La mia poesia
di
Angela Iapello Mellace

Introduzione di Salvatore Stranieri

Volentieri ho aderito all’invito rivoltomi dalla nostra poetessa a curare una sua pubblicazione di poesie. La gentile richiesta, a dire il vero, per un verso mi ha lusingato molto – vanità umana! – per un altro verso ho sentito che sarebbe stato mio dovere rispondere affermativamente. La Iapello mi richiama un passato trascorso alla “Cannaletta”, là dove anche io sono nato e sono cresciuto e ogni giorno, anche se conto non poche primavere in più, le nostre quotidianità si intrecciavano, non a caso il sottotitolo “ Profumo Antico ”! Al ricordo di quei luoghi, delle persone che vi abitavano e ora non ci sono più, dei rapporti familiari e di sincera amicizia che legavano tutti quelli della “ruga” quale nostalgia! E alla Via de “La Cannaletta” (Via Fontana e Parriadi) dove, nella piazzetta, nelle sere di plenilunio i giovani intonavano alle innamorate le loro appassionate serenate, vi era un fervore di attività. Vi era la “Posta”, il forgiaro, il bastaio, il calzolaio, il sarto-barbiere e le sartine, la tessitrice e le loro voci frammiste ai rumori tipici di quegli antichi mestieri mi risuonano nelle orecchie e mi inondano il cuore di dolce mestizia! Di quel mondo ora, là, poco o niente è rimasto
Mo’ casi viacchi, bbandunati…
No nc’è vita ntra chiddhi mura.
La sira quandu passi pe chiddhi strati
mu li vidi ti vena la pagura.
E, dunque, senza pensarci mi sono messo a lavoro che, però, giorno dopo giorno andava dimostrandosi un’ardua fatica e, confesso, sono stato più volte sul punto di desistere. Non l’ho fatto e per non deludere la Nostra e per non venire meno a ciò che io, non so perché, avevo ritenuto un dovere.
Gentile lettore, mi sono trovato dinnanzi a un torrente in piena. Angela Iapello vive per la poesia, sogna poesia! La cadenza temporale della produzione poetica, che si nota scorrendo le pagine, rivela quanto sia fecondo il suo estro poetico.
La pubblicazione è divisa, per così dire, in due sezioni, nella prima le poesie in vernacolo alle quali seguono una ricca raccolta di filastrocche e detti popolari ed, infine, un glossario, nella seconda sezione, invece, prende posto una nutrita produzione poetica in Lingua.
Poesie in vernacolo

Sono circa cinquanta componimenti poetici nei quali la Iapello ferma un mondo scomparso la cui rievocazione suscita nostalgia in chi l’ha vissuto ed incredulità in chi non l’ha conosciuto. Quello che rievoca la nostra poetessa un mondo in cui la lotta per la vita era, sì, dura, però, si sentiva il sapore della sudata conquista, conseguita giorno dopo giorno, così come viene posta pietruzza su pietruzza. Non ci si poteva, allora, distrarre. Si era protesi di continuo con il pensiero al domani. E la ragazza arrivava all’età di marito con la dote bella e pronta nella cassa. La mamma, infatti, previdente, gliela aveva raggranellata sin dalla nascita, lenzuolo su lenzuolo, coperta su coperta, perché all’epoca una buona norma dettava “zziteddha ntra la ‘hascia, a dota ntra la cascia.”
Originali i quadretti di occasionale vita vissuta che rappresentano la semplicità della quotidianità di una volta, soffusa di genuità e di poesia! Ed ecco le ragazze sull’aia, impegnate a sgranare le pannocchie del granturco, fanno a gara ad individuarne una speciale dalle cui caratteristiche trarre presagi per le loro aspirazioni amorose ( ‘U spicuna). Era un modo, quello, come divertirsi.
E ccussì passavunu ‘u tiampu li cotrari,
scupanandu lu spicuna, allegri si sentianu.
E le vesti, le foglie esterne che racchiudono le pannocchie, una volta costituivano il ripieno dei sacconi, gli umili giacigli di chi non poteva permettersi un soffice materasso ripieno di lana.
Lu spogghiavanu de li viesti e li cummari,
pemmu inchianu lu saccuna, si nda servianu.”
E vi erano quelli che sbarcavano il lunario ricorrendo ad espedienti, esercitando attività fra le più strane, per esempio, ‘ u sampavularu’ o colui che andava offrendo biglietti d‘ a ‘hortuna. E ci si faceva sull’uscio non perché si dava credito alle loro ciarle, ma perché, per i tempi, davano spettacolo. Ancora. Simpatici i quadretti relativi a “Lu contadinu mbiacu” e a “L’uamu de panza”. L’uno dopo una giornata di lavoro va alla cantina e
cerca nu puacu de ristoru
e vva mu si viva nu quartu de vinu,
ma ritornato a casa ubriaco non sa cosa fare,
cuamu li gira ntra chiddha testa,
mu ‘hacia liti o mu ‘hacia ‘hesta,
ma s’addormenta cuamu n’agghiru
cu tutti li scarpi lu contadinu ,
l’altro, invece,

lavora de la matina a li sira…

ma ntra li taschi no li resta na lira.

