vc. onomatopeica? ) s. m., fango.

Piritu ( latino peditum>pedo pedere; greco pureton puretòn ) s. m., peto,

Pirru ( greco peiros peiros ) s. m., trottola.

Pittara ( latino pingo) v., dipingere.

Pittu ( latino pingo ) s. m., materiale per dipingere.

Platea ( latino platea; greco plateia platea ) s. f., via ampia, piazza; termine usato in edilizia.

Posa ( latino phaselus ) s. f., fagioli.

Posata/Puasima ( latino pono ) s. f., deposito, sedimento del caffè nella “cicculatera “.

Posteraro ( latino posterus ) agg., seguente, che viene dopo, che viene in ritardo. F.: Annata posterara, annata in ritardo rispetto alla maturazione delle messi.

Poti’ha ( latino apotheca; greco apoteke, apoteke ) s. f., magazzino, bottega d’artigiano, esercizio commerciale.

Potì’hina ( latino impetiginem ) s. f., impetigine, erpete.

Poti’hìnu ( vedi poti’ha ) s.m., rivendita di sale e tabacchi.

Praccuacu ( latino persica praecocua ) s. m., pesca.

Praneta s. f., pianeta, destino.

Prescia, vedi deprescia

Presiantu ( francese priser ) s. m., estimazione, dono di nozze.

Prejara ( latino pretiare ) v., ammirarsi, compiacersi.

Prisa s.( latino prehendo ) f., presa, punto da quale viene immessa l’acqua nel canale d’irrigazione.

Prievita ( latino presbyter; greco presbuths presbutes ) s. m., prete, sacerdote.

Pristuna ( greco plasths, plastes ) s. m., uno dei piani laterali della madia.

Procopio ( greco prokopto prokopto ) n. pr., battitore, chi spinge avanti, chi percuote. Cognome diffuso in Calabria.

Promentìa ( latino promoveo/promitto ) agg., precoce. F.: Annata promentìa, annata precoce, in avanti in quanto alla maturazione delle messi.

Pruna ( latino prunum ) s. m., prugna.

Prunta s. f., campione, saggio.

Puandu/Puanducu ( latino pondus ) s. m., peso, fardello, incarico.

Pulieju ( latino puleium ) s. m., puleggio, menta romana, menta piccola. F.: Non si crìa nemmenu lu pulieju, non cresce nemmeno la mentuccia ( a proposito di un terreno improduttivo).

Puma ( latino pomum/pomus ) s.m., mele.

Puma de li ganghi ( francese pomette ) s. m., gote.

Pungira ( latino pungere ) v., pungere, offendere, punzecchiare.

Puntura ( latino pungo/punctura ) s. m/f., sia il pungolo, il bastone acuminato del bovaro, sia la polmonite.

Pupa ( latino pupa; francese poupèe ) s. f., bambola, fanciulla.

Pupulinijara v., parlottare.

Pùtrumu ( latino putredo ) s. m., marciume, fradiciume.

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Q

Quatriculu ( latino craticula ) s. m., gratella, graticola; serbatoio, deposito del trappeto nel quale viene riversato un miscuglio di acqua e morchia, rimasuglio della spremitura delle olive.

Quintinu agg./avv., continuo, continuamente.

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R

Racimulara v., andare girovagando per procurarsi qualcosa da mangiare; procurarsi, procacciarsi.

Racina ( francese raisin ) s. f., uva.

Ra’hara ( latino trahere? Onomatopeico ) v., trascinare, trascinarsi, strisciare.

Ra’hatijara ( vedi ra’hara ) v., espettorare in continuazione, sputacchiare.

Ra’hatu s. m., espettorato.

Ramagliettu ( spagn. ramillete; franc. Rameau ) s.m., fascio di fiori che nella ricorrenza di San Giovanni veniva inviato alla persona con la quale si voleva contrarre legami di stretta amicizia simile a quella che si aquisisce con il sacramento della Cresima. Frs.: Compare/comare di San Giovanni.

Rasula ( latino rado ) s. f., striscia di terreno delimitata da solchi.

Renducira/Rinducira ( latino reduco ) v., ridurre, rimettere a posto. F.: Ti renducisti/riducisti ntra sti condizioni! Ti sei ridotto in queste condizioni! Mi renduciu la casa e niasciu, metto tutto in ordine ed esco.

Resta ( latino restis ) s. f., catena, fune, filza, treccia. F.: Accattai na resta de cipuddhi, ho comprato una treccia di cipolle.

Ribbiaddhu ( latino re+bello ) s. m., disordine, protesta.

Riciattu/Riggiettu ( latino receptus ) s. m., rifugio, quiete, riposo, calma.

Ricogghira ( francese recueillir ) v., raccogliere, riunire; rimpatriare, rincasare, ritirarsi, rientrare.

Ricota s. f., assembramento di gente.

Ricrijara ( latino recreare ) v., riaversi, riconfortarsi, dilettarsi, compiacersi, sentirsi soddisfatto; godere del male altrui.

Rigettarsi ( latino se recipere ) v., ritornare a sé, riaversi, ritirarsi, rifuggiarsi, appaciarsi, placarsi, calmarsi.

Rigorizza ( latino glycerrhiza/liquiritia ) s. f., pianta erbacea dalle cui radici si ottiene una tisana emolliente.

Ri’hiatara ( latino reflare ) v., respirare.

Ripentira ( francese repentir <se> ) v., pentirsi.

Risvigghiarsi ( francese se réveiller ) v., svegliarsi.

Rivuatu s. m., porcellino destinato all’ingrasso; fermentazione del mosto con le vinacce.

Rizza ( greco riza riza ) s. f., torsolo, radice.

Rocciuluni/rocculuni ( latino rotatim ) avv., ruzzoloni.

Romeo ( latino romeus ) n. pr., chi si recava in pellegrinaggio a Roma e in Terrasanta. Cognome.

Ruatulu ( arabo ratl ) s. m., rotolo, antica misura di peso equivalente a 800g.

Ruga ( francese rue ) s.f., strada, rione, vicolo.

Rughiciaddhi ( francese ruelles ) s. m., vicoli, stradine. Toponimo di Via Domenico Catalano.

Rumbulu ( greco rombos rombos ) s. m., gomitolo.

Runcigghiu ( latino runcatio ) s. f., roncola, piccola falce.

Rundiara/rundinijara ( francese faire la ronde ) v., rondare, fare la ronda, vagare, aggirarsi, andare su e giù come un rondone.

Rusignualu ( francese rossignol ) s. m., usignolo.

Ruzzuluni/a avv/.s.m., rotoloni; capriola, salto.

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