(strettamente personale, ma …. Non tanto!)

I risultati degli esami di riparazione per il conseguimento della Licenza Ginnasiale furono pubblicati nel pomeriggio.

Era la prima volta che frequentavo una Scuola Pubblica. Da quell’anno scolastico, 1947/1948, iniziai a frequentare regolari corsi di studio. Sino allora mi ero preparato da privatista e da esterno andavo a Catanzaro a sostenere gli esami.

Di quell‘anno scolastico ricordo il professore Silverio Marasco e la professoressa Guerrieri.

Del professore Marasco ricordo il suo particolare metodo nell’insegnarci il latino. La grammatica e la sintassi per noi come se non esistessero e, infatti, non le abbiamo aperte! Rilevavamo le regole grammaticali man mano che le incontravamo leggendo e traducendo i classici.

Il “Pro Marcello” di Cicerone si prestava molto bene a tale metodo di insegnamento.  Appena si presentava un costrutto particolare il professore Marasco, come se lo vedessi ora!, correva alla lavagna per evidenziarcelo. Ci insegnava anche italiano. Leggevamo i Promessi Sposi. Ricordo un particolare, a proposito del capitolo che riguarda l’incontro tra Renzo e Don Abbondio.

-Quanto ci intrattenne su “degli impedimenti” di Don Abbondio e l ‘incalzante ‘degl’impedimenti’ di Renzo! Il primo avrebbe voluto che quel suo  “degli impedimenti” durasse un’eternità mentre l’altro era del tutto di parere diverso. Infatti, Renzo rincalzando il povero curato tutto d’un fiato proruppe in un ‘degl’impedimenti?’.

Della professoressa Guerrieri, insegnante di greco, mi è rimasta l’attenzione premurosa che riversava ad un mio compagno, che portava un cognome per l’epoca …ingombrante, si sussurrava che il papà in quelle turbolente giornate dell’aprile del 1945 fosse perito tragicamente sul lago di Como.

 

Vi era la professoressa di Francese, Macri, ben disposta verso di me sia perché mi vedeva educato e volenteroso sia perché aveva avuto, in precedenza, come alunno un mio parente molto bravo.

Durante l’anno cercai di fare del mio meglio, ma fui rimandato a riparare greco e latino alla sessione autunnale.

Non per addurre una giustificazione, come detto dianzi, provenivo da scuola privata e quindi l’impatto in quella pubblica non fu facile.

 

Quale fu la mia gioia nel leggere LICENZIATO”!

La riproduzione a lato del Certificato di Licenza Ginnasiale conseguita senza infamia e senza lode, non è stata dettata da alcuna motivazione se non da quella di proporre al cortese visitatore del “Sito”, un documento storico risalente alla prima metà del secolo scorso.

Però, l‘essere stato, in seguito, operatore scolastico quale docente nella Suola Elementare mi induce a delle considerazioni sulla valutazione scolastica di allora e a delle riflessioni sull’evoluzione, nel tempo del metodo di valutazione scolastica. All’epoca la scuola era selettiva. Il docente  era prigioniero di rigidi schemi e nel valutare gli alunni sembrava usasse… il bilancino del farmacista.

A tal proposito ricordo che in prima liceale venni rimandato alla sessione autunnale a riparare latino pur essendo stato classificato agli scrutini finali con cinque e mezzo!…

Non entravo nei panni! E i miei genitori, che erano in trepida attesa, quando ne sarebbero stati informati? Quale soddisfazione per loro!

 

La Licenza Ginnasiale all’epoca era un traguardo scolastico importante e significativo. Da lì a poco, pensavo, sarò un liceale del “Galluppi”! Che io ricordi, in provincia funzionavano pochi istituti classici: a Catanzaro, a Crotone, a Nicastro, ora Lamezia, a Vibo e nei Seminari.

Fui avviato agli studi classici per mia libera scelta oppure della mia famiglia? Né l’una né l’altra. L’avvio dei giovani agli studi classici era determinata da situazioni ambientali.  A Girifalco non si andava oltre la Scuola Elementare, le Medie furono istituite ad inizio anni ’50, le superiori negli anni ’70. A tale deficienza ovviarono egregiamente due sacerdoti di solida cultura umanistica, l’arciprete Don Ciccio Palaia e Don Peppino Palaia.

Il conseguimento di un titolo di studio, laurea o diploma costituiva una conquista sociale da parte di alcuni ceti.

 

Sarei potuto rientrare a casa comodamente l’indomani con la corriera.

- No!, devo arrivare stasera a casa con l’autostop!

Corro alla “Pensione” informo della mia intenzione la signora Anna, di cara memoria e via esco per raggiungere con ogni mezzo Catanzaro Marina e da lì con l’autostop Girifalco.