Non tralascia, la Nostra, nessuno degli aspetti di quella società, ormai archiviata, passata alla Storia quale società-civiltà contadina, La simina, La vindigna, la dura vita de Lu contadinu de na vota.

E a la lucia de la lumera

si vesta lestu lu contadinu.

Non poteva mancare una componente tipica di quell’ economia, Lu ciucciu.

Na vota cu avìa nu ciucciu

avìa nu capitala,

era nu mezzu de trasportu e de lavoru.

Lu contadinu de tuttu carricava,

cu avìa nu ciucciu avìa nu tesoru!

Ed ecco I misaruoli, le raccoglitrici di ulive che spartivano con il padrone in ragione della sesta parte, alla raccoglitrice spettava un sesto di quanto aveva raccolto durante la giornata.

Cu la schina a vasciuni sutta l’olivara

cogghìanu olivi tutta la jornata;

si ‘hermavanu sulamenta

pe mangiara

e si ‘hacianu puru ncuna cantata.

La Iapello porta con sé uno struggente rammarico di non essere potuta andare avanti con gli studi, finita la scuola elementare. E forte dell’amara esperienza fatta in terra straniera addita il valore, l’importanza de Lu sapira e fa l’apoteosi de La pinna

Sulu cu ttia arrivau lu progressu,

l’intelligenza e lu sapira.

L’uamu restava nu piscia lessu

si nno n’avia a ttia…

la pinna pemmu scriva!

La rievocazione del passato non è fine a sé stesso. O tempora! O mores! Niente di tutto questo! Non si ha rimpianti, anzi! Viene richiamato il passato perché le giovani generazioni facciano un’analisi comparativa con il loro presente e si rendano conto di quanto siano cambiati i tempi, di quanto e come sia migliorata la vita. E poi, gli usi di una volta oggi non sarebbero possibili, qualora si volesse praticarli, perché non lo consentirebbe il ritmo della vita moderna. A fare il bucato un tempo ci si metteva più giorni. La vucata” era un rito per chi doveva farla, una festa per i bambini, felice, ciascuno, di andare al fiume con la propria mamma. Ci si accontentava di poco! Riecheggiano nelle orecchie gli sciacquìi, le voci, i canti che salivano dalle fiumare! E sciacquato, levato il ranno, il bucato veniva disteso ad asciugare sui cespugli,
De ‘hesta chiddhi juarni si vestìa Jidari,
quandu iddha li panni a lu sula amprava
supa li struaffi de profumati jinostrari
e doppu asciutti a la casa si li portava.
………………………………………
Mo’ passau lu tiampu de lu ‘hiuma,

quandu tuttu si lavava a mmanu.

No ssi lava cchiu cu lu sapuna

ca na machina chi llava nventaru!

Allora si nasceva in casa e non si badava a tanto, correndo, però, seri rischi sia il nascituro sia la partoriente!

Quandu la ‘himmana

de parturira avìa

la levatricia si chiamava.

………………………….

Iddha pronta li ‘herra portava

sperandu nommu potianu servira.

……………………………………………..

A lu Signura raccumandava la ‘himmana

c’avìa de parturira.

E “la levatricia” dopo pochi giorni, accompagnata da alcuni bambini che portavano l’occorrente per la somministrazione del sacramento del Battesimo – acqua, sale e pane – senza alcuna pompa, portava e teneva il neonato al fonte battesimale divenendo in tal modo madrina della maggior parte dei bambini del paese.

Era sufficiente un mazzetto di garofani scritti, di quelli che un tempo scendevano dai davanzali delle finestre delle nostre case, scambiato nella ricorrenza di San Giovanni, ad intrecciare fra due famiglie un’intimità di rapporti che venivano tramandati di generazione in generazione (Li cummari de San Giuanni).

Che dire, poi, del mondo attinente alla gioventù…amorosa? Allora fra uomo e donna, in modo particolare fra i giovani, non vi era facilità di rapporti. Si avvertiva molto forte il disagio dell’accentuato distacco intercorrente fra giovani di sesso diverso. A scuola le classi miste erano una rarità! I tempi erano quelli, però, non per questo i giovani non riuscivano ad eludere la severa vigilanza dei genitori. Il “Vottandieri” era il luogo ideale degli appuntamenti, degli incontri amorosi. In casa vi era sempre bisogno di acqua fresca e la ragazza molto volentieri provvedeva a quella necessità domestica! La ragazza innamorata riusciva ad escogitare l’espediente, a trovare la scusa per uscire da casa ed incontrarsi con l’amoroso.

Si bbua mu vidi

l’amuri appuntunatu,

pigghiati la paletta

e nescia a ffuacu.

Si la tua mamma

dicia ca ti hai mpacciutu,

rispundi ca no trovasti

na scagghia de ‘huacu.

………………………..

Nemmeno quando si era fidanzati ufficiali, cioè quando si aveva il permesso di andare in casa dell’amorosa cessava…l’astinenza, nemmeno allora vi era possibilità di dimestichezza di rapporti fra i promessi sposi (Li matrimoni combinati).

Li fidanzati stavunu attianti,

sulu cu l’uacchi si potianu accarizzara,

d’ammienzu nc’eranu sempa li parienti

e all’ammucciuni na vasata potìa scappara.

Quanta diversità, oggi, di costumi!

Li tiampi mo’ cangiaru e la cotrareddha

mona lu zzitu si lu trova sula.

Passijanu nzema a li Poteddha,

supa lu Corzu senza mu ha pagura.

In Tiampi passati, La vacca la Nostra richiama, nell’una, l’atmosfera di familiarità, di amicizia e di calore umano

quandu de petra eranu li strati

e la genta seduta a rrota a rrota

cuntavanu ‘harahuli de li ‘hati,

nell’altra, traendo spunto da una simpatica vicenda familiare, richiama un insegnamento, sempre attuale, e che faceva parte di quella saggezza popolare

cu prima nno penza, all’urtimu suspira!

I componimenti a carattere religioso (L’Arciuamu, Notta de Notala, Santu Ruaccu, ‘U Patraternu, Vennari Santu ) evidenziano la religiosità popolare che si manifesta in modo tangibile in alcune ricorrenze alle cui scadenze , un tempo, ciascuno, uniformava lo scorrere della vita d’ogni giorno.

Per gli accenti toccanti meritano menzione Vorrìa tornara e ‘Higgiu!, nell’uno il desiderio dell’emigrato di tornare in patria, ma che un amaro destino lo ha condannato a morire da straniero in terra straniera, nell’altro il dolore, lo strazio di una mamma.

La Iapello si fa carico di promuovere la valorizzazione del dialetto e suggerisce che venga introdotto nelle scuole. Nella nostra originaria parlata troviamo la nostra identità, la nostra storia. E attraverso essa si può prefigurare una società riportata a quei valori che sono stati propri della forte e generosa terra di Calabria e che si richiamano alla laboriosità, alla famiglia, alla religione, alla solidarietà.

Parramu lu dialettu…

Parramulu a la scola!

Parramulu cu l’amici…!

Per quanto riguarda l’inflessione, la Iapello si richiama al parlare semplice, spontaneo, di tutti i giorni e rifugge da ogni ricercatezza dialettale che spesso travisa, deturpa e rende sgradevole la Lingua dei nostri Padri.
Filastrocche e detti popolari

Molte delle filastrocche sono dovute all’invettiva della Iapello. Dal giovane lettore possono essere ritenute delle banalità, ma non erano tali per i ragazzi di un tempo.

Transitando per le strade del paese non di rado si era colpiti dall’ allegro vociare di frotte di ragazzi che si rincorrevano ripetendo a cantilena le filastrocche più strane e spesso si rimbeccavano componendone con i loro stessi nomi. Era un modo semplice, allora, di quelle giovani generazioni come divertirsi, scherzare e passare il tempo. E’ il caso di richiamare Li juachi de na vota quando con un nonnulla – un pezzetto di legno, una pietruzza, un quadrato segnato a terra – si animavano i giochi dei bambini e le strade risonavano a quell’allegro e gaio clamore.

I detti o proverbi, granelli di sapienza popolare d’ogni tempo, rivelano la prontezza di un popolo ad esprimere i contenuti del quotidiano e ve n’è uno azzeccato per ogni situazione.

Glossario

Non ha le pretese di un dizionario. E’ solo una raccolta di quei vocaboli che potrebbero risultare inintelligibili all’occasionale lettore che non abbia adeguata familiarità con il dialetto.

L’etimologia di alcuni vocaboli – riferita ai grecismi, ai latinismi, ai francesismi e agli spagnolismi – richiama sia le civiltà, greca e latina, che si sono avvicendate nella regione, sia le dominazioni straniere a cui in vari periodi fu sottoposta la Calabria.