-Prendo la funicolare per Catanzaro Sala? No! Avevo dato quasi fondo al gruzzoletto che i miei genitori mi avevano consegnato per la mia permanenza a Catanzaro. L’importo del biglietto che avrei risparmiato mi sarebbe tornato comodo in un eventuale rendiconto delle spese fatte! In quattro e quattr’otto, a piedi, sarò a Sala e mi risparmio il biglietto! E giù a capofitto per Sala. Quasi una volata per scesa Gradoni, raggiungo Fondachello e da lì ancora una corsa sono alla stazione di Sala, il tempo giusto per fare il biglietto e trafelato salire sul treno.

Arrivato a Marina mi porto alla Roccelletta, cioè al bivio per Borgia.

Attendo un po’, ma decido di incamminarmi sperando che il mio programmato autostop presto divenisse realtà.

Il sole sta per terminare il suo quotidiano percorso e tende a nascondersi dietro i monti.

Scorgo due contadini seduti sull’uscio di un casolare non lontano dalla strada maestra e dò loro voce:

-Ehi!, per il “Pilacco”?

-EH!, bello mio!, devi camminare ancora!, risponde uno di quei contadini.

E cammina, cammina! Finalmente arrivo al Pilacco.

Il Pilacco, la vecchia strada acciottolata che con qualche deviazione ripetendone il percorso è stata sostituita dall’attuale SP.

Pilacco era chiamata per le pozzanghere che lungo essa erano presenti in ogni periodo dell’anno, forse a causa delle acque della fontana che defluivano liberamente per la strada.

Facendo attenzione, così come mi era possibile in quanto  stavano calando le ombre della sera, mi incammino per la strada, supero la fontana, sembra che tutto vada bene anche se incominciavo ad avere paura. Ma che succede? Il rumore dell’acqua che sgorga dalla fontana mi fa aumentare la paura, ho l’impressione che qualcuno mi stia inseguendo.

“U Pilaccu” era ritenuto “nu malu passu” lungo il quale i viandanti, specialmente di notte, potevano andare incontro a sgradevoli sorprese.

Da quanto si narrava sembrava che i “malintenzionati” lo avessero scelto quale loro abituale sede. A me quella sera non premeva discernere se ciò fosse fantasticheria o se si trattasse di fatti realmente accaduti.

E sant’anche mie, mi metto a correre per la salita sino a quando non  arrivo a Borgia! Prendo fiato e attraverso il paese. E’ già notte! Arrivo al cimitero. Brividi di paura mi corrono per la pelle, il mio sguardo è proteso sempre in avanti, sono tentato di sbirciare a destra ma non lo faccio! Con il cuore che galoppa cerco di affrettare il passo così come mi è possibile, ma qualcosa all’improvviso mi arresta a mezzo il passo!

Un abbaiare di cani mi fa pensare:

Sono perduto!

Ma ho la forza di gridare: chiamatevi il cane! chiamatevi il cane!

Quel cane al di là della strada abbaiava per affar suo, forse alla luna che quella sera rischiarava la mia strada! Che faccio?, torno indietro verso il paese! Alle prime case mi balena l’idea  di togliermi le scarpe, così a piedi nudi non avrei fatto rumore ed inosservato  avrei superato…. quell’ostacolo. Pensato e fatto.  E così continuai per la mia strada. Ma non era del tutto ancora finita!

 

Ecco il bivio per Caraffa, ovvero sono in contrada “Don Gaetano”. Vi abitava la famiglia del Sig. Gaetano Severini della quale mi è rimasta nella memoria una simpatica figura, Donna Nellina alta e tanto magra da contarle le ossa!  A pochi passi mi si para l’immensità oscura  del Piano di Cannavù, tagliata dal rettilineo evidenziato dal biancore della breccia che all’epoca costituiva il fondo di calpestio delle nostre strade.

Tiravo diritto!

Rimettermi le scarpe? Nemmeno per sogno! Non avevo il coraggio di fermarmi, avevo l’impressione che qualcuno mi seguisse. Avevo paura di tutto, degli alberi che proiettavano la loro ombra sulla strada, del trillo dei grilli…  Guardavo avanti e in alto! Le stelle nel cielo mi facevano capire che era l’ora di andare a letto.

Iamma umida nox coelo praecipitat

suadentque sidera cadentia somnio.

 

Arrivato al cuore di Gesù quel cippo(1)  che per tanto tempo era rimasto a ricordo di quei  nostri concittadini che persero la vita il 9-9 1943, mi fece ritornare i brividi di paura e con il cuore galoppante e facendomi più volte il Segno della Croce tirai diritto e in men che non si dica  fui in paese. Arrivato a casa bussai alla porta, i miei genitori erano andati a letto non immaginando che il loro figlio stava passando la notte in cammino! Per i miei genitori il mio rientro a quell’ora insolita fu una lieta sorpresa, portavo una bella notizia!

Rimasero interdetti quando appresero del mio avventuroso rientro!

Mia madre, in particolar modo, non cessava di ringraziare il Signore per avermi fatto rientrare a casa…  sano e salvo!

(1) Per saperne di più il visitatore vada alla sezione “Non Dimentichiamo” e scorra sino a “ Ricordiamo Minicuzza Sergi”)

 

Categorie: Echi del passato
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