Contrariamente all’uso invalso nelle pubblicazioni in vernacolo, i vocaboli che hanno subìto l’aferesi non sono preceduti d’alcun segno distintivo. L’aspirazione tipica nel pronunciare alcune parole e che ricorda la lettura toscana di “carne” è un residuato della Lingua Greca che nel passato si parlava in Calabria e come tale riconducibile al suono della lettera (ch) di quella lingua. E non essendoci corrispondenza grafica nell’alfabeto italiano, seguendo la lezione del Rohlfs, si è ovviato alla deficienza identificando la predetta gutturale greca con la lettera h facendola precedere dal segno d’interpunzione ( ).

Poesie in Lingua italiana

La Iapello evade dal ristretto ambiente locale e con i suoi timori, le sue speranze, le sue riflessioni si affaccia con dignità a una realtà più vasta. Dalle sue poesie traspare una religiosità che avvince non solo l’uomo di Fede.La sua è la religiosità dell’amore, della fratellanza, della pace. Ed i temi sociali del momento vengono affrontati con la delicatezza di sentimenti che le sono propri. Dire che le sue poesie sono belle è troppo poco, sono bellissime! Esprimono un profondo lirismo e a volte il lettore affascinato rimane senza parola. E con alcune poesie – Freddo inverno, Se fossi!, La donna è amore, Cosa è l’amore, Tutto è poesia, Ho disegnato l’amore, Mistero, Profumo antico – per il susseguirsi delle immagini, il crescendo dell’intensità di sentimenti espressi e l’incalzare del ritmo si ha l’impressione di trovarsi sotto una pioggia, una cascata di luccicanti gemme.

La Iapello ha un senso religioso della famiglia. Quale affettuosa riverenza, quale nostalgia, tenerezza dalle poesie che la Nostra dedica, per esempio, al babbo. Dalla semplicità delle espressioni traspare quell’atmosfera di gaiezza che si respirava in famiglia allorché si era paghi di poche cose! La Nostra è un’acuta osservatrice della natura e delle sue varie manifestazioni si serve per esprimere i suoi pensieri, le situazioni d’animo e per dare corpo alle sue delicate immaginazioni.

Salvatore Stranieri

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Un commento
  1. Rocco RUGIERI scrive:

    Ill.mo PROFESSORE, è tantissimo tempo che volevo scrivervi, primo per congratularmi con voi che: Nonostante gli acciacchi continuate a mantenere vivo il vostro impegno e acnche se attraverso questo mezzo continuate a “DARE GENEROSAMENTE” a noi tutti il meglio del meglio. Caro PROFESSORE colgo l’occasione per mandarvi un mio modestissimo elaborato che ha come titolo “Tu si….” e per il quale, se non vi arreca disturbo vorrei che VOI deste un vosto DOTTO parere. il pezzo fa così: Io su na vela ntro mara ntampesta, nu suliatariu gabbianu chi vola, ….su nu zzitiaddu chi chiama la mamma, idda no senta ed iddu dispera. Io su na cerza de viarnu, spogghiata, …sugnu na manu ch’è ncerca d’aiutu e chi domanda alu viantu chi passa dimmi, pecchi, cu ni ficia sta mutu? …Mah.., Tu si l’acqua, Tu sini lu viantu, si lu calura chi vita mi da. Tu si na stella, lu firmamentu, Tu si l’ETERNU e lu tiampu chi va.Tu si la vucia chi parra alu cora e chi ntra u chiantu speranza mi da, Tu si la forza chi nzuppa lu spaziu e chi volara senz’ali mi fa, tu si l’Amicu, l’Amura e la Pacia, Tu sini Vita e si Libertà; e Si nu Piattu chi puru addejiunu sazzu de tuttu sentira mi fa, Tu si la vucia chi parra a lu cora e chi ntro chiantu speranza mi da, si Tu la forza chi nzuppa lu spaziu e chi volara senz’ali mi fa, Tu si l’Amicu, l’Amura e la Pacia, Tu sini vita e si libertà. Lu tmbru caddu de nu strumentu chi accumpagna n’Angelicu coru, pua, mi rispunda cuamu pe ncantu, mi fa cuntiantu e mi duna ristoru,…..e puru quandu lu cialu amminazza de supa lu munta la fina de tuttu,…Tu, sta tranquillu, mi dicia, nce ncunu chi si ti serva n’aiutu ti da!. Ecco Professore questo è quanto! forse, anzi certamente, questo mio è fuori posto e fuori luogo, ….mah ci tenevo a farvelo leggere e chiedervi un parere. Grazie comunque e scusatemi se ho invaso questo vostro spazio con le mie stupidate. Vostro alunno Rocco RUGIERI.